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Perché il diritto all’oblio non è un’opinione

innovaizone

Chi mi segue sa che parlo spesso di diritto all’oblio perché è una materia che mi sta molto a cuore, in quanto vedo spesso commenti ingiusti che lo vedono quale antitesi e pericolo del diritto di cronaca o quando va bene del diritto storico o documentaristico. In realtà invece è un diritto sacrosanto dell’interessato che non deve alcun modo essere perseguitato dalla memoria imprevedibile della Rete. Il che peraltro contrasterebbe con gli stessi principi sottesi alla funzione rieducativa della pena. Oggi, dovrebbe essere del tutto evidente che la pena non possa più essere considerata come un semplice castigo (come invece sarebbe se non esistesse il diritto all’oblio che in mancanza permetterebbe la diffusione all’infinito delle colpe del reo); emblematico in questo senso l’art.

27 della nostra Costituzione in cui è sancito il principio per cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione (e alla risocializzazione) del condannato. Difficile pensare ad una risocializzazione quando i tuoi precedenti (anche banali) rigalleggiano in Rete all’infinito.

Il diritto all’oblio è quel diritto secondo cui si può essere dimenticati, in modo che il nostro passato non riemerga con una ricerca online anche dopo anni

La sentenza che qui si commenta è quella della Corte di Cassazione del 24 giugno 2016; la numero 13161/16, che secondo alcuni commentatori avrebbe la particolarità di dilatare la portata del (già ampliato dal recente Regolamento Europeo Privacy) diritto all’oblio, nel senso che imporrebbe una scadenza al diritto di cronaca, non potendo una notizia persistere nell’archivio digitale dopo un tempo considerato (da loro) eccessivamente modesto.

Che poi sarebbe quello che va dal 2008 al 2011, e che nella sentenza si riferisce alla deindicizzazione e non alla cancellazione dall’archivio digitale come invece molti commentano). Il diritto all’oblio è quel diritto secondo cui si può essere dimenticati, in modo che il nostro passato non riemerga con una ricerca online anche dopo anni e sul quale ho già approfonditamente scritto. La prima cosa che si rileva è che chi ha commentato la sopracitata sentenza l’abbia fatto sulla base di altri articoli del medesimo tenore, non riferendo la stessa di un obbligo di cancellazione dall’archivio storico e che qui si preferisce riportare per esteso.

NESSUNA SCADENZA AL DIRITTO DI CRONACA

Risulta evidente dalla lettura della sentenza che non si affermi assolutamente che il diritto di cronaca abbia una scadenza, imponendo la cancellazione dei dati dall’archivio storico del giornale ma semplicemente dice, come molte altre decisioni sull’argomento, che la deindicizzazione deve essere garantita in tempi ragionevoli.

Lo stesso Luigi Montuori (funzionario dell’autorità Garante per la protezione dei dati personali) ha spiegato in una recente intervista radiofonica in tema di diritto all’oblio che è “importante differenziare il diritto all’oblio e il diritto alla contestualizzazione della notizia. Sul primo aspetto, ad esempio, una persona condannata e che ha espiato la sua pena ha diritto ad utilizzare il codice sulla protezione dei dati personali e chiedere che la notizia venga quanto meno deindicizzata. Sul secondo aspetto, immaginiamo un cittadino che viene invece indagato e poi prosciolto e che si ritrova con la notizia del suo essere finito sotto indagine ancora in circolazione”.

La notizia deve essere non tardivamente deindicizzata

Quello che la corte di Cassazione afferma non è la scadenza del diritto di cronaca che permane, potendo la notizia legittimamente risiedere nell’archivio storico del giornale, ma che la stessa deve essere non tardivamente deindicizzata come invece avvenne nel caso in questione (notizia del 2008 e deindicizzazione del 2011). Ed è proprio dalla tardiva deindicizzazione che deriva il risarcimento del danno nel caso in esame di cui all’art. 15 del codice privacy.

