Una delle cose che maggiormente mi infastidiscono quando devo leggere dei curriculum è il cosiddetto formato europeo e le sue varianti. Il fastidio che provo nel ricevere dei curriculum in tale formato è così grande da aver invitato tutti a non inviarlo mai di propria volontà, ma di ricorrerci solamente obtorto collo laddove venga esplicitamente richiesto e si è nella spiacevole condizione di dover necessariamente trovare un lavoro, accettando anche la produzione di siffatto curriculum come onesto compromesso per ottenerlo.
In quest’ultimo caso, comunque, consiglio sempre di guardare con sospetto chi richieda tale formato e, laddove si venga assunti, cercare di capire se la richiesta nasce da un responsabile delle risorse umane incapace, e a quel punto il tempo che verrà impiegato per licenziarlo sarà una buona misura dell’efficienza dei processi dell’azienda nella quale si è entrati, oppure è una vera e propria perversione dell’azienda stessa, e in questo caso si potrà iniziare immediatamente la ricerca di un nuovo posto di lavoro con la tranquillità però di chi non è così disperato da produrre un CV europeo per ottenerlo.
Ma quali sono i motivi di tale repulsione?
Nel mondo nel quale sono cresciuto tanti anni fa, un buon curriculum vitae aveva due caratteristiche:
- dava le informazioni fondamentali sul candidato (ad esempio: età? Stato civile? Ha figli? Ha fatto il servizio militare? Dove abita?);
- doveva far capire quali fossero le competenze e le esperienze del candidato (ad esempio: ha titoli di studio superiori? Quale università ha frequentato? Con quale voto ha ottenuto la laurea? Cosa ha fatto dopo gli studi? Dove ha lavorato? Quando? Con quali mansioni e quali risultati?).
Ma oggi quel mondo è finito per via della competizione. Quel modo di fare un CV, infatti, aveva senso quando, per fare un esempio, per un posto di lavoro si ricevevano 100 candidature di cui solo 10 erano di persone con i requisiti realmente aderenti alla posizione offerta.
Lo scopo del selezionatore era dunque quello di individuare questi 10 candidati, chiamarli per un colloquio e poi effettuare la selezione. Erano i tempi in cui, per fare un esempio, un laureato in ingegneria era raro; se poi sapeva pure progettare qualcosa era un plus non trascurabile; se per caso sapeva anche parlare un inglese sufficiente aveva un vantaggio competitivo mostruoso sulla concorrenza.
Ma oggi?
Qualche tempo fa mi sono trovato a ricevere, in pochi giorni, 400 candidature per un posto di analista nel fondo per il quale lavoro. Dei 400 curriculum ricevuti, almeno la metà erano sulla carta perfettamente qualificati per la posizione offerta: età giusta, laurea giusta con votazione lusinghiera, inglese perfetto, seconda lingua piuttosto buona, esperienza pregressa interessante.
Cosa fare, allora, passare a fare i colloqui a 200 candidati?
In realtà ne ho chiamati solo una dozzina: perché?
Perché in un contesto come quello attuale è di capitale importanza la capacità di far capire, dal semplice CV, non solamente chi siamo e cosa sappiamo fare, ma anche che tipo di persona siamo: siamo attenti ai dettagli, o no? Quando suona la campanella, stacchiamo dal lavoro oppure non molliamo la presa sino a quando non lo abbiamo portato a termine? Abbiamo una mentalità imprenditoriale o permettiamo alla nostra job description di essere un ostacolo tra noi e ciò che andrebbe fatto? Sappiamo intergrarci con i colleghi? Cosa ci aspettiamo dal lavoro per il quale stiamo candidandoci: ci interessa realmente, o è solo un mezzo onesto per pagare le spese?
Queste sono solo alcune delle domande a cui un curriculum scritto con chiarezza, formattato e strutturato con il nostro stile, riesce a rispondere agli occhi di chi lo sa leggere. Ognuno di noi ha un suo stile di comunicazione e ognuno è libero di decidere cosa comunicare, come e quando: come può un qualsiasi standard, uguale per tutti e deciso in qualche ufficio lontano, riesca a cogliere le infinite sfumature del nostro carattere, delle nostre ambizioni e speranze?
Quello che potrà cogliere sarà, nel migliore dei casi, solamente chi siamo e cosa sappiamo fare. E’ il formato perfetto per chi effettua selezioni del personale con criteri burocratici, criteri per i quali la selezione è effettuata dando dei pesi ad ogni voce del formato europeo (e questo spiega anche l’incredibile prolissità che viene indotta dal formato stesso), per poi selezionare il candidato che ha più punti, senza prendersi il rischio di scegliere e selezionare il candidato migliore per quel lavoro o per quella specifica necessità.
E’ l’approccio originato dalla utopia dell’iper-oggettivismo che nasce dalla ipertrofia burocratica che sta uccidendo il nostro paese. Ma forse questo è un altro discorso.
Roma 19 marzo 2013Augusto Coppola