Perché non possiamo affidare la giustizia agli algoritmi di Google

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Corre contagiosa e si diffonde alla velocità della luce tra i capi di stato e di governo del “mondo libero”, l’idea che Google, Facebook, Twitter e gli altri giganti della Rete debbano fare di più nella cyber-guerra al terrorismo.Riecheggia con sfumature diverse ma con la stessa sostanza nelle parole di Donald Trump multimilionario ed eccentrico candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America, come in quelle di Barack Obama ed Hillary Clinton la convinzione che tocchi ai big di internet individuare e bloccare la circolazione dei contenuti propagandistici dell’Isis così come ogni altra forma di comunicazione tra terroristi veri o presunti tali che corra online.

Ci serve tutto l’aiuto di Facebook, Youtube, Twitter Non possono permettere che degli utenti sofisticati di Internet usino i loro social media per reclutare terroristi o addirittura per guidare gli attacchi.

Lo ha detto una manciata di giorni fa Hilary Clinton. E, d’altra parte, Barack Obama, dopo la strage di San Bernardino, non ha esitato a confessare l’intenzione di esercitare tutta la sua moral suasion verso i colossi della Silicon Valley nella stessa direzione:

Farò pressione sulle aziende tecnologiche perché aiutino le forze dell’ordine a rendere più difficile l’impunità per i terroristi.

E non si tratta di un “tormentone” a stelle e strisce. L’Europa è sulla stessa lunghezza d’onda.

Qualche settimana fa, infatti, il Governo di Angela Merkel ha rivendicato tra rulli di tamburi 2.0, comunicati stampa e dichiarazioni ufficiali del Ministro della Giustizia di aver raggiunto un accordo con Facebook, Google e Twitter che si sono impegnati ad individuare, bloccare e rimuovere i contenuti inneggianti alla violenza razziale e non solo.

Quando i limiti della libertà di parola vengono violati, quando si utilizzano espressioni criminali, sediziose, o l’incitamento a compiere azioni criminali che minacciano le persone, questi contenuti devono essere eliminati,

Lo ha detto il ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas nell’annunciare l’intesa con i big della Silicon Valley, «e siamo rimasti d’accordo che l’eliminazione vada fatta entro 24 ore dall’individuazione».

Una giustizia basata sugli algoritmi

E non si tratta neppure di un fenomeno recente. È, più o meno, da quando Internet è diventata il mezzo di comunicazione di massa più grande e potente di tutti i tempi che, in tanti – tra i capi di Stato e di governo del mondo libero, diversamente libero e niente affatto libero – si sono mostrati, a più riprese ed in direzioni diverse, convinti che, contro ogni genere di condotta illecita, la soluzione più efficace sia quella di bypassare giudici e tribunali e risolvere il problema attraverso accordi, collaborazioni e strette di mani trasparenti ed occulte tra Governi e corportion della Rete, che si trattasse dei giganti della Silicon Valley o delle ex compagnie telefoniche di casa nostra.

La lotta alla pedopornografia online, quella al gioco d’azzardo, quella ai cyber-pirati del diritto d’autore, gli accordi – segreti e meno segreti, leciti e vietati – per l’utilizzo dei dati degli utenti di mezzo mondo in possesso dei giganti della Rete come delle società di telecomunicazione per finalità investigative sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che è li, sotto gli occhi di chiunque voglia osservarlo da ormai oltre un decennio.

La giustizia online è, ormai, sempre più un fatto privato e sempre meno un fatto pubblico, affidato a giudici terzi.

Giudici che, almeno per costituzione, sono imparziali ed indipendenti da politica ed economia in tutte le attività e declinazioni, da quella investigativa sino ad arrivare all’esecuzione della pena o della misura cautelare.

E, d’altra parte, questo nuovo modo di amministrare giustizia – ma l’espressione è fuorviante – è plasticamente rappresentato dalla Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea con la quale nel maggio del 2014 si è affidato a Google ed agli altri motori di ricerca il compito di decidere quali tra i miliardi di contenuti pubblicati ogni giorno online meritano di rimanervi ed entrare a far parte della storia collettiva del mondo e quali, al contrario, meritano l’oblio e per “amnesia collettiva indotta”.