La Cassazione ha stabilito che

“un articolo di cronaca su un accoltellamento in un ristorante dovesse essere rimosso dalla rete [cioè deindicizzato (e non cancellato dall’archivio digitale del giornale)] nel senso di rimuovere la sua diffusione sul web (caratterizzata da sistematicità e capillarità della divulgazione dei dati trattati)

perché pur essendo corretto, raccontando la verità e non travalicando i limiti di legge, aveva prodotto un danno ai ricorrenti, cioè i soggetti attivi della vicenda di cronaca giudiziaria”. Vicenda che, ai tempi della richiesta di rimozione dell’articolo, non si era ancora conclusa in giudizio. Più precisamente nella sentenza 13161/16 della Suprema Corte si legge “d’altra parte se da un canto la persistente pubblicazione e diffusione su un sito web della notizia di cronaca in questione risalente ad un fatto del 2008 appare per la oggettiva e prevalente componente divulgativa esorbitare dal lecito trattamento di archiviazione on line di dati giornalistici per scopi storici o redazionali…

CONSULTABILITA’ DELL’ARTICOLO

Per gli ermellini “la facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico, molto più dei quotidiani cartacei tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale online, consente di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida, il trattamento di quei dati non poteva più avvenire”.

“L’esperienza che abbiamo maturato in questo ultimo decennio – ha dichiarato Montuori nella trasmissione radiofonica Presi per il web – ci porta a dire che, in generale, il mondo della rete richiede interventi, a noi come ai nostri colleghi europei nonché ai tribunali, su tre importanti aspetti: il primo è quello degli archivi online dei giornali, perché scrivere sulla carta stampata, una volta, voleva dire che l’articolo veniva accatastato e la memoria era umana. Oggi, per fortuna, è possibile poter rivedere ciò che è stato scritto con un profondo approccio storico, una ricchezza che d’altra parte pone delle questioni come quella del diritto all’oblio. Il secondo aspetto è quello dei social network. Il terzo aspetto è quello dell’utilizzo dei nostri dati personali immessi in rete a fini commerciali e di profilazione”.

DUE SENTENZE DELLA CORTE

Montuori ha approfondito la questione, in relazione soprattutto alle vicende di cronaca. Su questo fronte, la giurisprudenza italiana si muove infatti tra due differenti sentenze. La prima, quella di Ortona del gennaio 2013, che ha visto la condanna del direttore del giornale online abruzzese Primadanoi.it al pagamento di un risarcimento nei confronti di alcuni ristoratori della zona per un articolo riguardante un fatto di cronaca giudiziaria vero, ma che, a detta del tribunale, era rimasto online troppo a lungo arrecando così un danno ai protagonisti della vicenda.

La seconda, invece, è quella della Corte di Cassazione del 2012, che stabiliva come fosse un dovere dell’editore o comunque del responsabile di un database web tenere aggiornati i materiali relativi a procedimenti giudiziari per garantire il diritto alla contestualizzazione dell’informazione. Secondo il parere della Corte, un articolo può rimanere online ma va obbligatoriamente aggiornato, così da tutelare sia l’immagine della persona coinvolta sia rispettare il diritto dei cittadini ad essere informati.

La Suprema Corte riconosce da un lato il valore di documentazione storica dell’archivio del giornale ma, dall’altro, cerca un punto di equilibrio tra questo valore e le esigenze di aggiornamento figlie del diritto degli interessati

Appare dunque evidente la differenza di approccio tra un Tribunale che cerca di imporre una “data di scadenza” alla permanenza di una notizia nella disponibilità dei lettori di un giornale e la Suprema Corte che, invece, riconosce da un lato il valore di documentazione storica dell’archivio del giornale ma, dall’altro, cerca un punto di equilibrio tra questo valore e le esigenze di aggiornamento figlie del diritto degli interessati a veder correttamente rappresentata la propria immagine online. Sull’argomento suggerisco anche la lettura delle argomentazioni dell’Avv. Daniele Minotti che evidenzia bene la sentenza e la decisione del Garante che impongono l’aggiornamento nell’archivio storico con modalità che garantiscano la visibilità in ordine degli articoli.

In questo sito si può verificare lo stato delle richieste di diritto all’oblio in relazione alla deindicizzazione di Google.

MONICA GOBBATO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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