Ci voleva il battibecco tra il presidente di Google Eric Schmidt e il ministro per i beni culturali Dario Franceschini, per capire che l’Italia non ha chiara la direzione da prendere. Il “teatrino” andato in scena durante il pubblico incontro alla Sapienza di Roma, ha visto da una parte un innovatore, un uomo pronto a nuove sfide, capace di coniugare la parola arte al sostantivo innovazione e dall’altra parte un ministro conservatore, che di fronte alle critiche ha sfoderato la spada per affermare che noi siamo diversi, che possiamo fare a meno della globalizzazione delle competenze, dal momento che abbiamo i migliori studenti di storia medioevale.
Per capire, quanto è accaduto, vale la pena rileggere il vivace dibattito tra i due.“Ai giovani italiani manca una formazione digitale”, ha detto Schmidt.“Ogni Paese ha la sua peculiarità, noi magari abbiamo giovani più competenti in storia medievale”, ha ribattuto il secondo.“Il sistema educativo italiano non forma persone adatte al nuovo mondo.
Serve un cambiamento nel sistema d’istruzione italiano” ha aggiunto Schmidt, portando l’esempio del suo paese, gli Usa, dove “in tutte le scuole si insegna informatica”.
Pronta la risposta di Franceschini: “In ogni paese ci sono vocazioni, magari un ragazzo italiano sa meno di informatica ma più di storia medievale e nel mondo questo può essere apprezzato. Un ragazzo italiano ad esempio potrà andare negli Usa a insegnare storia medievale e uno americano potrà venire qui a insegnare informatica”.
Parole che provocano un interrogativo banale: e se il ragazzo italiano specializzato in storia medioevale sapesse anche di informatica, non sarebbe meglio?
Il ministro sembra non aver colto l’opportunità che il presidente di Google ha lanciato all’Italia, spronandola a fare di più per quanto riguarda il digitale: “L’Italia ha una disoccupazione giovanile al 40%, che dimostra un fallimento delle politiche.
Un modo per affrontare questo problema è far recepire le abilità a livello digitale, incoraggiare i giovani in questo senso. Il futuro dell’arte è online, ma soprattutto la sfida sarà sul telefonino”.
Magari Schimdt sa che in Italia, per esempio, alla scuola primaria, l’unica materia che ha un’ora alla settimana d’insegnamento è informatica. Un dato che va a braccetto con il fatto che i giovani italiani (11-16 anni), secondo i dati Eu Kids presentati da Save The Children, sono penultimi nella classifica che misura le competenze digitali.
Forse non basta conoscere bene la storia medioevale (tra l’altro visti i tagli delle ore di storia dell’arte nei licei, c’è poco da vantare questo dato) se non si è capaci di attrarre turisti in Italia proprio a causa del gap digitale che abbiamo.
I numeri usciti dall’ultima rassegna internazionale del turismo, il Bit, tracciano un identikit interessante del turista 2.0: negli ultimi dodici mesi, il 91% dei viaggiatori ha prenotato online un prodotto o servizio di viaggio. Il web è considerato il canale più affidabile per cercare informazioni sull’offerta turistica e ricettiva di una località.
Non solo: il 99% dei possessori di smartphone e tablet si connette alla rete tramite device mobili mentre è in viaggio e il 47% utilizza un’app per pianificare, prenotare e informarsi.
Eppure uno studio Hrs, portale europeo di viaggi d’affari, ha posto l’Italia al penultimo posto nella classifica dei 20 paesi in cui gli hotel garantiscono gratuitamente l’accesso alla Rete tramite wi-fi. Lungo lo Stivale solo il 53% degli hotel è Internet friendly, mentre la media nazionale offre il servizio a un costo orario di 3,48 euro. Alla testa della classifica c’è Turchia con l’85% degli hotel in cui il wi-fi è gratis, seguita a distanza ravvicinata dalla Svezia (82%) dalla Polonia (80,5%) dalla Repubblica Ceca (73,9%).
Forse il ministro Franceschini, avrebbe incassato meglio la critica del presidente di Google se avesse risposto che abbiamo giovani competenti in storia medioevale ma presto avremo ragazzi che la storia del medioevo la racconteranno con un’ app!
Bologna, 11 giugno 2014ALEX CORLAZZOLI