in

Perchè il Sud (un certo tipo di Sud) deve morire

lifestyle

Sono state giornate intense quelle di questa estate. Giornate dove abbiamo cercato di prenderci cura dei nostri territori, delle nostre comunità, attraverso piccoli e grandi progetti che abbiamo l’onore di seguire con piccoli e grandi eroi contemporanei. Sono tanti, sono belli, sono i nuovi Ulisse di un Mediterraneo rinnovabile ma non ancora rinnovato che attende di recuperare un posto di guida nella complessità del presente.

Giornate intese, dove lontana giungeva l’eco di una querelle su Sud e questione meridionale. Molte campagne a favore, molte campagne contro… tutto molto lontano da quella capacità di accettazione tragica del conflitto che è tipica del genius loci meridiano.Il pensiero meridionale ci suggerisce di andare oltre le solite dialettiche da ultras, di superare quella apparentemente endemica necessità di risolvere ogni conflitto con un vincitore ed un vinto.

Ce li vedete Salvini VS Totò? Non credo ci sia proprio paragone.

Tuttavia non è di questo che voglio parlare. Non ho argomenti, non ho posizioni. Voglio e posso impiegare il mio tempo solo a piantare ghiande sapendo che non potrò godere dell’ombra delle querce ma consapevole che è l’unica cosa giusta da fare.Con la difficoltà umana di mettere da parte un po’ di vanità e lontano dalla fascinazione di altri e più redditizi lidi, ho girato km dentro e fuori di me ricercando ed incontrando i nuovi Ulisse nelle aree interne e rurali di questo bellissimo Sud.

Sono tanti, creativi, intelligenti, preparati, brillanti, efficaci, efficienti, operosi, generosi, solidali, ironici, dubbiosi, belli.

Belli assai. Pieni di Vita. Pieni di idee e di soluzioni per uscire dal fallimento del presente.

Incontri bellissimi, ripeto, e tutte buone notizie dal futuro.Come Ulisse, molte volte, hanno varcato le Colonne d’Ercole e poi sono ritornati a casa, pieni di idee da condividere con e per le loro comunità.Sono forti, credetemi. Spesso in pochi di loro riescono in imprese fantastiche: in quattro o cinque hanno recuperato dei semi di grani antichi ed hanno reso famoso un anonimo paese del Cilento; un paio di loro mi hanno scarrozzato su una macchina elettrica autocostruita utilizzata per ridurre i costi di spostamento della comunità che orbita intorno ad una ex segheria trasformata in un bellissimo centro culturale; uno di loro è riuscito con una idea semplice ma efficace a ribattezzare l’Isola di Procida come un paradiso della lentezza, come il “luogo” dove poter riappropriarsi della consapevolezza del proprio esser-ci attraverso uno strumento denso, ricco e vario di significati: la mappa a passi.

Ulisse fantastici, grandi creatori di senso e di futuro che però, imbrigliati nelle grotte di Polifemo, finiscono per diventare Nessuno. Nelle maglie delle istituzioni, attente a mantenere equilibri prestabiliti e facili giochi di potere, i nostri eroi sembrano non esistere. Come se appartenessero ad un altrove non ancora ben codificato, ad un orizzonte romantico lontano da una realtà che sembra averci assuefatto alla sua scadente volgarità. Come se la storia del valore, della creatività, della solidarietà, del ben-essere non possa, non debba, più appartenere alla nostra storia. Alla nostra quotidianità.

Ulisse fantastici, grandi creatori di senso, protezione civile volontaria del futuro. Sono Nessuno, ben lontani da incarichi, commesse e consulenze del carosello metafisico dell’innovazione di sistema che galleggiano in Sud che pare voglia ostinarsi ad essere ricacciato nella suo dover essere resiliente, abdicando ad ogni sua antifragile possibilità evolutiva.

Un Sud amministrato ancora di tanti piccoli burocrati banali alla prese con la necessità di fronteggiare il loro vivere ed agire in un “Non ancora Nord” (e cito il mio maestro Cassano) senza affrontare l’urgenza a cui sono chiamati dalle loro comunità: una urgenza di prossimità, di fiducia, di conoscenza. Un’urgenza di possibilità di agire e sbagliare insieme.

