Nel dibattito Usa sulla rampante ondata di disruptive innovation, non manca certo l’attenzione sugli effetti inattesi rispetto a settori industriali consolidati ma in perenne trasformazione. Quadro in cui una una delle start-up più trainanti è Airbnb: lanciata nel 2008 e valutata a 2,5 miliardi di dollari dopo gli investimenti raccolti nel 2012, in primavera ha toccato la stratosferica valutazione di 10 miliardi. Al di là della tipica esagerazione “sulla carta” del mondo hi-tech, il suo successo appare indiscutibile: a fine 2013, la piattaforma era stata usata da 11 milioni di persone per trovare ospitalità in 34.000 città sparse nel mondo (intascando una commissione su ogni prenotazione).
Pur non divulgando bilanci o profitti interni, oggi Airbnb supera di ben 2 miliardi la valutazione di mercato di un gigante del settore, la catena di hotel InterContinental.
E quindi, ci si chiede, come ha fatto sull’industria alberghiera tradizionale a trovarsi così impreparata davanti a questa svolta tutt’altro che inattesa? E in che modo una struttura minimale è riuscita a capovolgere le regole di un’industria così solida? Si tratta forse di una pratica replicabile in altri settori? Queste le domande al centro di un’analisi di Sangeet Choudary su Forbes magazine – eccone una sintesi.
AIRBNB E’ IL MODELLO PIU’ RIUSCITO DI SHARING ECONOMY
Il segreto delle piattaforme social come Airbnb sta nel loro capacità di collegare direttamente produttori e consumatori (in questo caso chi viaggia e chi ospita), facilitandone l’interazione e il dialogo e risolvendo così quei problemi logistici tradizionalmente lasciati allo staff dell’hotel o all’agenzia viaggi. La differenza chiave è che le piattaforme non sono proprietarie dei servizi offerti e quindi non ne controllano la qualità.
Ma nell’un caso e nell’altro, questo il punto, i protagonisti della nascente sharing economy sembrano in grado di riformulare da zero gli assunti fondamentali alla base di qualsiasi attività imprenditoriale.
Rimanendo sull’esempio di Airbnb, il mercato potenzialmente globale a cui questa fa riferimento porta a ripensare la “creazione del valore”, mentre rispetto al “consumo del valore” introduce comportamenti nuovi (dormire da sconosciuti in una città sconosciuta) che trasformano il senso stesso del viaggiare. Riguardo al “controllo sulla qualità” propone un meccanismo autonomo affidato agli stessi individui coinvolti, responsabilizzandoli al meglio, invece che affidarsi alle garanzie dei marchi noti, e per la “crescita” punta su dati e tecnologia, anziché aggiungere nuovi hotel o amenità alla catena tradizionale, per facilitare ulteriormente il click gli tra chi viaggia e chi ospita.
IL NUOVO LOGO DI AIRBNB
Proposte innovative che meglio rispondono alla fluidità sociale dei nostri giorni, mentre a livello di qualità il successo arriva con un adeguato sistema di curation, costruito in maniera collaborativa e analogo a quello di siti tipo Wikipedia. Quanto tutto fila liscio, questa combinazione consente alla piattaforma di acquisire la visibilità e l’affidabilità necessarie per uscire dall’iniziale nicchia e saltare alla grande nel mercato mainstream.
LA RIVOLUZIONE DEL SISTEMA ALBERGHIERO
Inizialmente l’industria alberghiera non prestò alcuna attenzione ad Airbnb, forte dei suoi standard comprovati e di un bacino d’utenza consolidato – come già accaduto con i big delle musica alle prese prima con Napster e poi con le altre offerte digitali (e ora in streaming), scenario poi replicato in altri settori portanti dell’economia mondiale. Errore cruciale e tutto sommato evitabile, proprio sulla base del recente passato. È quindi utile per il futuro prepararsi a riconoscere in tempo le premesse fondamentali della disruptive innovation, sintetizzabili come segue: la rapida democratizzazione degli strumenti di produzione e di accesso al mercato; le migliorie nell’offerta e nella gestione con la crescita della curation collaborativa; l’adozione dei servizi abbracciata dall’utenza tradizionale, oltre il target ristretto iniziale; l’espansione del network e un diagramma in crescita complessiva.
In definitiva, conclude la disamina di Forbes magazine, per le start-up dello sharing con risorse limitate la scelta vincente sta nell’approccio centrato su una solida piattaforma online, specialmente quando si ha a che fare con concorrenti agguerriti in un’industria dominata da servizi o prodotti di qualità. È grazie a questa strategia di base e i vari annessi descritti sopra – oltre ovviamente all’intensa attività sui social media – che queste start-up possono riscrivere le regole del settore specifico.
IL VANGELO DELLE STARTUP IN SILICON VALLEY
Con un corollario interessante: contrariamente al vangelo predicato dalla Silicon Valley, queste piattaforme hanno successo non tanto perché propongono tecnologia sfavillante o funzioni superiori, quanto piuttosto per la loro capacità di creare un mercato completamente nuovo e di stimolare o amplificare comportamenti di tipo nuovo nella gente, ponendo attenzione alla curation, alla scalabilità immediata e al modo più diretto e senza intermediari per collegare tra loro produttori e consumatori.
26 luglio 2014BERNARDO PARRELLA