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Perché la tecnologia può evitare un’altra Terra dei Fuochi

scienze

“Le tecnologie coinvolte, almeno nelle componenti di base, sono disponibili sul mercato, ma hanno costi elevati giustificati da qualità e affidabilità”

Il dramma recente della Terra dei Fuochi nonché i continui disastri ambientali che quasi ciclicamente avvengono in Italia (alluvioni, terremoti, etc.) mi hanno spinto a riflettere su cosa possa fare il mondo dell’innovazione e su quali tecnologie possano essere utilizzate in fase di monitoraggio e previsione di questi fenomeni. Possibile che nell’era della continua geolocalizzazione di tutto e tutti e del rilevamento satellitare nessuno si fosse accorti di traffici illeciti di rifiuti nel Casertano? Possibile che ancora oggi, cinquant’anni dopo la tragedia del Vajont non si riesca a monitorare i territori? Ne ho parlato con due esperti: Riccardo Lanari, direttore dell’Irea (Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente) di Napoli e Raffaele Montella, ricercatore del dipartimento di Scienze applicate, dell’Università di Napoli Parthenope.

Cosa è l’Irea e quali attività svolge?

Lanari. Le nostre principali tematiche di ricerca riguardano lo studio di nuove tecniche per elaborare, interpretare e rendere disponibili dati provenienti da sensori operanti da satellite, aereo e in situ. Strumenti che servono per la sorveglianza e la gestione del territorio, la sicurezza e la valutazione dei rischi, compreso quello da esposizione ai campi elettromagnetici. Inoltre, vengono sviluppate metodologie e tecnologie per la realizzazione di infrastrutture di dati geo-spaziali e per applicazioni biomedicali dei campi elettromagnetici.Diversi gli ambiti di ricerca dedicati a temi ambietali: dal telerilevamento ottico a quello a microonde; dalle tecniche per l’integrazione di informazioni geografiche multisorgente alle infrastrutture di dati geospaziali – cruciali nell’era della cosiddetta Digital Earth; dalla caratterizzazione degli effetti di impulsi elettrici ultracorti per il controllo di processi biologici alla realizzazione di sensori ottici e optofluidici integrati per il monitoraggio di inquinanti in acque potabili; infine lo sviluppo di sistemi radar per il monitoraggio dello stato del mare.

Qual è il contributo che le nuove tecnologie possono fornire al monitoraggio ambientale ed al controllo del territorio?

L. Le tecnologie sviluppate hanno numerose ricadute applicative nel campo del monitoraggio ambientale e del controllo del territorio.Il telerilevamento ottico, ad esempio, consente lo studio e la comprensione di fenomeni spesso molto complessi quali desertificazione, scioglimento dei ghiacciai e inquinamento delle acque, gli effetti causati da incendi e dall’uso del suolo, nonché l’analisi dello stato della vegetazione e delle produzioni agricole.

Nel campo del telerilevamento a microonde, in particolare una tecnologia, chiamata interferometria SAR differenziale, consente di rilevare da satellite anche piccolissime deformazioni della superficie terrestre e di studiarne l’evoluzione temporale. Grazie ad essa è stato possibile disporre in tempi molto rapidi di utili informazioni circa le deformazioni causate dal terremoto dell’Aquila del 2009 e da quello in Emilia Romagna del 2012.

Inoltre, grazie alle tecniche di tomografia SAR satellitare sviluppate presso l’Irea, è oggi possibile monitorare ed effettuare ricostruzioni 3D con elevato dettaglio di singoli edifici e infrastrutture.

Anche la sensoristica distribuita in fibra ottica e le metodologie di elaborazione dati sviluppate nell’ambito della diagnostica elettromagnetica hanno importanti ricadute applicative nel campo del monitoraggio ambientale.Ad esempio possono essere applicate per la mappatura di “sottoservizi” e il monitoraggio di infrastrutture, permettendo di ottenere informazioni dettagliate sullo stato di conservazione del bene o delle strutture monitorate e di rilevarne eventuali fattori di rischio.