Nulla da fare. Pare che ormai siamo vittime di una potente indolenza, di una debolezza ormai estrema, privi di qualsiasi vis medicatrix naturae. Perchè anche i più giovani tra molti dei giovani rappresentati delle istituzioni che ho incontrato è come se fossero nati già vecchi. E’ come se avessero dovuto guadagnarsi il loro posto in prima fila al fallimento delle nostre comunità con un master in Obsolescenza, con un dottorato in codardia, con una patente in servilismo.

Il caro amico e compagno di ricerca Luigi Corvo giorni fa scriveva dal sito di Possibile che “La nostra idea è di un riscatto possibile per un Sud che sappia essere antifragile puntando su un suo peculiare modello di sviluppo perché non ha senso e non è realmente efficace importare modelli da altri contesti, ma abbiamo l’urgenza di identificare una via Mediterannea. Ed è per questo che combattiamo contro quel modello assurdo delle trivellazioni, del consumo del territorio e delle risorse che non sa fornire nessuna prospettiva se non ripetere e conservare impostazioni superate dalla storia. Offriamo con questo spirito l’opportunità dei referendum a tutti coloro che vorranno sostenerli, perché abbiamo nelle nostre menti e nelle nostre intenzioni un nuovo mondo e un nuovo Sud che sappia essere innovativo perché ricchissimo di saperi antichi”.

Come non essere daccordo, ma se è vero quello che dice Taleb, ovvero che “l’antigìfragilità va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l’antifragile migliora. Questa qualità e alla base di tutto ciò che muta nel tempo: l’evoluzione, la cultura, le idee, le rivoluzioni, i sistemi politici, l’innovazione tecnologica”, bisogna capire caro Luigi, caro Civati, cari tutti, che va ristabilito radicalmente un ordine delle priorità. Anzi, continuando a prafarasare Taleb, forse è vero che l’urgenza di una via Mediterranea è quella che offre la possibilità di “prosperare nel disordine“, lontano non solo dalle trivellazioni per il petrolio ma anche dalle ancor più gravi trivellazioni dell’anima. Quelle trivellazioni che portano il Sindaco di Procida, tale Dino Ambrosino, a spendere minuti del suo tempo in un servizio al Tg3 per raccontare di Procida che vuole posizionarsi come isola della lentezza soffermandosi a descrivere i grandi investimenti fatti per le bici elettriche e senza fare menzione di Procida a Passi, della Mappa a Passi, realizzata da Tony Ponticiello, da sempre una avanguardia, uno dei nostri Ulisse di cui prima, che coerentemente con la migliore tradizione mediterranea è ben consapevole che la via dell’innovazione passi non solo per gli hype del nostro tempo (Kronos) ipertecnologico ma soprattutto per la responsabilità di vivere il “tempo” (Kairos) come una scelta.

E non è un caso, dicevamo, che il magmatico mondo dell’innovazione trova un terreno più che fertile oggi nei vari Sud del Mondo, ovvero lontano dalle centralità metropolitane, e lontano dai centri di potere (anche meridionali e periferici, ma non appartenenti al Sud dell’anima perchè ancorati appunto a quel complesso di inferiorità di essere amministratori di “Un non ancora Nord“) laddove ci sono uomini e donne, giovani non solo per condizione anagrafica, che mettono in gioco le loro migliori energie a servizio di un modello nuovo di sostenibilità (non solo ma anche economica) legata alla consapevolezza di poter vivere in maniera iperlocale la scelta di costruire da/per le periferie dell’Impero.

E proprio perchè questi gangli istituzionali continuano a considerare nessuno i nostri Ulisse, questi continuano a salvarsi ed a salvarci dagli effetti nefasti di Polifemo.

