Perché è così difficile fare innovazione sociale sul territorio

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Sotto il cofano delle democrazie moderne a tutti i livelli (internazionale, nazionale e locale) ci sono essenzialmente: delega democratica e processo amministrativo, ne parlo qui.

Per varie ragioni entrambi i punti registrano spesso ritardi ed inefficienze e questo genera, tra le altre cose, un processo di auto-difesa da parte della collettività interessata che si organizza in comitati, associazioni ed altre forme simili.

Quando una o più di queste organizzazioni s’incontra su obiettivi comuni nascono le così dette “reti di reti” capaci di fare massa critica, in alcuni casi di intercettare finanziamenti pubblici e spesso riescono ad esercitare vere e proprie attività di lobby sulla politica locale. Nulla di male in questo anzi spesso il buon seguito di queste iniziative nate per integrare o addirittura colmare un vuoto politico/amministrativo è dato proprio dalla bontà degli ideali su cui si fondano e crescono queste organizzazioni.

Il problema è che più queste ultime crescono nel vuoto lasciato da politiche mancate o inefficaci o da processi amministrativi lenti e macchinosi più si auto-legittimano limitando l’interazione con la base alla sola richiesta di specifiche azioni finalizzate all’ottenimento della massa critica per potersi sedere ai tavoli della politica. Queste realtà spesso non sono visibili “ad occhio nudo” se non in specifiche occasioni (ne parlo qui) ma si collocano esattamente tra cittadini e pubblica amministrazione locale anche perché per quest’ultima sono e restano ad oggi l’interlocutore più facile e naturale da portare ai tavoli di lavoro ed nelle discussioni pubbliche.

Tutto questo genera un effetto non trascurabile: si formano soggetti portatori d’interessi ben radicati sul territorio. Quando arrivano persone che vorrebbe ripensare il luogo in cui vivono ma non fa parte di nessuno di questi portatori d’interessi semplicemente ne disturbano gli equilibri, spesso suscitano gelosie, attacchi, scetticismo e comunque sono esclusi dai tavoli di cui sopra.

Sia chiaro non tutte le organizzazioni operano in questo modo e non tutte hanno necessariamente seguito la genesi che ho descritto vi sono anche moltissime eccezioni, ma l’oggetto di questo post sono proprio loro (i portatori d’interessi sedimentati) e quindi è li che mi sto concentrando.

Gli amministratori locali si trovano di fronte a realtà che hanno un loro peso elettorale non trascurabile e questo ovviamente riduce anche se non totalmente le possibilità di cambiamento e d’innovazione reale sul territorio che tutti vogliono (a parole) ma che nella pratica si traduce quasi sempre nel fare cose anche nuove con metodi spesso molto vecchi: opacità delle azioni ed organizzazioni piramidali in primis.

Considero la cittadinanza attiva che si riunisce in comitati ed associazioni una cosa straordinaria e sempre auspicabile (io stesso ne faccio parte).

Ma guardo quanto meno con spirito critico le “reti di reti” quando non mi è possibile identificare i passaggi intermedi delle loro azioni, più in generale penso che più strati s’inseriscono tra la cittadinanza e le istituzioni più diventa difficile garantire equità e trasparenza.

Una delle prossime sfide cruciali per le istituzioni sarà proprio quella di saper gestire in modo trasparente gli equilibri cristallizzati anche riuscendo a veicolare l’azione sempre più diretta della cittadinanza attiva favorita (non sostituita) dalle nuove tecnologie. Il cittadino sempre meno utente e sempre più protagonista diretto e consapevole delle politiche pubbliche. Siamo appena all’inizio!

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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