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Perché con la sharing economy la nostra vita non è più la stessa

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Sono 138 le piattaforme collaborative che operano in Italia, divise in 11 diversi ambiti tra i quali i più interessanti sono il crowdfunding (con il 30% delle piattaforme), i beni di consumo (20%) i trasporti (12%), il turismo (10%), il mondo del lavoro (9%). E’ quanto emerge da una ricerca curata da Collaboriamo.org in partnership con PHD Media che verrà presentata oggi a Sharitaly, il primo convegno in Italia interamente dedicato alla sharing economy, che quest’anno si terrà a Montecitorio (qui il programma)

I servizi collaborativi italiani suddivisi per ambito. Fonte: Collaboriamo.org – PHD Media – Sharitaly 2014

Una sede prestigiosa, che fa ancora più notizia, se si considera che il convegno è solo alla sua seconda edizione. Soltanto un anno fa, infatti, Sharitaly aveva avuto semplicemente l’obiettivo di portare all’attenzione di un pubblico il tema della sharing economy, allora quasi sconosciuto.

In questi dodici mesi, invece, l’interesse è cresciuto a tal punto che anche la politica si è messa in ascolto. Cosa è successo?

La spinta viene dal basso, anche se solo in parte. Alcuni servizi internazionali, ex start up diventate oggi multinazionali, stanno crescendo a ritmi impressionanti anche in Italia, facendo discutere e riflettere su i modi e i tempi della crescita; i servizi italiani aumentano per numero ma anche per utenti.

Sempre secondo la ricerca di Collaboriamo.org il 26% delle piattaforme supera i 10.000 utenti attivi, numero ancora non sufficiente per raggiungere una massa critica importante, ma che comunque inizia a mostrare una certa solidità dei servizi. Infine, una ricerca di Nielsen uscita lo scorso maggio e riportata all’interno del Rapporto Coop 2014 rileva una predisposizione degli italiani alla condivisione superiore a quella dei cugini europei.

E poi ulteriori dati interessanti sull’effettivo utilizzo dei servizi di sharing da parte degli italiani verranno presentati a Sharitaly.

Questa nuova forma di economia basata sullo scambio e sulla condivisione dei beni, tuttavia, non intercetta solo il bisogno dei cittadini ai quali offre nuovi servizi, vantaggi economici e anche nuove esperienze, ma anche le necessità di amministrazioni e grandi aziende: le prime che non possono più porsi, anche per mancanza di fondi, solamente come agenti regolatori, le seconde che faticano a muoversi in un mercato che riconosce più valore all’esperienza che ai prodotti e ai servizi.

A questi differenti attori la sharing economy offre una risposta (che in tempo di crisi non è poco), proponendo un nuovo modello di servizio che promuove il coinvolgimento dei cittadini direttamente nei processi di aziende e amministrazioni, fino a farli diventare veri e propri asset

Un modello che sul territorio si può applicare in tanti ambiti differenti: nel welfare (le banche del tempo digitali, per esempio, potrebbero dare un contributo in termini di coesione sociale e di supporto alle famiglie); nei trasporti, nella valorizzazione dei beni del territorio, nel mondo del lavoro, nella cultura che promuove più capitale sociale, nelle nuove occasioni di lavoro, nei nuovi servizi, ma soprattutto nelle nicchie di competenze che in ogni campo possono esprimersi favorendo una personalizzazione dell’esperienza impossibile fino a qualche tempo prima.

La passata edizione di Sharitaly. Fonte: Twitter.com/Sharitaly

Si pensi al turismo. Oggi grazie ai servizi di sharing economy è possibile visitare un luogo dormendo e mangiando a casa di cittadini del posto e da loro poi essere guidati in tour alternativi per la città. Questo permette al visitatore di accedere ad un’offerta pressoché smisurata, all’interno della quale è possibile scegliere il proprio percorso costruito su misura.

Lo stesso modello può, inoltre, essere adottato anche dalle aziende. Il coinvolgimento diretto dei cittadini nei processi aziendali (per esempio, nella definizione di prodotti e servizi, nella logistica, nell’efficientamento dei servizi stessi), permette di monitorarne i bisogni, ridurre i costi e i rischi, creare nuovi servizi e disporre di un numero infinito di collaboratori.

Tag cloud della sharing economy. Fonte: Ansa.it

Questo nuovo modello di sviluppo naturalmente non è scevro di rischi che emergono man mano che i servizi si diffondono e crescono. Gran parte dei servizi collaborativi, infatti, agisce in una zona grigia sia dal punto di vista normativo che fiscale. In alcuni casi le piattaforme si rifanno a norme vecchie e generiche in altri, addirittura, vanno contro norme esistenti. L’offerta di nuovi servizi e di nuove opportunità per integrare il proprio reddito va, a volte, di pari passo, alla mancanza di garanzie per i lavoratori della sharing economy (ma è corretto parlare di lavoratori della sharing economy?); molti cittadini che possiedono una seconda casa preferiscono affittarla a viaggiatori piuttosto che ad abitanti del luogo, costringendo questi a spostarsi verso la periferia (gentrificazione).

Sorgono spontanee, dunque, molte domande che si affronteranno durante i lavori di Sharitaly: che cos’è davvero sharing economy e che cosa, invece, semplice innovazione di mercato? E’ corretto che le piattaforme collaborative creino opportunità di lavoro a tempo pieno o dovrebbero invece promuovere solamente occasioni per incrementare il reddito di un cittadino? Come l’innovazione tecnologica può supportare lo sviluppo di un territorio e la coesione sociale? Come favorire una crescita che riesca a includere anche le categorie tradizionali? E quindi, in ultima analisi, come regolare la sharing economy senza rischiare di soffocarla?

Per rispondere a questa domanda la seconda edizione di Sharitaly si tiene alla Camera dei Deputati. I lavori si svolgeranno in due sessioni distinte. Quella del mattino, più operativa, nella quale si susseguiranno tre tavoli tematici dedicati al rapporto tra sharing economy cittadini, amministrazioni e aziende; quella del pomeriggio, organizzata dall’On. Antonio Palmieri dell’Intergruppo Innovazione, durante la quale si affronteranno lo scenario italiano, le sfide e le opportunità lanciate alla politica dalla sharing economy.

L’obiettivo è quindi sensibilizzare e analizzare, ma c’è anche una più recondita speranza. La scorsa edizione di Sharitaly si è chiusa lanciando all’amministrazione milanese la proposta di rispondere con i servizi collaborativi al picco di domanda generato da Expo. Sfida raccolta dall’amministrazione che ha avviato proprio in questi giorni una consultazione pubblica per preparare una delibera al fine di promuovere la sharing economy a Milano durante l’Esposizione Universale.

Chissà mai che questa ricca giornata alla Camera sia davvero l’occasione per proporre una sperimentazione che permetta, più delle parole, di comprendere le opportunità e le possibili minacce della sharing economy, di facilitare la crescita dei servizi collaborativi, di aiutare amministrazioni e aziende a entrare a far parte del processo, per tornare l’anno prossimo a parlare di risultati e su quelli ragionare per andare avanti.

MARTA MAINIERI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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