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Perché dopo Sharexpo nulla potrà più essere come prima in Italia

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“Qui a #sharexpo ho la sensazione di essere dove si stabilisce un punto di non ritorno. Non so come sarà domani so come non sarà più oggi”.

Questo il tweet di Nicola Palmarini uno dei partecipanti di Sharexpo nonché parte della commissione di “saggi” che nell’arco di delle prossime 10 settimane si occuperà di individuare le linee guida per un pacchetto normativo in sostegno alla sharing economy, da proporre e sfruttare in occasione di Expo 2015.

Il format è chiaro: Expo è alle porte, e proprio per questo cresce la volontà di fare di Milano un terreno di esperimenti ad alto impatto sociale, anche sul fronte delle nuove economie collaborative. Il picco di domanda di servizi sarà altissimo, e da fronti diversi è nata l’idea di approfittare dell’attuale alleggerimento burocratico presente sulla città di Milano per riunire una commissione che, raccolti gli input di esperti del settore, potesse stendere un documento da presentare alla Pubblica Amministrazione.

L’obiettivo? Fornire un chiaro stimolo progettuale in grado di incentivare l’alleggerimento degli attuali vincoli burocratici che impediscono la creazione e l’effettiva fruizione dei servizi collaborativi.

E`una sorta di “lobbysmo del bene comune” quello che stanno facendo gli organizzatori di Sharexpo: sfruttare Expo 2015 per creare nuovi orizzonti di opportunità legate all’economia collaborativa, coinvolgendo un tessuto di realtà che va dalle Istituzioni alle Startup, dalle Fondazioni alle Università, affinché questo progetto possa incontrare gli interessi di tutti – una parola che abbiamo sentito pronunciare spesso ieri.

Personalmente ho lasciato Palazzo delle Stelline con la sensazione, ben descritta da Nicola Palmarini, che si stia attraversando un “punto di non ritorno”, superato il quale sarà impossibile ignorare l’esigenza di creare un momento di riconsiderazione reale e collettiva delle risorse che abbiamo, che non utilizziamo o avvaloriamo, nonché l’esigenza di permettere a diverse realtà di unirsi e capire insieme come fare di queste risorse delle fonti di valore aggiunto per tutti.

I bisogni sempre più evidenti, la crescente voglia di fare e la tecnologia che – come ha ben descritto l’assessore Maran – “ogni mese ci permette di fare qualcosa che il mese prima non potevamo fare” sono tre elementi che hanno il potenziale di aprire dimensioni nuove non solo alla creazione e fruizione di servizi, ma alle modalità stesse con cui i servizi vengono progettati.

D’altra parte però: “moving randomly is not evolving”.

Il fatto che ci siano la volontà ed i mezzi per lavorare alla creazione di una Milano (e di una Italia) diversa, aperta, inclusiva e condivisa si scontra ancora e comunque con le barriere ben sottolineate ieri nella prima fase di Sharexpo: barriere normative, organizzative e culturali.

Ma sono le ultime quelle che, personalmente, mi preoccupano di più.

Se le premesse di Sharexpo sono autentiche, ci si dovrebbe staccare dal fenomeno Expo per volgere uno sguardo al territorio, alle sue esigenze: a come permettere che emergano liberamente e a come far si che le istituzioni (pubbliche e private) si concentrino di più sull’instaurare un dialogo vero, ricettivo ed efficace, con la cittadinanza, anziché calcolare quale ritorno di immagine le loro azioni potranno più o meno produrre nell’arco dei prossimi 18 mesi.

“Secondo me Sharexpo è… un’opportunità”, c’era scritto ieri su molti dei badge dei partecipanti.

Un’opportunità che mi piacerebbe vedere sfruttata e non strumentalizzata, e che possa essere un messaggio in grado di partire dai dai valori della sharing economy e arrivare ben oltre quello che è il design di servizi collaborativi, magari fino a debellare gli incancreniti meccanismi culturali che l’Italia sta ancora disperatamente cercando di scrollarsi di dosso.

So di non essere l’unica a sognare una Milano, e un’Italia, più aperta, inclusiva, meritocratica, trasparente, collaborativa – in grado di dire e di ascoltare, di (di)mostrare ma anche di osservare, di educare ma soprattutto di imparare dai propri errori. Abbiamo i mezzi, la volontà e anche la tecnologia in grado di, fra le tante cose, ricordarci che il resto del mondo alcuni passi li ha già compiuti e che non è necessario dover partire per forza from the scratch se l’obiettivo è l’efficacia e la rapidità esecutiva.

Manca lo shift culturale, in direzione di una reale comprensione di questi valori e di una ferma volontà di agire coerentemente ad essi. Niente più attesa di azioni dall’alto, niente più indolente delega.

I “saggi” ieri hanno raccolto gli input dei presenti, e la mia speranza è che ciò possa aiutare un movimento che, però, necessariamente, dovrà vedere l’entrata in azione da parte di una città e un paese che da troppo tempo parla di cambiamento senza cercare di esserne diretta manifestazione.

Non può e non dovrebbe essere prevista l’esistenza di paladini della sharing economy o della cittadinanza attiva.Ora tocca a tutti.

Milano, 18 aprile 2014Margherita Pagani – Flythegap Foundertwitter: meg_pagcontact: [email protected]

Margherita Pagani – dalla pallavolo e le belle arti alle nuove tecnologie per l’impatto sociale. Oggi Founder di Flythegap. Missione? Fare della tecnologia un mezzo per le persone, uno strumento per creare: valore condiviso, nuovi modelli di sostenibilità, e un cambiamento responsabile e inclusivo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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