Proprio l’uso integrato di tecniche satellitari di telerilevamento e di sensoristica per il monitoraggio di infrastrutture (ponti, dighe, condotte) rappresenta un importante elemento di sviluppo delle attività di ricerca dell’Irea. In questo ambito il laboratorio Radar per applicazioni di sicurezza e di monitoraggio del territorio dell’Irea ha vinto il Serit Award 2012, il riconoscimento istituito dalla piattaforma Tecnologica nazionale sulla sicurezza (Serit) che viene attribuito ogni anno a un laboratorio pubblico o privato italiano che sia stato capace di distinguersi per la ricerca e l’innovazione nell’ambito della sicurezza.

La sensoristica utilizzata nei vostri progetti è la stessa utilizzata anche in ambito business? Quali sono le peculiarità? E i costi?

L. No. La sensoristica utilizzata nei nostri progetti di ricerca è sviluppata e realizzata specificatamente a seconda del tipo di progetto e dell’applicazione. Alcuni dei sensori che stiamo sviluppando iniziano ora ad essere disponibili sul mercato. La peculiarità di alcuni dei sensori è che sono “distribuiti”: vuol dire che non misurano una grandezza in un determinato punto, ma il suo profilo lungo un determinato percorso.

In particolare, trattandosi di sensori distribuiti in fibra ottica, misurano l’andamento di una grandezza (temperatura e/o deformazione) lungo tutta la fibra su distanze che possono arrivare a diversi chilometri con una risoluzione spaziale del metro o inferiore. Il costo, confrontato ai tradizionali sensori puntuali, è molto più elevato. Ma essi consentono un monitoraggio su larga scala che è impossibile eseguire con altri tipi di sensori ed è indispensabile in alcune applicazioni quali il monitoraggio di grandi infrastrutture.

Grazie al telerilevamento satellitare potremmo controllare di fatto ogni cosa. Eppure continuano a verificarsi roghi e gravi atti di inquinamento del territorio. Perché?

Sebbene le tecniche di telerilevamento satellitare abbiano fatto enormi progressi negli ultimi anni, è pur vero che tali tecniche hanno ancora una limitata capacità di distinguere oggetti piccoli e la frequenza di acquisizione delle immagini.Tutto ciò fa sì che fenomeni che hanno una limitata estensione territoriale, e avvengono troppo rapidamente, possano non essere rilevati. Di fatto, però, si riescono a rilevare sempre meglio gli effetti che tali attività hanno sull’ambiente.

Quali tecnologie utilizzate per il monitoraggio ambientale?

Montella. Il Centro per il monitoraggio e la modellistica marina e atmosferica dell’Università Parthenope di Napoli nasce dalla collaborazione fra gruppi di ricercatori che operano in diversi ambiti scientifici e con pluridecennale esperienza nel campo dello studio e del monitoraggio dell’ambiente marino, terrestre e atmosferico.La componente tecnologica ha una forte valenza nelle tecniche di monitoraggio utilizzate dal Centro per la produzione di dati e servizi. Il centro dispone di una vasta rete di centraline meteorologiche sparse sul territorio regionale.Ogni elemento della rete di sensori meteo è costituito da un sensore anemometrico per la direzione e l’intensità del vento, di un barometro, termometro e igrometro per misurare le caratteristiche dell’aria e da un radiometro per l’irraggiamento solare. Poiché sul territorio campano la disponibilità di supporto tecnologico alla connessione in rete è varia, le centraline meteorologiche adoperano tanto il WiFi quanto il meno performante e più costoso collegamento alla rete cellulare.Abbiamo un radar meteorologico a piccolo raggio (36km e 72km) posizionato a Napoli sul Castel S. Elmo. Questo dispositivo consente di poter tracciare gli eventi meteorologici estremi che si abbattono sul Golfo con estrema precisione e un orizzonte di previsione di circa un’ora.Il radar fornisce una previsione a brevissimo termine, che i modelli numerici non sono i grado di offrire. Il centro dispone di un sistema di monitoraggio marino in realtime costituito da un radar ad alta frequenza, denominato Codar, capace di misurare la corrente superficiale.Anche il Codar, come il radar meteo, è collegato direttamente al datacenter. La zona di copertura è il Golfo di Napoli.Infine, il centro gestisce alcune boe oceanografiche dotate di correntometri ed ondametri oltre che sensori di superficie che raccolgono dati meteo.

Quali dati avete raccolto fino ad ora in merito alla Terra dei Fuochi?