Non so quali siano stati i motivi per cui il sindaco di Procida abbia tralasciato quello che è a mio parere (e parlo da esperto di territorial branding) è uno degli strumenti più forte di storytelling autentico per raccontare l’equazione Procida = Lentezza. Contattato appena dopo aver visto il provincialissimi servizio del Tg3, da giorni attendo ancora una risposta che forse non arriverà. Conta poco, qualsiasi essa sia dichiarerà palesemente che non c’è volontà o capacità o, meglio, non c’è il coraggio di abbracciare realmente quella via meridiana fatta di prossimità, di amore, di cura e di conoscenza della propria comunità di cui spesso i nostri politici amano fasciarsi la bocca.

Ancor di più nei tempi della contemporaneità interconnessa che avvolge nell’infosfera flussi di idee, comunicazioni e pensieri e che riduce gli spazi ed annulla l’idea di mondi differenti e lontani: una modernità metropolitana dove avviene il futuro e le aree periferiche arretrate perennemente ancorate al passato; una innovazione edulcorata di apparato ed il nuovo underground e sfigato. Le esperienze innovative se hanno senso e meritano non hanno bisogno di lascia passare, di pacche sulle spalle e di raccomandazioni politiche: oggi entrano prepotentemente nella dialettica dello storytelling contemporaneo e, come elemento critico, diventano anticorpi per aiutarci a ripensare nuove forme di futuro.

E così si finisce nel paradosso che a conoscere ed apprezzare Procida a Passi sia il regista tedesco Sven Rech, che ha realizzato un documentario andato in onda anche sul canale satellitare francese Arte, e non il sindaco di Procida. Che vergogna.

Mediterraneo si, mediterraneo no… forse ho speso fin troppe parole.Forse sono finito vittima anche io della mia vanità e sto usando a pretesto una storia che è allegoria di una situazione nella quale ci siamo sentiti tutti stretti molte volte nelle nostre vite.Per tagliare a corto, forse per riuscire a ricucire la relazione con il nostro essere mediterranei dobbiamo semplicemente ricollocarci nel presente e ri-cominciare ad affrontare ogni pezzo di futuro con la preoccupazione di quale sia la cosa giusta fare piuttosto che quella più conveniente.

Hai detto niente! un’azione che solo gli Ulisse coraggiosi possono fare. Solo chi ha il coraggio di morire come singolo, chi ha il coraggio di lasciar morire il suo ego sapendo di poter rinascere nella comunità può fare.

Purtroppo non è un lavoro da Polifemo.

Quello di cui abbiamo bisogno non sono solo bandi a tasso agevolato, campagne di comunicazione innovative e gadget ultratecnologici da smartcity con cui perpetuare la nostra condizione di cittadini-sudditi, ma di riprendere nuovi spazi di socializzazione, di fiducia e di prossimità nelle comunità per cominciare realmente ad essere co-produttori di un processo innovativo che prenda tutto quello che serve dal passato e che ci possa essere di aiuto per indagare in maniera critica il futuro.

L’antifragilità ci fa capire meglio la fragilità. Così come non possiamo migliorare la salute senza attenuare la malattia, né accrescere il patrimonio senza prima ridurre le perdite, l’antifragilità e la fragilità rappresentano gradi diversi del medesimo spettro. Non è possibile lanciarsi a cuore aperto verso la costruzione di un futuro diverso senza un solido radicamento culturale ed una conoscenza reale profonda di fatti, cose, costumi e persone della comunità.

Non c’è possibilità di comprendere quale sia il futuro migliore senza aver vissuto e capito l’etica autentica della comunità. Senza convinzione che il futuro non esiste se non come scelta, come atto politico.Ma , ripeto, per fare questo il primo passo è la capacità di saper morire. Sarà bene rimboccarsi le maniche…

ALEX GIORDANOCalvanico (SA), 27 agosto 2015

(reblog dal post originale pubblicato dall’autore su Facebook)

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

What do you think?

Scritto da chef

innovaizone

Cosa manca alla PA per portare la rivoluzione digitale sul cloud

innovaizone

Ecco BigRock, la scuola che insegna a disegnare il cinema