Recitano sempre lo stesso copione

E l’elenco delle forme di giustizia privata rimessa agli algoritmi ed alle policy aziendali e sfilata ai Giudici ed alle leggi con le quali stiamo imparando a convivere, quasi senza accorgercene, potrebbe continuare ancora per migliaia e migliaia di caratteri.Il copione è sempre lo stesso: si individua un problema urgente o, meglio ancora, la punta dell’iceberg di un problema rappresentata da casi eccezionali nei quali distinguere il lecito dall’illecito è davvero questione affidabile ad un algoritmo binario, si rappresenta all’opinione pubblica mondiale l’esigenza di debellare l’illecito prima che continui a mietere vittime e, ad un tempo, l’impotenza – date le caratteristiche pervasive della Rete – di forze dell’ordine e magistratura davanti al fenomeno e, quindi, si propone e dispone che debbano essere i Signori di Internet a risolvere il problema del quale, in caso contrario, diventerebbero complici.

Credits: Sandro Moretti

È successo per il pedoporno online, per il gioco d’azzardo, per il copyright, per il diritto all’oblio, sta accadendo ora per il c.d. “online hate speech” e per il terrorismo e accadrà, inesorabilmente, domani per un numero crescente di condotte.

Nel 2020, quando le automobili prodotte da Google e Ford – e non solo quelle – senza conducente circoleranno nelle nostre strade, basterà un click per fermare nei parcheggi quelle degli automobilisti più indisciplinati. E quando, sempre nel 2020 – o una manciata di anni più avanti – tutte le serrature delle nostre porte saranno controllate via smartphone, per mettere alla porta gli inquilini in ritardo con il canone sarà sufficiente una mail al relativo provider di servizi per impedirgli di rientrare dentro casa.

E, domani, quando qualcuno non pagherà il canone della luce, dell’acqua o del gas, basterà semplicemente, un altro click per interrompere le forniture.

Che bisogno c’è di passare per un Giudice? Che bisogno c’è di chiedere ad un soggetto terzo di accertare l’illecito prima di porvi rimedio o sanzionarne l’autore se la tecnologia consente di far presto e raggiungere il risultato?Il ragionamento è – e rischia di essere in futuro – sempre lo stesso e quasi sillogistico: se tecnicamente è possibile porre fine ad una condotta con un click allora non c’è ragione di attendere mesi perché Giudici e forze dell’ordine intervengano ad accertarne l’illiceità e porvi fine.

Ciò che è tecnicamente possibile, diventa giuridicamente lecito e democraticamente sostenibile e, anzi, auspicabile.

Ma è una sconfitta mascherata da vittoria, un’autentica vittoria di Pirro, una sostanziale rinuncia ad un pezzo importante delle nostre democrazie in nome della difesa della democrazia o, meglio, di un suo surrogato.

È qualcosa che sta accadendo quasi senza che i più se ne accorgano o, peggio ancora, tra i “like”, “mi piace” ed i “cuoricini” di tanti che plaudono ai Governi che – nella narrazione più diffusa – riescono ad imporre ai giganti multimilionari della Rete di fare la loro parte per rendere il mondo più giusto, non limitandosi a far soldi a palate.

Ma una pseudo-giustizia più veloce e meno costosa solo perché privata non è più giusta, non è più democratica e, forse, a ben vedere, non dovrebbe neppure chiamarsi giustizia.

Se ci si abbandona a questa deriva lasciandosi sedurre dal fascino della soluzione rapida ed indolore di emergenze e problemi indiscutibili gravi, seri ed allarmanti, rischiamo di risvegliarci nel 2020 – o una manciata di anni più avanti – costretti a prendere atto che giudici e tribunali non servono più, che i Codici [quelli delle leggi] sono stati sostituiti dal codice [quello in cui vengono tradotti gli algoritmi] e dai termini d’uso delle grandi piattaforme online e che decidere ciò che è lecito e ciò che non lo è tocca alle grandi Corporation della Rete non perché abbiano colonizzato il mondo ed imposto la “legge del conquistatore” ma, peggio ancora, perché i Governi del mondo hanno chiesto loro di farlo.

È davvero questo il futuro che vogliamo?

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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