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Perché il nuovo logo di Firenze è un cattivo esempio di crowdsourcing

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Ieri è stato presentato il nuovo brand della città di Firenze. Sì, perché finalmente anche le nostre amministrazioni hanno scoperto il “destination brand”. Meglio tardi che mai.

Perché davvero ce l’abbiamo messa tutta a veder crollare del 4,6% i pernottamenti nel nostro Paese, mentre i dati Eurostat registrano un segno positivo a livello europeo (+1,6%), con i boom di Grecia (+11,7%), Malta (+7,8%), Lettonia (+7,3%), Gran Bretagna (+6,5%), Bulgaria (+6,2%), Slovacchia (+5,5%) e Ungheria (+5,0%).

Nonostante il turismo in Italia valga il 9,4% del nostro Prodotto Interno Lordo e impieghi circa 2,5 milioni di persone, il branding non è ancora entrato nelle agende della nostra politica. Altrimenti come puoi spiegarti la poca attenzione delle nostre amministrazioni nella realizzazione dei marchi delle nostre principali destinazioni turistiche? No perché, oggi si parla tanto di quello di Firenze, ma non è che il marchio di Roma si sia fatto riconoscere per originalità realizzativa…

Poi sembra che gli addetti ai lavori ce l’abbiamo con le piattaforme di crowdsourcing, ma non è così.

Le associazioni di categoria, i professionisti di design sanno cosa significa disegnare un logo, costruire un brand, riempirlo di significati e significanti, per questo invitano alla prudenza e diffidano di un contest creativo che raccoglie oltre 5000 proposte e premia la meno peggio.

Massimo Guastini, presidente dell’Art Director Club Italiano ha stigmatizzato nella mailing list dell’Associazione alcune riflessioni che credo valga la pena condividere. Anche perché ieri i rappresentanti dell’ADCI erano presenti alla conferenza stampa e alcuni degli interrogativi non hanno trovato soddisfazione.

“5000 mila proposte. Anche dedicando una attenzione davvero esigua significano 83 ore di lavoro. Non credete che valorizzare la creatività significhi dedicarle la giusta attenzione?”. “Non credete che valorizzare la creatività significhi darle soprattutto un giusto valore economico?”

“Sapete quanto lavoro è necessario per elaborare un logo (per non parlare di una strategia di branding)? Quante ore di lavoro servono secondo voi? Perché non avete accolto i suggerimenti di Associazioni, Adci a Aiap, sul come far rientrare in una best practice la gestione di questo concorso?”

“Creare un logo è un lavoro, perché non lo pagate? Se non potete pagare 5000 proposte perché non vi fate aiutare nella selezione di 4 strutture competenti, riconoscete un rimborso minimo a tutti per partecipare e poi fate scegliere a una commissione che a sua volta abbia il giusto tempo e le giuste competenze per valutare le proposte?”

Il crowdsourcing è una delle fantastiche opportunità offerte da Internet, ma non possiamo permetterci il lusso di speculare su un tema importante come quello del turismo.

Perché, se parliamo di brand, il turismo è uno dei nostri più importanti argomenti di vendita. In gergo si chiama USP, la Unique Selling Proposition dell’Italia è la meraviglia di città come Firenze.

Per quale motivo, alla prima occasione utile, le regaliamo un marchietto realizzato in maniera superficiale e non ci siamo impegnati per valorizzarne l’importanza del suo carisma livello mondiale?

Che peccato vedere sfumare una così importante occasione per valorizzare il nostro patrimonio. Non perché il marchio sia bello o brutto. Non sono questi i termini della questione. L’amarezza è per come sia stato gestito l’intero processo. Con una colpevole inconsapevolezza nei confronti dei più elementari principi della cultura di marca.

Come se Firenze non meritasse un vero e proprio brand, ma potesse accontentarsi di un marchietto a caso.

Senza amore per una delle città più belle del mondo.

Firenze, 11 marzo 2014Paolo Iabichino@iabicus

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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