Perchè spiegare la vita analogica ai nativi digitali (e quella digitale ai nonni)

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Qualche giorno fa ho intavolato una discussione con un signore, che per comodità chiameremo Giampiero, molto colto e preparato, in riferimento a che cosa stiamo diventando. Sostiene con forza che il mondo del digitale, con le sue più complete e diversificate sfaccettature, sia un mondo completamente distruttivo.Per capire quello di cui stiamo parlando, Giampiero sostiene la teoria secondo la quale il mondo sta cambiando talmente in fretta, troppo in fretta, da impedire ai giovani di capire “da dove veniamo”.

Rudy Bandiera

Giampiero dice che se noi facciamo credere alle nuove generazioni che il cinema è iniziato con Star Wars loro perdono tutto quello che c’è stato prima. Se loro pensano che un film vecchio non lo potranno mai vedere perché troppo lento – dice Giampiero – sapranno di conseguenza che il cinema vero è iniziato con Spielberg o Lucas, o almeno questa sarà la loro percezione.

Se i giovani non hanno la possibilità di usare la penna perdiamo un pezzo di memoria, perdiamo un pezzo della nostra identità così come se non possono più ascoltare un vinile o utilizzare un pennino ad inchiostro.

Vi dirò… sono d’accordo con Giampiero. Non possiamo pensare che i ragazzi di oggi, o cosiddetti nativi digitali, capiscano il mondo in cui siamo se non capiscono il mondo da cui siamo venuti. E nel mio libro tempo fa ho scritto che che esistono tre tipologie di persone su questo pianeta:

1. I NATIVI ANALOGICI

Una nativa analogica, omaggio a Rita Levi Montalcini. Foto: SkyTg24

Quelle persone nate “troppo presto” per poter godere appieno della tecnologia mobile e dell’informatica, di Internet e di Google.

Le persone che si sono ritrovate in età avanzata in piena rivoluzione, senza essere in grado di capire la tecnologia perché troppo distante dal mondo precedente, dal mondo che hanno sempre vissuto.

2. GLI IBRIDI, I TECNO-ANALOGICI

Un tecno-analogico (ma nel suo caso un visionario che ha segnato un’epoca, nato analogico e tra i padri dell’era digitale), Steve Jobs. Foto: Internet

Poi ci sono quelli nati a cavallo tra due generazioni, negli anni ’60-’70, quelli che di fatto hanno vissuto una metà della loro vita offline e l’altra online.Sono quelli che sanno benissimo che cos’era la vita prima del cellulare (anche se non se la ricordano perché sembra Cretaceo) e che hanno le idee chiare su quello che accade oggi nel mondo della tecnologia.Sono la generazione, a mio modo di vedere, più fortunata: non troppo giovani da avere vissuto il mondo offline, e non vecchi per il mondo online.

3. I NATIVI DIGITALI

Un nativo digitale. Foto: giovanigenitori.it

Poi ci sono i nativi digitali, il fenomeno di tutti quei ragazzi nati in piena esplosione della Rete. Quella generazione che non dice “mi compro un album” ma dice “mi scarico un album”.Quella generazione che non ha la concezione di quello che fosse il mondo fino a poco più di 10 anni fa: quelli che sono nati con il cellulare all’orecchio, che non sanno cosa sia Encarta perché hanno Wikipedia e che, tanto meno, non sanno cosa sia stata la Treccani perché hanno Google.

Ecco, questa è la generazione di domani. La nostra speranza.

Io personalmente ammiro molto questa generazione, anche se ne ho timore, non un timore fisico, ovviamente, ma un timore nato dal fatto che sono nati e vissuti, e che quindi percepiscono come normale, il mondo intangibile della Rete senza essere passati per quello tangibile della real life.Una grande speranza, certo, ma un grande punto interrogativo.Si perché non sappiamo a quali risultati porterà la rivoluzione che stiamo vivendo. Non sappiamo quali risvolti antropologici ci saranno, per una generazione di persone che ha caratteristiche, anche neuronali, del tutto diverse da quelle precedenti.In pratica non sappiamo nulla. Quello che possiamo fare, di nuovo, è essere consapevoli di quello che stiamo vivendo così come dobbiamo essere consapevoli che la tecnologia è un mezzo, non un fine.

Ed eccoci di nuovo al problema: noi di questi ragazzi non sappiamo nulla, non sono mai esistiti prima, e di contro loro non sanno nulla del mondo prima del digitale. Provate a vedere le cose dal loro punto di vista: sono nati in una nazione in crisi d’identità oltre che economica, hanno delle domande alle quali ne la scuola ne i genitori sono in grado di rispondere, si trovano catapultati in un mondo digitale del quale non capiscono le origini e hanno la sensazione (per altro terribilmente corretta) che sia il media ad essere molto più importante del messaggio.

Sono persone che non sanno forse più scrivere sulla carta e non lo sanno fare perché non è più necessario farlo, sono persone che non leggono i libri ma lo fanno da un monitor, sono persone che non hanno mai ascoltato un vinile o addirittura nemmeno un CD, sono persone catapultate in un mondo che, di fatto, non ha radici.

Ora, facendo il punto di quello che abbiamo appena detto, se questi ragazzi non hanno mai visto un film vecchio o se non sanno cosa sia un vinile o se non hanno mai scritto a mano o se non hanno fatto quello che tutti noi, un pochino più vecchi, abbiamo fatto per gran parte della nostra vita, vuol dire che siano più tonti di noi?No, vuole semplicemente dire che a loro manca “la memoria” e di conseguenza il percorso per arrivare a quello a cui siamo arrivati.

A loro, in un percorso che va un punto A a un punto C manca il punto intermedio, B. Hanno visto Avatar ma non sanno il percorso culturale occidentale che ci ha portato a Cameron e ai suoi film. Usano il computer e Internet e i social ma non sanno che per arrivare a Facebook siamo dovuti passare in mezzo a una bolla speculativa enorme, alla fine degli anni ’90, che ha messo in ginocchio l’intero mondo della finanza mondiale: non sanno che quello che usano oggi è frutto di qualcosa.

Vi ricordate l’analogico, Giampiero? Diceva che la colpa è in gran parte dei nonni i quali, invece di preoccuparsi di tirarsi la faccia con dei lifting, dovrebbero stratificare la memoria dei ragazzi.

I giovani non devono escludere ma devono stratificare, ovvero devono capire come si è arrivati al punto C vedendo come è fatto il punto B.Ecco, se io sono d’accordo nel cosa fare non concordo nel chi dovrebbe farlo: per me non sono i nonni ma sono i genitori che devono essere il veicolo culturale dei figli.

Non la scuola (o non del tutto) ormai inadeguata in riferimento a quanto accade in ottica digitale, e non i nonni che non possono concepire il cambiamento nella sua pienezza, ma i genitori. I tecno-ibridi.

I genitori hanno il dovere, non il diritto ma il dovere, di capire il presente per poter mostrare i legami con il passato ai propri figli.

I genitori hanno il dovere non solo di capire il presente ma anche di mostrare ai propri figli, ai nativi digitali, il passato, cosa siamo e da dove veniamo.Un diritto che i genitori non hanno è quello di sentirsi inadeguati senza nemmeno provare a fare le cose: quella è pigrizia mentale e di pigrizia mentale, di quella no, non abbiamo proprio bisogno.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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