Raccontiamo storie dall’alba dei tempi. Prima lo facevamo con suoni gutturali e disegni, pittogrammi e ideogrammi, poi con l’alfabeto, in lingua sumerica o in latino, ma lo storytelling è antico quanto la civiltà umana e da sempre ne accompagna lo sviluppo. Pensate alle grotte di Altamira e Lascaux, alle scene di caccia che conservano, pensate agli aedi greci e ai trobadori cortesi, alle cosmogonie dei grandi poemi religiosi e all’epica di viaggio. Ogni storia che raccontano ha al centro dei protagonisti, fatti e vicende esemplari con cui identificarsi o dai quali prendere le distanze. Ogni storia offre enigmi da sciogliere, scelte da prendere, emozioni e memorie. Descritte in una maniera diretta e coinvolgente, le storie ci obbligano a elaborare fatti e contesti, favorendo la comprensione e il ricordo.
Lo storytelling, il viaggio e il mito dell’eroe
Pensate a Omero, a Esiodo, a Gilgamesh ed Enkidu, a Dante e alla Bibbia, ma anche all’Ulisse di Joyce: storie che per definizione sono delle pedagogie. Usano schemi narrativi diversi, il mito dell’eroe, la discesa agli inferi, il viaggio di scoperta, ma hanno lo stesso obiettivo: farci conoscere noi stessi e il mondo. Ogni storia rappresenta infatti concetti complessi, spesso semplificati, ma concatenati, basati su un nesso di causa ed effetto, capaci di suscitare emozioni e innescare ragionamenti sfidando la memoria e obbligandoci a costruirne una.
Lo storytelling è una macchina narrativa che ci aiuta a dare ordine al mondo.
Se proprio vogliamo arrivare a una definizione possiamo dire che lo storytelling è uno strumento narrativo basato su tecniche molteplici, finalizzato a raccontare eventi reali o fittizi per realizzare una forma di comunicazione che coinvolge contenuti, emozioni, psicologie e contesti che ci chiedono di prendere posizione, di capire, di dare un giudizio, di imparare dagli altri.
L’efficacia dello storytelling rimanda a dei bisogni antichi come noi e la nostra civiltà:
- Organizzare la realtà e fornirla di senso
- Creare identità collettive e individuali
- Definire valori e atteggiamenti
- Costruire una cultura comune
- Creare e conservare dei saperi
- Orientare scelte e opinioni fornendo un senso ai fatti
- Informare su ruoli, funzioni, regole
- Motivare al cambiamento
- Progettare il futuro sulla base del passato
Lo storytellyng serve a condividere esperienze, fissare valori sociali e religiosi, spiegare fenomeni ed eventi naturali e storici: serve ad “educare“.
Per questo lo storytelling può essere la forma comunicativa privilegiata per trasmettere i fatti, i saperi, le tradizioni e l’identità di un popolo, aiutandoci nella costruzione e condivisione di un sistema di valori, simboli, idee e linguaggi.
Lo storytelling e il giornalismo delle 5W
Per i motivi prima elencati lo storytelling è molto utile nella didattica e se ne avvantaggia anche il giornalismo che è sempre in cerca di forme espressive nuove e coinvolgenti (attention grabbing).
A patto di smettere di pensare che esista solo il brand storytelling, le storie di marca, che servono a veicolare i valori – veri, finti o presunti – di un cert marchio di fabbrica o di un prodotto che, ricordiamolo, ha come fine quello di vendere e poi forse, può avere anche obiettivi complementari.
Dal new journalism, quello di Tom Wolfe e Truman Capote negli anni ’60 e ’70, il giornalismo che racconta storie si è evoluto, ma al centro mette sempre la descrizione del where and when, dove e quando, lasciando emergere piano piano le altre tre “W” del giornalismo che si insegna nelle scuole (what, who, why).
Oggi che al giornalismo delle 5W se ne accompagna una sesta, quella del Web, non possiamo pensare che immersi come siamo in un ambiente multimediale sia possibile esimersi dal raccontare storie multimediali che trascendono, vanno oltre, l’ambiente e il medium per cui sono state pensate. Oggi lo storytelling è transmediale e serve a organizzare ambienti digitali ricchi di espressioni antiche e diverse della voglia di raccontare.
storymapping e infografiche
Per farlo negli anni sono stati sviluppati molteplici strumenti che aiutano a raccontare storie adattabili ai vari contesti digitali in cui ci immergiamo. Ad esempio gli strumenti per il timeline storytelling che ci aiutano a organizzare i fatti cronologicamente per rendere comprensibile l’evoluzione temporale delle storie stesse con l’aggiunta di link, foto e video. Oppure lo storymapping, quando per raccontare efficacemente l’evoluzione di certi fenomeni in un mondo globalizzato dalle telecomunicazioni possiamo fare uso di mappe geografiche, interattive e navigabili. Lo stesso vale per le foto che ci consentono di cogliere l’evoluzione nel tempo di fatti e situazioni semplicemente accostandole per evidenziarne le differenze: prima e dopo.
In un’epoca caratterizzata dalla comunicazione personale (self-communication la chiama Manuel Castells), in cui possiamo usare strumenti di videoripresa tascabili e facili da usare per raccontare storie real time, gli strumenti di video-editing e di video-streaming diventano fondamentali per realizzare storie coinvolgenti eliminando la distanza ritualizzata tra l’evento e la sua narrazione.
E non ci farà torto avere la capacità di guardare ai numeri e ai dati su cui basiamo il nostro racconto: con le infografiche saremo capaci di raccontare i numeri complessi dei fatti che osserviamo e i dati da cui muovono le nostre storie e che con la scienza dei big data possono anche rappresentarne il nucleo di partenza, comprensibile da chiunque e non solo dai matematici.
Tutte insieme le tecniche supportate da strumenti digitali, hardware e software, diventano il nucleo di una storia, come un albero ai cui rami appendere un frutto da morsicare prima di passare al successivo.
IL SENSO DELLA SCRITTURA
E tuttavia la cosa più importante rimane la scrittura, un modo antico per mettere ordine al mondo e che è la base dell’albero. Scrivere bene il canovaccio su cui si svilupperà la storia sarà sempre sommamente importante e la qualità della storia stessa non potrà essere sostituita dal preziosismo tecnico delle nostre realizzazioni.
Ugualmente importante sarà la capacità di individuare un pubblico, costruirlo atttraverso il dialogo e ascoltarlo per migliorare le nostre storie, un pubblico a cui saremo legati sempre da un patto non scritto di fiducia reciproca, basato sull’onestà e la buona fede delle nostre narrazioni. Le persone infatti, proprio perché abituate da sempre ad ascoltare storie, annusano nell’aria quelle fasulle e non saranno disponibili ad ascoltarle una seconda volta.
ARTURO DI CORINTO