L’Italia è tra i paesi al mondo più campanilisti, lo abbiamo sempre saputo, e purtroppo uno dei risvolti negativi di questo è che in un momento storico di crisi come questo non abbiamo molti grandi gruppi industriali forti a livello internazionale. Siamo costellati da tante piccole realtà che pur con le loro peculiarità non aiutano a far crescere il paese perchè non hanno la capacità di essere forti in un mercato globale. Non parliamo però solo delle aziende più tradizionali o artigiane, stiamo commettendo lo stesso errore con l’ecosistema delle startup e dell’innovazione. Il problema in questo caso è ancora più grave e sentito perché per loro natura queste realtà hanno bisogno di molti capitali e possibilità di crescita o vendita veloce.
Il paradosso lo si vede sopratutto quando vediamo che abbiamo più incubatori che startup, più CEO che dipendenti e una quantità infinita di startup early stage, startup finanziate con con capitali tra i 20.000 e i 100.000 euro che non hanno poi la possibilità di fare davvero qualche cosa di significativo.
In Italia quasi ogni città e regione ha sviluppato il proprio incubatore o fondo distribuendo i già pochi capitali presenti in decine di piccole realtà con medie competenze e basse risorse finanziarie.
Ci troviamo oggi al punto in cui ogni gruppo imprenditoriale costruisce il proprio fondo per aiutare le startup, ogni area territoriale utilizza fondi pubblici e privatiper costruire il suo piccolo feudo e ognuno si fa la guerra per provare a costruire il proprio centro dell’innovazione.
Ognuna di questi incubatori/fondi ha uno o due milioni di euro, cifre normalmente importanti, ma non nell’innovazione o nella finanza purtroppo, dove le startup necessitano di grandissimi investimenti finanziari in quanto con la loro attività stanno provando a sradicare e innovare attività/prodotti o servizi molto strutturati e il loro mercato è globale.
Un ecosistema di startup nane
Ma a cosa ci sta portando fare tutto ciò? Ad oggi nessuna realtà finanziata è riuscita realmente a scalare e portare grosse marginalità. Quello che stiamo facendo sta soltanto distruggendo l’ecosistema in quanto:
1) Non riusciamo a dare le giuste energie alle singole startup che non trovano i capitali necessari per scalare e sono spesso supportate da persone professionalmente troppo distanti dal loro business per fare la differenza nel loro settore. Forniamo decine di investimenti seed e pochi round successivi.
2) La qualità media delle startup si sta abbassando continuamente e la guerra per conquistarsi le idee è sempre più alta, e il paradosso è che ogni semestre decine di incubatori sfornano startup di basso livello che non riescono poi a trovare finanziamenti oltre ai primi 25K che prendono.
In questo modo riempiamo i giornali di news su investimenti e nuove startup che nascono ma mai di round sostanziosi o exit vere riempiendo chi sta partendo di false illusioni senza poi supportarlo davvero.
Fondi per creare una startup gettati nel nulla
Assistiamo a migliaia di studenti che si ritrovano un piccolo “tesoro” di qualche decina di migliaia di euro per un’idea sviluppata con gli amici ma che dopo sei mesi, avendo finito le risorse, falliscono miseramente. Il disastro è che questi giovani dopo la loro breve parentesi imprenditoriale non riescono più ad inserirsi nel mondo del lavoro in quanto si sentono dei CEO di alto livello e la fama generata dalle pagine sui giornali aumenta la loro autostima non portandoli più a credere che abbiano ancora molto da imparare.
Dobbiamo insegnare, ma per primi imparare, che non è “figo” fare la propria startup o incubatore ma lo è creare una nuova startup da 500M di fatturato. L’aspirazione massima di un giovane non deve essere fare il CEO, ma fare anche l’office manager, il community manager o il developer, perché ognuno di questi ruoli è fondamentale per costruire il successo di un’azienda. E’ facendo sistema e lavorando insieme che si possono creare aziende di successo.
Basta creare fondi, incubatori o startup copiate
Smettiamola di creare fondi, incubatori o startup uguali a cose che già esistono; il mercato è globale e il nostro competitor non è la città vicina ma l’azienda cinese, americana o africana con decine di milioni di investimento. Uniamoci, lavoriamo insieme e facciamo sistema nel creare pochi ma forti player a livello nazionale che possano essere riconosciuti e avere forza all’estero.
Nel nostro piccolo con Talent Garden ci abbiamo provato. Dopo il successo a Brescia, circa due anni fa, siamo stati contattati da diverse persone che volevano creare una struttura simile alla nostra in altri territori. Ognuno di noi voleva evitare di costruire l’ennesimo singolo CoWorking che gli garantiva qualche pagina di giornale nell’immediato ma poco valore nel merio periodo, capivamo la necessità di lavorare in squadra e fare sistema per avere successo e dare valore non solo a se stessi ma anche ad ogni realtà che poi saremmo andati ad ospitare nei nostri spazi.
Oggi in Italia non ci sono 8 singoli coworking ma una realtà unica che a livello federativo lavora insieme con una visione unica e forte, questo ha creato una delle reti più grandi a livello internazionale nel coworking. Ognuna di queste singole realtà cerca di aggregare, sul proprio territorio, talenti e startup dando loro la possibilità di accedere ad un network nazionale e internazionale offrendo così la l’opportunità di avere una crescita più elevata e entrare in contatto con le figure professionali più interessanti portano valore a tutti.
Oggi allo stesso modo, con Talent Garden non vogliamo costruire il nostro fondo né processo d’incubazione ma lavoriamo con chi già lo fa per creare sinergie forti e costruttive. Ospitiamo all’interno della nostra community e dei nostri spazi vari incubatori e fondi e al contempo noi stessi siamo ospitati all’interno di altre realtà. Il modello che stiamo creando tende ad unire ogni città e realtà per far sì che non ci siano tante piccole perle invisibili ma grandi tesori ben visibili e appetibili per le grandi realtà. Il nostro primo obiettivo è quello di far emergere i nostri talenti a livello nazionale e internazionale facendole rimanere sul loro territorio.
Mi piacerebbe vedere la stessa voglia di unire le forze e competenze anche in altri player del mercato e noi per primi stiamo provando a sviluppare sinergie perché solo facendo sistema l’Italia potrà essere rilevante a livello internazionale. Non autocommiseriamoci per il nostro paese che non innova, evitiamo noi per primi che ci occupiamo di innovazione di farci la guerra per crearci il nostro piccolo feudo. Creiamo insieme una grande Italia digitale interessante e ricca per chi ci vive e per chi la osserva dall’esterno.
DAVIDE DATTOLI