Perché le politiche di trasparenza fanno bene alla crescita del Paese

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Michele Vianello, figura di spicco dell’open government italiano, ha pubblicato un post nel quale si chiede se il movimento open data non abbia preso un abbaglio. A che servono tutti questi dati?

“Possibile non si capisca che, in formato open, prima di tutto, andranno messi i dati che potranno generare un valore economico e sociale da parte dei cittadini, delle imprese, della Pubblica Amministrazione? […] quanti punti di PIL sono stati realizzati mettendo in diretta streaming le sedute delle Commissioni parlamentari?”

L’idea di Michele, se ho capito bene, si riassume così:

  1. I dati aperti servono principalmente alla crescita economica.
  2. La crescita economica si fa pubblicando dati su cui puoi innestare dei servizi a valore aggiunto, non dati di pura trasparenza amministrativa.

Il punto 1 è stato molto discusso negli ultimi tempi. In ultima analisi, è questione di priorità: Michele (come molti altri) vede come prioritaria la creazione di nuova impresa che usi i dati come materia prima. Altri, come Evgeny Mozorov (traduzione italiana), sostengono invece che i dati aperti servano principalmente a fare trasparenza e accountability; e che la trasparenza e l’accountability siano cose buone di per se stesse, e non solo in quanto portatrici di crescita economica. Lasciatemi accantonare questo punto per il momento (ma ci torneremo).

Il punto 2 è falso, in senso tecnico: è contraddetto da un mare di letteratura economica. La Corte dei Conti sostiene che la corruzione costa all’Italia 60 miliardi all’anno (il 4% del PIL 2012). Qualche anno fa girava molto questo paper (ma ce ne sono molti altri), che dice: un aumento della corruzione dell’1% (la corruzione, difficile da misurare per definizione, è approssimata con strumenti di polling: uno degli indicatori usati è l’indice di Transparency International) comporta un calo del tasso di crescita del PIL di oltre mezzo punto percentuale.

Negli anni, naturalmente, la mancata crescita segue un andamento esponenziale, per cui anche livelli di corruzione di poco peggiori possono portare a perdite gravi di ricchezza. Nel grafico seguente immagino due economie inizialmente uguali (PIL = 100), che crescerebbero del 2% l’anno in assenza di incrementi corruzione. Immagino poi che una di queste due economie veda il proprio indice di corruzione aumentare di un punto percentuale all’anno zero (il tasso di crescita scende di 0.54 punti percentuali); da quel momento in poi, gli indici di corruzione delle due economie rimangono stabili.

Dopo vent’anni, il PIL dell’economia virtuosa ha quindici punti percentuali di vantaggio su quella meno virtuosa. Non è un caso che Banca Mondiale, OCSE, UNDP eccetera abbiano rivolto, negli ultimi anni, un’attenzione crescente alla trasparenza.

E non è solo questione di corruzione: la trasparenza amministrativa permette a data journalists e un’opinione pubblica attenta di ridurre gli sprechi (spesa pubblica legale, ma inefficiente). L’effetto sulla crescita della riduzione degli sprechi legali è, dal punto di vista matematico, lo stesso della riduzione degli sprechi illegali. Quando l’ex ministro della coesione regionale Fabrizio Barca ha varato il progetto OpenCoesione (dati aperti su seicentomila progetti finanziati con i fondi di coesione) aveva in mente esattamente questo.

In più, i dati aperti non solo sono un elemento della trasparenza; il mio vissuto di questi anni e le lezioni che ho imparato nella straordinaria comunità di Spaghetti Open Data mi insegna che sono anche un generatore di domanda per ulteriore trasparenza, voglia di capire, ordine nei dati e nei processi. Queste, a loro volta, sono generatrici di riduzione degli sprechi ed efficienza economica.

Conclusione: noi che facciamo parte della comunità open government/open data possiamo avere valori diversi. Ma in pratica questo non fa molta differenza: comunque, dovremmo tutti sostenere politiche di trasparenza radicale. Chi è d’accordo con Mozorov, lo farà in nome dei diritti del cittadino a capire come si muovono le pubbliche amministrazioni (e domani, spero, anche le aziende) con cui condividiamo lo stesso spazio e che tanta influenza hanno nelle nostre vite. Chi è d’accordo con Michele lo farà in nome dell’efficienza economica. In entrambi i casi, la trasparenza è un canale ben collaudato e validato dalla ricerca economica attraverso il quale i dati aperti possono generare efficienza e quindi impatto economico. Al momento in cui scrivo, quel canale mi sembra molto più solido di quello (per ora ipotetico) dei posti di lavoro creati da imprese future che venderanno apps basate su dati aperti su AppStore e Google Play.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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