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Perché è così efficace la comunicazione mediatica dell’ISIS

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Barack Obama ha recentemente annunciato l’avvio delle operazioni militari (o di supporto) in Iraq e in Siria per andare a stanare i membri di ISIS e qualche giorno dopo loro hanno risposto decapitando l’ennesimo ostaggio, questa volta un volontario Inglese. Le parole del premier britannico Cameron sono state durissime, cogliendo l’occasione per garantire il proprio supporto all’iniziativa statunitense. Ho voluto così dare uno sguardo a quella che è stata la comunicazione di ISIS e come sono riusciti ad attirare su di se così tanta attenzione ma anche supporto di molti gruppi estremisti medio-orientali. Una propaganda, vedremo, fatta non solo di efferate decapitazioni ma anche di video serie televisive ed una strategia improntata sui social media, da far invidia a quelle di una multinazionale.

Si è molto parlato delle decapitazioni e dell’aggressività, sia militare che civile, del movimento. Ma la comunicazione di ISIS non si ferma a delle cruente immagini di crocifissioni dei disobbedienti e decapitazione dei nemici. C’è molto di più. Si tratta di un vero e proprio apparato comunicativo con una strategia ben precisa che non si limita esclusivamente a lanciare un messaggio di terrore del mondo. Vengono utilizzate tecnologie moderne e strategie raffinate per raggiungere i propri obiettivi.

“In futuro nessun brand potrà fare a meno di una strategia social.”

Quello che per anni è stato un mantra che ha risuonato in tutte le marketing war room del mondo, sembra ora essere stato adottato anche dal più efferato gruppo terrorista in Medio Oriente, ormai diventato maestro nell’utilizzo delle tecniche di comunicazione digitali.

Capostipite dei comunicatori del terrore 2.0 fu proprio il terrorista islamico per definizione: Osama Bin-Laden. In un epoca in cui in Italia si faceva fatica a scaricare una canzone in meno di due giorni e in cui se mandavi un messaggio controverso ad un tuo amico ti piombava in casa l’NSA, Bin-Laden terrorizzava l’occidente da una caverna del Pakistan minacciando mezzo mondo occidentalizzato.

Rispetto al primo quinquennio del 2000, quando appunto Bin Laden la faceva da padrone tra gli aspiranti terroristi di tutto il mondo, ora quasi ogni combattente che si rispetti ha uno smartphone ed un account Twitter. Questo ha moltiplicato, come vedremo, le opportunità per i gruppi del terrore di far girare il proprio messaggio e di documentare quella che è la vita del combattente moderno.

In particolare ISIS, il gruppo terrorista salafita che sta occupando i notiziari del mondo, si è dimostrato particolarmente abile nell’utilizzo delle tecniche digitali per diffondere il suo messaggio in occidente, raggiungendo migliaia di giovani in tutto il mondo. Si tratta di un fenomeno particolarmente preoccupante per la Gran Bretagna, dove vivo, dove si stima che siano circa 500 i cittadini inglesi partiti per partecipare alla guerra in Siria. Proprio il boia che compare nei video delle decapitazioni sembra avere (confesso di non aver guardato i video) un accenno britannico.

Di sicuro la loro controversa politica di decapitazione di giornalisti non ha giovato alle loro pubbliche relazioni e non gli ha garantito una larga popolarità all’interno dell’opinione pubblica.

Ecco quindi che i mezzi di comunicazione digitali diventano il mezzo ideale per comunicare la propria versione dei fatti, il proprio messaggio ed ovviamente per reclutare nuovi partecipanti alla guerra contro gli infedeli. Sono infatti il mezzo ideale per diffondere messaggi univoci, senza filtri e per comunicare direttamente con la propria fan base senza che questa ne metta necessariamente in discussione la veridicità. Un po’ come avviene con le scie chimiche!

La strategia adottata da ISIS sui social media e’ stata creata a tavolino dal mago del computer Ahmad Abousamra 32enne di Boston ritenuto lo stratega della comunicazione digitale del gruppo terrorista. Il tutto ruota quasi interamente attorno a Twitter, e segue un obiettivo be preciso: 1) terrorizzare i propri nemici 2) ottenere nuovi alleati ed adepti.

Per quanta riguarda il punto uno, vanno ancora forte i video di decapitazioni di massa, teste impalate, e nemici feriti. Il messaggio e’ molto simile a quello contenuto nel video delle due torri che crollano: Nessuno di voi e’ al sicuro!

Per realizzare il secondo punto della loro strategia, i Jihadisti utilizzano invece una tattica più sofisticata. Cercano infatti di mostrare le “gioie” della vita del guerriero, mostrando foto di piscine, ville di lusso ed esibendosi in selfie mentre si godono la vita prima di sfoderare un nuovo attacco.

Quello che ISIS sta cercando di fare non e’ altro che mantenere coinvolto il proprio audience di riferimento distribuendo messaggi ad hoc per essere condivisi online da un pubblico estremamente interessato al proprio messaggio.

