Al termine del Master in Information Design uno dei miei sogni era insegnare. Per questo, nel 2008, ho fatto domanda per essere ammessa al corso di preparazione all’insegnamento universitario in arte e design che si teneva alla St Martins di Londra. È stato un corso duro ma illuminante, poiché fatto di tanta teoria e di tanta pratica.
Vale a dire lezioni in aula e prime esperienze di insegnamento sotto gli occhi di un mentore che valutava i contenuti presentati, di un direttore del corso di laurea dell’istituto e di un responsabile che controllava il tuo body language, il tuo modo di organizzare lo spazio e di muoverti in quello spazio, la tua attitudine a rispettare tutti i ragazzi presenti in aula senza nessuna discriminazione di religione, provenienza, lingua, età.
A circa un mese dalla mia prima lezione ricordo che trovai il clip in una brevissima intervista a Richard Saul Wurman in cui raccontava la sua idea di cosa è design, uno strumento che permette di rendere comprensibile ciò che è complesso. Tutto al fine di riuscire a navigare l’informazione, sia essa una città, una struttura architettonica, un libro, un diagramma, un estratto conto. Rendere l’Informazione accessibile è uno degli obiettivi di un design che funziona.
Design e comprensione danzano come in un tango, pieno di passione, di razionalità, di ordine, di rigore, di imprevedibilità, di bellezza, di emozioni. Di umanità.
Con questa definizione incontravo Richard Saul Wurman e di lì a poco avrei deciso di leggere uno dei suoi libri più famosi (ne ha scritti più di 80), Information Anxiety, che è stato fondamentale per definire la struttura portante di quello che insegno e di quello che cerco di mettere in pratica come designer.
Da quel giorno continuo a trovare ispirazione nelle sue parole, nelle sue idee, nonostante siano a volte così cariche di provocazione, così “abrasive” lui dice. È, secondo me, un visionario, un uomo da ascoltare, uno di quelli da non perdere di vista. Attraverso la lettura del suo libro ho scoperto che è il padre di TED, ormai notissimo format che mette insieme relatori di ogni genere i cui interventi vengono filmati e condivisi online, nato come un party per celebrare la convergenza di Technology, Entertainment e Design.
L’idea di TED è nata nel 1980 grazie alla sua convinzione che le conversazioni più interessanti che Richard aveva avvenivano duranti viaggi in aereo, in treno, durante i break tra un meeting e l’altro. Ma, soprattutto, avvenivano quando persone diverse attive in settori del business, dell’intrattenimento, del design avevano opportunità di scambiare idee e di essere, in relax, in uno stesso posto.
Richard sostiene che uno degli strumenti più potenti per trasmettere i nostri pensieri e per comunicare informazione sono le conversazioni, specchio del pensiero, cariche di spontaneità e lontane da schemi che le riducano ad una purezza sterile, esse hanno l’obiettivo implicito ed esplicito di rendere qualcosa comprensibile.
Siano essere tra innamorati, parenti, colleghi, le conversazioni hanno lo scopo di comunicare un messaggio, di creare una connessione tra i pensieri di una persona e quelli di un’altra persona. Possono essere un modello di ciò che un buon design dovrebbe fare, comunicare con chiarezza.
Per me TED è stato ed è una risorsa formidabile di ispirazione e sto seguendo con interesse le ultime affermazioni di Saul Wurman in merito a come il format TED si sia trasformato dopo averlo lasciato nelle mani di qualcun altro. La sua critica più dura è rivolta all’assenza di improvvisazione, alla idea che si debba salire sul palco con un discorso che non lasci spazio a digressioni, a considerazioni nate in quel momento per quel momento. Dice di percepire in questa sorta di brand-izzazione una totale assenza di flessibilità che è contraria allo spirito che ha dato vita a TED.
Quando ho visto il primo articolo relativo a NEXT ispirato a quel format, da speaker, mi sono chiesta se avrebbe ricalcato le tempistiche, il ritmo e lo stile americano da standing ovation. Ho pensato che Next dovesse essere semplicemente un modo di raccontare delle storie che vale la pena condividere. Ho chiamato Riccardo Luna per chiedere quanto tempo ogni speaker avesse a disposizione, aspettando come risposta i 18 fatidici minuti che TED ha ormai consacrato a lunghezza perfetta (sarà vero?).
E Riccardo, con mia grande felicità, ha invece risposto: “C’è un limite di tempo perché sarete in tanti a parlare, ma a me la durata non interessa, prendi quello che ti serve per comunicare quello che ritieni importante con chiarezza e passione. Lo scopo è far nascere una conversazione, è favorire uno scambio di idee, senza divismo, ma con ottimismo ed entusiamo”.
Una delle ultime idee di Saul Wurman è una serie di conferenze raccolte in un contenitore chiamato WWW, che ha l’obiettivo di offrire agli spettatori una conversazione improvvisata tra due menti eccezionali, che avrà una durata dai 10 ai 50 minuti. Vi invito a dare uno sguardo al sito. Ogni conversazione sarà accompagnata dalla musica live di Yo-Yo Ma ed Herbie Hancock. Un astrofisico ed un microbiologo, un attore ed un drammaturgo, un musicista jazz ed uno di musica classica e così via. Una energetica esplorazione dell’arte perduta di conversare.
Nel futuro, dice Richard, la verità sarà il bene più importante. Se tra tutti i pulsanti sul vostro telecomando ne aveste uno chiamato verità, non premereste quel bottone? WWW è progettata per offrire metaforicamente quel bottone e creare un contesto che permetterà alla verità di essere rivelata. Next, domenica 17 giugno, potrebbe avvicinarsi ad una esperienza così, in cui ci cercheremo, ci ascolteremo e riusciremo a dialogare. Far nascere una conversazione dunque, dove ci sia una simmetria tra le parti, dove ci sia uno scambio di messaggi non da un palco ad una platea, ma in ambedue le direzioni, un’azione ciclica di cooperazione affinché si realizzi l’ obiettivo comune di scrivere il futuro che vogliamo.