Perché quando un cinese accende l’aria condizionata la Terra si scalda

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È estate e fa caldo. Non si direbbe una grande notizia. Tuttavia i giornali trasformano le previsioni del tempo in un bollettino di guerra. “Domani allerta rossa, previste temperature torride” e noi tutti a preoccuparci. Confesso che, in questi casi, il mio pensiero va ai legionari che Giulio Cesare (o chi per lui) faceva confortevolmente viaggiare a piedi da Roma alla Gallia, giusto approfittando del bel tempo, in primavera ed in estate. Che dire di Napoleone? La sua Grande Armée è stata sconfitta dal gelido inverno russo, nonostante avesse vinto battaglie epiche in piena estate a cominciare da quella di Abukir (in Egitto) il 25 luglio 1799.

Detto ciò, non sarà certo il pensiero dei legionari di Giulio Cesare o dei soldati di Napoleone a indurci a combattere il caldo armati solo di un ventaglio.

Anche se faccio parte della categoria di quelli che non hanno un condizionatore, riconosco che molte delle mie attività dipendono criticamente dalla capacità di controllare la temperatura. I server che gestiscono i database astronomici con i quali io lavoro si rifiutano di funzionare se la temperatura supera un certo limite. Internet non funziona senza aria condizionata. Non è un caso che i grandi centri di data storage vengano messi in luoghi naturalmente frescolini. Mantenere le temperature all’interno di valori accettabili (per le macchine e per gli umani) è certo più difficile a Mumbai (India) che ad Anchorage (Alaska).

Tuttavia è Mumbai (e l’India in generale) uno dei punti nevralgici della crescita dell’economia mondiale. Con il benessere arriva il legittimo desiderio di migliorare la qualità delle vita, magari cercando di mitigare le temperature elevate con l’acquisto di un bel condizionatore.

Avere lo scambiatore di calore appeso fuori dalla finestra è il nuovo status symbol della classe media indiana e non solo. La Cina non scherza affatto e con lei tutto il Sud-Est asiatico.

Morale, India e Cina, insieme a Vietnam, Cambogia, Filippine, costituiscono il 55% del mercato dei nuovi condizionatori.

Fare funzionare questa miriade di elettrodomestici richiede una spaventosa quantità di energia che viene prodotta, per lo più, bruciando combustibili fossili. Il processo, purtroppo, immette anidride carbonica nell’atmosfera contribuendo all’effetto serra. Raffreddando le nostre case contribuiamo al riscaldamento globale. E non è tutto! Il gas utilizzato nei circuiti di raffreddamento ha un’altra storia da raccontare.

All’inizio dell’era del condizionamento (diciamo a partire dagli anni ’50) si usavano i clorofluorocarburi (altrimenti noti come CFC) che sono stati in auge fino al 1987, quando il Protocollo di Montreal li ha additati come i responsabili della rapida (e pericolosa) crescita buco dell’ozono nei cieli dell’Antartide.

L’ozono è un molecola fatta da tre atomi di ossigeno (la normale molecola di ossigeno è fatta da soli due atomi) che è presente nella alta atmosfera dove si forma e di distrugge seguendo un naturale ciclo annuale. La presenza dell’ozono è di fondamentale importanza per la vita sulla terra perché questa molecola assorbe la radiazione ultravioletta prodotta dal sole impedendole di giungere a danneggiare le nostre cellule.

L’ozono è spalmato su tutta l’atmosfera terrestre ma il luogo dove le variazioni delle sua abbondanza diventano macroscopiche è la zona sopra l’Antartide dove, durante l’ inverno australe (cioè la nostra estate), si raggiungono temperature bassissime e stabilissime. In queste condizioni si formano nubi particolari che, appena il Sole torna ad illuminare gli sfigati pinguini, offrono le condizioni ideali per la distruzione dell’ozono.