“Big corporations wish they were as good at this as ISIS is” (J.M Berger) Le grandi corporations vorrebbero essere bravi almeno quanto lo sono quelli dell’ISIS, dice J.M Berger il maggiore osservatore delle tecniche di comunicazione dei gruppi terroristi in medio-oriente. E non ha affatto tutti i torti; I jihadisti 2.0 dispongono di telecamere sofisticate in HD e hanno accesso a moderni software di editing. Insomma, contrariamente ad altri gruppi del passato la cui comunicazione era caratterizzata da video sgranati con sfondi improvvisati, quelli dell’ISIS non trascurano nessun dettaglio.

Esiste anche un app, che fino a qualche giorno fa poteva essere tranquillamente scaricata dal Play Store di Google, chiamata “The Dawn of Glad Tidings” (L’alba delle buone notizie) tramite la quale i gestori degli account ufficiali di ISIS potevano utilizzare gli account dei seguaci per poter mandare i loro messaggi unificati. Per capire la portata del fenomeno, basta dare un occhiata al grafico qui sotto ci mostra il numero di tweet mandati dall’app nel solo raggio due ore in una giornata qualsiasi.

(Fonte J.M. Berger)

Lanciata nell’Aprile del 2014, ha raggiunto il suo apice di utilizzo durante gli assedi a Mosul, raggiungendo quasi 40.000 tweet al giorno. Una rete di contatti piuttosto imponente!

Come qualsiasi addetto alla comunicazione social sa bene, non bisogna tralasciare gli hashtag. Conquistando una citta’ dopo l’altra, ISIS ha dimostrato che la guerra viene combattuta sia per la conquista del territorio che della narrativa del messaggio. Due sono stati quelli più utilizzati da quando ISIS ha fatto la sua comparsa: #Baghdad_is_liberated” and “#Iraq_is_ liberated”.

Non solo smartphone app e hashtag usati magistralmente, ma anche media ottimizzati per la condivisione. Senza tralasciare i veri divi della rete: I gattini!

Se questo non e’ abbastanza, esiste anche una miniserie che viene pubblicata su Youtube chiamata Mujatweets prodotta da Al Hayat Media formalmente una ONG Giordana che ha lo scopo di promuovere la vita politica all’interno della società civile giordana. Informalmente invece, Al Hayat è per ISIS quello che Mediaset è per Forza Italia. Ma senza Barbara D’Urso. Lo scopo di un tale sofisticato apparato comunicativo è evidente. Diffondere il messaggio che la guerra santa non e’ fatta esclusivamente di privazioni ma anche di divertimento e vita di lusso.

Anche qui vengono utilizzate tecniche di produzione di alto livello e strumenti molto sofisticati. Insomma corporate communication al suo massimo!

La maggior parte dei media si è focalizzato solamente sull’aspetto più truce della comunicazione di ISIS, contribuendo ad alimentare il messaggio di terrore tra la pubblica opinione e spingendo i simpatizzanti a cercare canali di comunicazioni unilaterali. E’ importante quindi notare come la follia del messaggio terrorista venga manipolata online grazie all’utilizzo di tecniche di comunicazione molto avanzate e come Internet anche in questo caso giochi un ruolo ambivalente. Strumento di conoscenza da un a parte, ma anche mezzo per diffondere messaggi unilaterali e manipolati dall’altra. Ovviamente non è assolutamente mia intenzione stare qui a fare una critica sul valore di Twitter come strumento di comunicazione e colpevolizzarlo di facilitare le comunicazioni fra terroristi come invece è stato fatto da altre parti.

Piuttosto inefficace si rivelato Il tentativo fatto da Baghdad lo scorso Giugno di impedire le comunicazioni tra terroristi, bloccando l’accesso a Internet. I terroristi 2.0 sono infatti perfettamente a conoscenza di quelle che sono le tecniche per evadere i blocchi e hanno dato una lezione importante al governo e alle forze Irachene. Perdere terreno fisico significa anche perdere il controllo delle comunicazioni digitali. E questo la dice lunga su quanto il governo Iracheno abbia controllo sul suo territorio.

L’avvento di ISIS, da un punto di vista di un osservatore dell’evoluzione della comunicazione digitale, ci ha quindi insegnato che si sta formando una nuova generazione di terroristi. Spesso più capaci nell’utilizzo delle tecniche di propaganda digitali dei loro contro-parte governativi e che sono anch’essi dei “nativi digitali”.

La nuova guerra non verrà combattuta quindi esclusivamente militarmente e per il controllo del territorio. Per evitare che il messaggio di ISIS venga diffuso in maniera virale in tutto il Medio Oriente, l’occidente dovrà combattere anche una guerra per il controllo della narrativa del messaggio. Se dovessimo lasciare che sia la loro ad avere la meglio, l’ideologia propagandata dal gruppo estremista avrà ancora lunga vita anche al termine delle operazioni militari e questa potrebbe rivelarsi la conseguenza peggiore.

Londra 26 settembre 2014MARCELLO MARI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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