Perché Google Plus sarà la più grande bussola dell’informazione online

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Chiunque può scrivere su Internet. Tutti possono aprire un blog, twittare, postare per raccontare le proprie storie. Tutti possono comunicare attraverso Internet. Pubblicare video, foto e audio. Scriviamo, registriamo, pubblichiamo. Diventiamo così tutti scrittori e personaggi pubblici.

Tutti scrivono, nessuno legge?Oggi questa è una delle questioni più dibattute tra persone che, come me, si occupano di comunicazione digitale. Affrontiamo da anni quello che ormai è stato definito un overload informativo. Un fenomeno che ci porta a districarci tra contenuti utili e contenuti inutili, senza riuscire chiaramente a distinguere tra l’uno e l’altro.

Siamo tutti scrittori e, nello stesso tempo, lettori disorientati.Ma siamo ancora dei lettori e dei fruitori di informazioni. Sì, leggiamo e forse, vorremmo leggere ancora di più. Chi ha questa consapevolezza, da scrittore, non si chiede più come fare a scrivere, bensì come riuscire a farsi leggere.

La domanda che si pone il lettore è invece come trovare l’informazione di cui ha bisogno, ovvero quell’informazione che è utile e rilevante per lui.

È la stessa domanda che da sempre si pone Google.Proprio qualche giorno fa lo ribadiva Larry Page al TED: “la mission (di Google ndr) l’abbiamo definita tanto tempo fa: è quella di organizzare tante informazioni per renderle universalmente accessibili e utili”.

Google vuole da sempre rispondere alle persone che cercano un’informazione con il migliore risultato possibile.

Per farlo realmente dovrebbe conoscere chi effettua la ricerca, perché ognuno ha un’esigenza diversa, un’aspettativa personale.

Da questa esigenza nasce il progetto Google Plus, il social layer di Google. Con tantissime e per niente banali implicazioni sulla privacy, Google chiede a scrittori e lettori di identificarsi e di farsi riconoscere.

Non solo. Chiede di rivelare le proprie connessioni, il suo network.In questo modo risponde da una parte all’esigenza di visibilità dello scrittore, più propriamente chiamato “autore del contenuto”, e dall’altra introduce i risultati personali per il lettore.

Con la nostra identità plasmata attraverso Google Plus, possiamo attribuirci il nostro contenuto ed apparire nei risultati di ricerca con il nostro volto accanto al risultato mostrato. Ovvero otteniamo l’Authorship. Se volete implementarla basta avere un profilo su Google Plus e seguire la Guida ufficiale di Google. L’autore mette la sua faccia anche tra i risultati della ricerca. La sua identità di persona attribuisce credibilità al contenuto, lo rende maggiormente visibile all’occhio umano che scorre la pagina dei risultati su Google.

Se poi il lettore conosce ed apprezza già l’autore, la probabilità che scelga quel risultato, se coerente con la sua ricerca, aumenta.

Le persone si fidano delle persone che conoscono. Sono più disponibili ad ascoltare voci a loro note. Sono le persone, anche sul web, a condurci verso nuove scoperte, ad influenzare le nostre scelte, a farci conoscere altre persone. L’impressione però è quella che all’allargarsi del network, la serendipity si affievolisca. I lettori sono traghettati verso la scelta del contenuto utile da altre persone e così come sarà difficile perdersi in un oceano d’informazioni, sarà più improbabile scoprire l’America alla fine del nostro viaggio. Il network, se ben orchestrato, ha il potere di amplificare, come una eco, un determinato messaggio.

Più il network sarà forte, coeso ed organizzato e più ci faremo guidare da lui. Lo so perché costruire network con queste finalità fa parte del mio lavoro.

Con i risultati privati (My Answers) e con Google Now possiamo trovare sulla ricerca di Google anche contenuti che le persone che fanno parte del nostro network, ovvero delle nostre “cerchie” su Google Plus, condividono solo e direttamente con noi, senza renderli pubblici.

Il lettore qui va a colpo sicuro. Immaginate di fare conversazioni private su Google Plus come le fate su Whatsapp. I risultati privati vi restituirebbero su Google le conversazioni e le foto di Whatsapp. Questo vi fa pensare a qualcosa?

Quanto valore hanno per noi le nostre conversazioni private, le nostre storie e le persone con le quali le costruiamo? Per capire questo valore vi invito a non pensare più ad Internet. Pensiamo di andare in libreria per scegliere un libro da leggere. Un romanzo o un racconto.

Cosa conta di più per voi? L’editore? Il titolo? L’autore o il consiglio di un amico? E cosa consigliano gli amici? Il titolo o l’autore? Capire cosa influenza le nostre scelte e le nostre preferenze non è facile neanche per noi stessi. Ci prova Google. Ma, mi raccomando, non ce ne innamoriamo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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