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Perché il fenomeno del neknominate racconta il fallimento della scuola

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“Prima o poi tocca a tutti. Se ti nominano devi bere a canna e mettere il video in Facebook”. E’ la nuova moda della rete. Un fenomeno che nel giro di un mese ha già fatto migliaia di “adepti”. Il gioco rischioso e contagioso si chiama neknominate. A scuola i docenti non ne sanno nulla. I genitori nemmeno. Eppure mi basta fare un giro sui profili Facebook dei miei ex alunni per scoprire che la roulette russa dell’epoca 2.0 ha travolto tutti gli adolescenti che conosco.

Sul profilo di Giovanni c’è un post: “Nomino Gabriele, Samuele e David. Caricate il video entro ventiquattro ore se no mi dovete una cassa di birra”. Un invito al neknominate.

Sotto la testimonianza: Giovanni, felpa grigia, occhiali scuri, cappellino e birra in mano si scola in pochi secondi la sua “bionda”.

Pochi minuti più tardi nomina altri tre. Stavolta tocca a Gibo. Il video che posta sulla sua pagina è eloquente: seduto sul suo letto in una stanza avvolta da striscioni e da poster dei benamati, parla alla telecamera del personal computer con aria orgogliosa: “Ringrazio per la nomination a sto cazzo. Oggi sono qua per sfidare tutti voi, dal primo all’ultimo”. Poi alza una bottiglia di vodka, la versa in un bicchiere e se la scola tutta d’un fiato. Ora tocca a lui proseguire la catena alcolica del neknominate.

Non c’è adolescente da Crema a Bologna fino a Palermo che non conosca “Neknominate”, la moda dello sballo alcolico sbarcata su internet dall’Australia. Bisogna parlare con uno di loro per capire: “Oggi – mi spiega Nik – sono stato nominato anch’io.

Entro una giornata dovrò bere tutto d’un fiato una birra. Tra noi di prima, seconda, terza superiore si va di birra. Chi ha più di vent’anni si fa i superalcolici. Tutti i raga e le raga, la conoscono sta cazzata. Anche le femmine non si tirano indietro”.

Intanto in Usa e Australia si contano i primi morti per coma etilico. Loro, i miei ex alunni, lo sanno. Ma non possono tirarsi indietro. E’ la legge del branco che da sempre detta le regole dell’adolescenza. Finora avevamo assistito al cyber sex, ai giochi perversi su chatroulette.

Ora dovremo fare i conti con un mondo virtuale che incentiva all’uso di alcol.

Nulla di nuovo dal punto di vista della sostanza. Vent’anni fa la mia generazione si faceva di chupito da bere “di rigore” al bar del paese.

Nel 2014, i nativi digitali s’incontrano sulla rete anziché davanti al bancone dell’osteria. Ci si sfida dietro un monitor. E’ cambiato poco sennonché la rete è molto più virale.

Chi è sempre assente è la scuola, cieca, sorda e muta di fronte ai fenomeni che coinvolgono i figli della nostra epoca. Dobbiamo smetterla di immaginare un mondo senza Facebook. Solo dei docenti retrogradi e ancorati ad un tempo ormai passato, possono credere che si possa crescere senza usare il social network più famoso al mondo. Sono 7,5 milioni i bambini con meno di 13 anni a usare il sito, di cui 5 milioni con meno di 10 anni. Secondo i dati Eurispes, il 42% dei bambini italiani e il 78% degli adolescenti usa i social network.

Non solo. Grazie alla rete, oggi, i bambini sanno di alcuni marchi con maggiore facilità. Tra questi vi sono le bevande alcoliche.

Lo scorso anno, ho fatto un percorso d’educazione al consumo dell’alcol in una classe quinta della primaria e la maggior parte dei ragazzi conosceva tutti quei ready to drink a base di rum, succo di frutta e sparkling water.

Di fronte a questo scenario, abbiamo una sola strada: educare ad una cittadinanza digitale e ad un consumo consapevole. L’educazione civica di antica memoria deve trovare una nuova declinazione: le regole del gioco così come le mode non sono cambiate. Siamo solo in una nuova epoca ma la scuola italiana non s’è accorta.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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