M. In realtà non abbiamo raccolto dati; il nostro coinvolgimento consiste nel fornire supporto modellistico alla definizione dei luoghi d’intervento per la valutazione dei danni prodotti dalla combustione dei rifiuti. In pratica, conosciute le coordinate spaziali e temporali di un “fuoco”, siamo in grado di attivare una catena modellistica che produce una carta tematica relativa al trasporto e al deposito al suolo delle sostanze emesse.

Da questo punto di vista le problematiche da affrontare per migliorare il sistema sono di due tipi. Una meramente computazionale, ovvero avere la necessaria potenza di calcolo per poter soddisfare numerose richieste di calcolo allo stesso tempo garantendo ragionevoli tempi di risposta. L’altra, più difficile da risolvere, relativa all’individuazione dei fuochi e delle relative caratteristiche spaziotemporali.La prima problematica si risolve in maniera banale, cioè aumentando le risorse computazionali. Purtroppo queste hanno costi notevoli e in questo periodo di crisi economica riuscire ad avere nuovi finanziamenti è difficile.La seconda problematica, invece, deve risolvere questioni sociali legate alla segnalazione dell’evento di combustione.Una soluzione tecnologica potrebbe essere rappresentata dall’uso di droni, ma anche qui l’approccio dovrebbe essere innovativo.Ad esempio usando la “storm intelligence” i droni potrebbero pattugliare il territorio in maniera autonoma, routinaria e continuativa segnalando la presenza di fuochi e dei relativi parametri di combustione sia alle Autorità che al Centro Meteo, per consentire l’individuazione delle aree di rischio e la quantificazione del livello di rischio. Anche in questo caso il limite è di tipo puramente economico e non tecnologico.

Cosa si potrebbe fare con questi nuovi strumenti?

M. Integrando sistemi di monitoraggio a terra (come le centraline meteo provviste di sensoristica di qualità dell’aria) e su piattaforma aerea trasportata da droni si potrebbe realizzare un sistema di sorveglianza ambientale in grado di arginare i fenomeni delittuosi che finalmente sono usciti alla ribalta. Purtroppo bisogna ragionare in termini d’innovazione, alta tecnologia e, soprattutto, automazione. E’ impensabile che un servizio di sorveglianza sia di tipo spotted, ovvero eseguito una volta tanto con enorme uso di uomini e mezzi. Al contrario, tutto deve essere semplice, continuo, routinario, automatico. Gli uomini e i mezzi vanno usati per mantenere operazionale il sistema e per intervenire tempestivamente nel momento in cui si hanno bersagli precisi. Per fare questo, inutile aggiungere, serve una volontà politica e amministrativa estremamente forte.

La ricerca è sempre molto avanti, cosa impedisce l’applicazione in campi reali?

M. Parte dell’operatività del Centro meteo è basata sul contributo di quello che è stato il Dipartimento di Scienze Applicate e l’Istituto di Matematica, Fisica ed Applicazioni (oggi dipartimento di Scienze e tecnologie) di conseguenza la nostra “scienza” è per definizione stessa molto più vicina al settore applicativo/ingegneristico che a quello della ricerca di base. Ci occupiamo da sempre di problematiche reali.

Purtroppo esistono due limitazioni intimamente collegata. La prima è relativa alla necessità di avere fondi per l’attuazione dei programmi relativi a questo tipo di ricerca applicata e di trasferimento tecnologico. Le tecnologie coinvolte, almeno nelle componenti di base, sono disponibili sul mercato, ma hanno costi elevati giustificati da qualità e affidabilità (si pensi che un elemento computazionale di un computer adatto alle previsioni numeriche ha un costo indicativo di 30.000 euro e solitamente ne servono alcune decine; droni e sensori hanno costi dello stesso ordine di grandezza se non superiore).

La seconda limitazione è legata al fatto che è necessario disporre di risorse umane con un background tecnico/culturale di elevato livello, cioè formare e poi inserire in un contesto lavorativo stabile e gratificante tecnici e ricercatori con conoscenze e competenze interdisciplinari e multidisciplinari finalizzate all’efficienza ed all’efficacia dell’indagine scientifica, senza costrizioni e limitazioni di alcun tipo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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