A partire dal ’79 i satelliti della NASA dedicati alle osservazioni della terra iniziarono a misurare in modo sistematico la quantità di ozono sopra l’Antartide e fu immediatamente chiaro che il normale buco stagionale diventava ogni anno più grande e più profondo. L’allarme lanciato dagli scienziati, per una volta, non cadde nel vuoto. Si cercò di capire quale potesse essere la causa della diminuzione globale dell’ozono. Risultò evidente che il killer era il gas refrigerante che, una volta rilasciato nell’atmosfera, si dissocia e libera il cloro che reagisce prontamente con l’ozono, rubandogli un atomo di ossigeno e trasformando la molecola anti-ultravioletti in una normale molecola di ossigeno.

Per di più, un solo atomo di cloro può fare questo scherzetto per innumerevoli volte distruggendo schiere di preziose molecole di ozono. Il protocollo di Montreal diede una chiara tempistica per arrivare ad eliminare i CFC dalla bombolette spray e per sostituire negli impianti di raffreddamento i CFC con una variante chiamata HCFC, dove il cloro è reso inoffensivo per l’ozono (ecco un video in inglese con tutto quello che c’è da sapere sul protocollo di Montreal.

Il miglioramento non è stato istantaneo, ma, con un po’ di pazienza, i risultati si sono visti. La concentrazione dei CFC nell’atmosfera ha smesso di crescere nel 2003 e i satelliti ci dicono che, dal 2006, il buco dell’ozono non peggiora, anzi migliora leggermente. Ci vorranno decine di anni per tornare ai livelli di 30 anni fa. Non stupisce che il protocollo di Montreal sia considerato un grande successo:

  • si è individuato un problema potenzialmente pericolo per tutto il genere umano;
  • si è capita la causa e la possibile cura;
  • tutti si sono dichiarati d’accordo per risolvere il problema alla radice.

Peccato che ora, alla luce della straordinaria crescita economica dei paesi che allora erano emergenti, ci si renda conto che i gas HCFC, pur essendo inoffensivi per l’ozono, sono dei gas serra super-potenti. A parità di peso, i gas HCFC sono 2000 volte peggiori dell’anidride carbonica. È un effetto collaterale del protocollo di Montreal che, non dimentichiamo, è stato scritto 25 anni fa, quando la comprensione dell’effetto serra (cause ed effetti) era infinitamente minore di quella che abbiamo oggi. A questo punto è chiaro che il controllo della temperatura degli ambienti di vita e di lavoro degli umani contribuisce all’effetto serra sia per le sue richieste energetiche, sia per i gas utilizzati dagli impianti. In altre parole, più raffreddiamo le nostre case, più contribuiamo al riscaldamento globale (pur nel rispetto dello strato di ozono).

Che fare? Nessuno pensa di abolire il condizionamento che è considerato dai più un lusso necessario. Quello che bisogna fare è semplicemente cambiare i gas utilizzati per il ciclo del raffreddamento. È una strada obbligata, visto che la produzione di HCFC è già fuori legge nei paesi sviluppati (per intenderci in Europa e USA, non in Cina). Le alternative esistono, ma bisogna riconvertire il sistema industriale globale che è cresciuto grazie al lucrativo business del condizionamento. In Europa gli impianti di raffreddamento funzionano già con i nuovi gas e lo stesso succede per i condizionatori montati sulle nuove auto. Negli USA gli HCFC non possono essere prodotti, ma possono essere venduti, per la gioia dei produttori cinesi. Decidere di non usare HCFC è diventato una bandiera. Non è un caso che la Pepsi abbia convertito i suoi impianti di refrigerazione per fregiarsi del titolo di industria eco-sostenibile.

Tuttavia, quello che decidono di fare i paesi avanzati è poca cosa se i paesi emergenti, ora già largamente emersi, non saranno d’accordo. La questione è una della tante che avrebbero dovuto essere affrontate a Rio+20, ma ricordiamoci che sono i consumatori indiani e l’industria cinese che decideranno che futuro avrà il nostro pianeta.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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