La visione del mondo di un astrofisico di oggi è stimolata, anzi allietata, da una grande ignoranza.
Dopo una vita passata a scrutare il cielo, scopriamo di avere più o meno capito soltanto il 4% dell’Universo. Scoraggiante? No davvero.
Che cosa c’è di più bello per uno scienziato di sapere che il 96% dell’Universo resta da scoprire per sé e per le generazioni future.
Nei 40 anni della mia carriera di astrofisico ho visto che, per ogni cosa nuova scoperta e capita in cielo, ne saltano fuori, emozionante contrasto, 10, 100, 1000 tanto nuove quanto incomprensibili.
L’esempio più spettacolare di tutti è senza dubbio l’energia oscura che, secondo gli ultimi calcoli, rappresenta il 73% della massa dell’Universo. E’ forse la prima volta nella storia della scienza che un premio Nobel (appunto quello assegnato per l’energia oscura nel 2011) viene dato per aver scoperto qualche cosa di importantissimo sì, ma che non si sa cosa sia.
Naturalmente ci sono anche storie di successo completo: negli ultimi decenni ho visto aprirsi intere nuove finestre sul cielo, come quella in raggi X, che ha dato il Premio Nobel a Riccardo Giacconi, o quella alla quale io mi sono dedicato, l’astronomia in raggi gamma.
“Geminga”, per esempio, il cui nome è il mio maggior contributo alla astrofisica, prima non c’era e adesso c’è. Sappiamo che è un nuovo tipo di stella di neutroni, che nessuno aveva mai visto prima della sua scoperta in raggi gamma. Per più di trent’ anni è rimasta un caso isolato: sembrava una anomalia del cielo.
Oggi, proprio grazie alla capostipite, ne conosciamo decine e decine come lei : abbiamo scoperto un’intera nuova popolazione di oggetti galattici.
Ma, da poco più di 15 anni, un’altra nuova popolazione celeste è entrata prepotentemente nel mondo di oggi, tanto nelle riviste scientifiche come nei quotidiani e nei media di largo consumo.
E’ la popolazione dei pianeti extraterrestri, scoperti cioè intorno ad altre stelle.
Certo che l’avevano detto in tanti che anche le altre stelle, vicino al Sole, nella nostra Galassia e nell’ Universo tutto, avevano intorno pianeti o magari sistemi di pianeti come il nostro sistema solare.
L’aveva detto Giordano Bruno che in cielo c’erano infiniti soli e infiniti mondi, aggiungendo poi, in modo incautom che tali mondi possono essere abitati.
Ma la Chiesa della fine del 1500 non era attrezzata a gestire idee così avanzate, ed il grandissimo filosofo europeo, come è noto, finì al rogo.
Meno noto è che anche Giacomo Leopardi, nelle Operette Morali, sostiene che ciascuna “stelluzza” della Via Lattea vorrà avere un suo sistema planetario…
Pensare i pianeti extrasolari come filosofi o poeti è una cosa, ma scoprirli davvero, ed in qualche caso addirittura vederli e poterli “fotografare”, ha un sapore completamente diverso.
L’astronomo è proprio il mestiere più bello del mondo.
Niente ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo di oggi come il sapere che altri mondi, potenzialmente abitabili, esistono davvero. Grazie ai grandi telescopi che abbiamo in uso o in costruzione, riusciamo oggi e ancor più riusciremo domani a studiarli sempre più in dettaglio.
Tra poco, tra meno di dieci anni, scopriremo una nuova Terra, un pianeta del tutto simile al nostro, magari con atmosfera e campo magnetico e acqua liquida in superficie. Insomma, una nuova America, anche se, per ora irraggiungibile.
La mia visione del mondo di oggi è continuamente in bilico tra la meraviglia di cosa abbiamo scoperto ieri e cosa ci resta da scoprire domani.
Abbiamo appena capito gran parte della cosmologia ed anche quasi tutto il filo rosso che unisce noi esseri umani al Big Bang: qualcosa che mezzo secolo fa non ci sognavamo neanche.
Ma il mondo della scienza di oggi è meraviglioso perché, integrando fisica e astronomia, ma anche biologia, matematica, chimica e molto di più ci addita cosa ci resta da scoprire mettendo sempre più a fuoco quello che ci aspettiamo (come il bosone di Higgs), ma, soprattutto, regalandoci quello che non ci aspettiamo ancora.
E’ per questo che vien voglia di bruciarla, la contemporaneità: per arrivare prima a domani, con tutte le sue scoperte.
Nella contemporaneità, uno scienziato deve però far entrare anche la politica.
La scienza vive di politica, forse più delle altre attività culturali umane.
Albert Einstein diceva che la scienza era “l’unica forma di poesia finanziata dallo stato”, ed aveva profondamente ragione.
La scienza, soprattutto la scienza fondamentale, come quella che faccio io, l’astronomia, ma anche molte altre, dalla matematica alla genetica, per fare degli esempi, vivono per far diventare tutti noi meno ignoranti e per migliorare la qualità della nostra vita con la tecnologia che generano.
Proprio per questo, la scienza, la ricerca scientifica deve essere finanziata dai soldi di tutti, cioè dai soldi pubblici delle nostre tasse, distribuiti, si spera presto e bene, da un apposito ministero.
Sembra una banalità ripetere che lo schema dell’avanzamento della scienza non possa che avvenire attraverso il meccanismo descritto sopra, ma nel mondo di oggi, ed in particolare nell’ ’Italia, o meglio, nella politica italiana di oggi, c’è una pericolosa tendenza a dimenticarlo. Sarebbe un errore gravissimo, per noi e soprattutto per i nostri figli.
Per questo, è dovere di noi scienziati, oggi più che mai, rendersi attivi nella comunicazione della scienza, a tutti i livelli, dai ragazzi delle scuole, al grande pubblico, ai parlamentari, ai ministri. Prima di tutto per far capire ai ragazzi stessi che quello dello scienziato è il mestiere più bello del mondo. Poi per far capire a tutti che l’investimento di denaro pubblico nella scienza, oggi in Italia, è al livello reale di meno dell’uno percento del nostro prodotto nazionale lordo, una cosa ridicola rispetto agli altri paesi europei, per esempio.
Insomma, una idea della contemporaneità, una visione del mondo di oggi, la mia, che spero trasmetta,da un lato e prima di tutto, un entusiasmo quasi ingenuo per quello che stiamo scoprendo e quello che ci resta da scoprire.
Dall’altro, una coscienza profonda della “missione del dotto”, la “Bestimmung des Gelehrten” proposta con passione da Fichte nel 1794: il dovere culturale, civile e morale dello scienziato di far partecipare tutti e di tutti catturare l’interesse.
Infine, vorrei trasmettere il messaggio della necessità di fare tutti politica, di non pensare che l’attenzione al nostro particolare di tutti i giorni possa farci dimenticare il nostro futuro comune.
La scienza è il futuro nostro e quello dei nostri figli: vorrei che mia figlia che oggi studia chimica, possa domani fare ricerca in un laboratorio vero, di livello europeo, e vorrei che mia sorella, che sta soffrendo di Parkinson, possa avere una speranza per riavere presto una vita normale.