Forse questo è il primo Governo italiano ad affidare almeno parte della propria credibilità alla buona riuscita dell’Agenda digitale. Il neopremier Matteo Renzi, anche facendo leva sulla propria età, ha cavalcato questi temi in varie occasioni di campagna elettorale. Ancora non sappiamo se le promesse saranno mantenute o se alla fine il conservatorismo, nelle scelte governative, tornerà a rallentare lo sviluppo dell’Agenda. Le premesse sono però interessanti. Certo c’è un’opportunità di svolta. Ne sono convinti tanti parlamentari esperti di digitale con cui ho parlato in questi giorni. Non solo Paolo Coppola (PD), ma anche Antonio Palmieri (Forza Italia) e Stefano Quintarelli (Scelta Civica), che certo quando si tratta di criticare la politica retriva non è solito moderare i giudizi.
Che cosa ci si aspetta da Renzi e, in generale, dal cammino dell’Agenda digitale in questo Governo? Detto con parole semplici: che vada avanti come un carro armato, con le riforme già definite.
Tutte già nelle norme, ora si tratta solo di applicarle. Questo significa non solo attuare le tre priorità di Francesco Caio (responsabile Agenda digitale presso la Presidenza del Consiglio)- che per altro è dato in uscita a giorni- cioè Fatturazione elettronica, Anagrafe unica e Identità digitale.
Ma risolvere tutti i dossier dell’Agenda, in cronico ritardo. Come? In due modi:
- trovando i fondi necessari, dalla nuova programmazione 2014-2020;
- superando le resistenze dei burocrati che, nella pubblica amministrazione, continuano a rallentare l’attuazione delle norme.
Due esempi di resistenze, dettate dalla paura di perdere il potere in cui ci si è trincerati o da semplice incapacità di aggiornarsi: gli open data che ancora non funzionano e l’ostinazione a usare la carta nelle pubbliche amministrazioni, sebbene vietata da luglio 2013.
Gli esperti concordano. La chiave di volta per superare tutti questi ostacoli è un forte impegno centrale, nelle mani del Presidente del Consiglio. L’ex premier Enrico Letta è stato il primo a scegliere questa strada (con il Decreto del Fare e con lo Statuto, appena approvato, dell’Agenzia per l’Italia Digitale). Ma è stata una strada imboccata solo a metà. Tocca a Renzi completarla.
Vediamo infatti che cosa ha fatto lo scorso Governo per l’Agenda. Molto sulle startup, quello che ci si aspettava per la banda larga (senza brillare), una grossa spinta alle tre priorità Caio; deserto o quasi su tutto il resto. Che è molto: Sanità, Scuola, Open Data, Giustizia, Smart City (dove c’è dentro tutto, anche temi importanti come la sostenibilità ambientale).
Per le startup abbiamo avuto il via libera all’equity crowdfunding, agli incentivi fiscali e al recentissimo visto agevolato, contenuto in Destinazione Italia.
Anche su questo fronte virtuoso c’è stato tuttavia lo zampino della burocrazia, come dimostra aver dovuto attendere due mesi per una semplice firma su un testo ormai completo, sugli incentivi.
La burocrazia (altro nome, a volte, per le lotte di potere tra diversi uffici) ci ha fatto attendere un anno e mezzo per lo Statuto dell’Agenzia, fondamentale per la sua piena operatività e quindi per trasformare la pubblica amministrazione al suono del digitale. Chiamiamo pure “burocrazia”, in un certo senso, il difficile dialogo Stato-Regioni sui bandi per la banda larga, che rischia di rimandare di un anno, al 2015, il completamento del digital divide.
Lo stesso vale per i 665 milioni di euro che ancora non arrivano ai progetti Smart Cities, con danni e delusioni di decine di giovani che li avrebbero vinti; e già si sa che almeno metà di quei fondi, stanziati dall’Europa, si sono perduti per altri rivoli del bilancio.
Mi sono fatto una convinzione. Sono andati avanti spediti, più o meno, solo i dossier su cui l’occhio della Presidenza del Consiglio si è posato direttamente e con costanza, quindi in particolare le tre priorità Caio. Il 9 giugno scatterà la Fattura elettronica obbligatoria (un eventuale proroga- per ora non ipotizzata- di questa data sarebbe un pessimo segnale per il nuovo Governo); sono ormai pronti e imminenti i decreti attuativi per partire sugli altri due fronti.
Lo so. Sembra la scena di un asilo in cui i bambini che non sono sotto l’occhio della maestra fanno i discoli. Ma è proprio com’è andata con l’Agenda digitale finora.
Ecco perché, semplicemente, tutti gli addetti ai lavori- oltre a quei tre parlamentari citiamo almeno Ernesto Belisario, Roberto Scano, Andrea Rangone- chiedono a Renzi di prendersi sotto la propria diretta responsabilità l’Agenda digitale. Come Letta, ma meglio di Letta: con più coerenza nell’impegno e maggiore sistematicità. Su tutti i fronti e non solo su tre o quattro; agendo per procurare all’Agenda tutti i fondi di cui necessita, cioè almeno 10 miliardi di euro (secondo stime dell’Agenzia) da qui al 2020.
Gli errori possibili sul cammino sono numerosi. Ma passano tutti da una qualche disattenzione del Governo su questo o quel fronte dell’Agenda. Dal giudicare questo o quel dossier del digitale meno urgente, meno importante. Errori, appunto: perché, ormai dobbiamo averlo capito, la rivoluzione digitale è un tutt’uno. I dossier sono legati come pezzi di uno stesso puzzle. Non puoi, per esempio, avere scuole più digitali quando solo poche hanno la banda larga e le competenze informatiche dei docenti sono ai minimi termini. O non puoi pretendere che cittadini e imprese parlino via eGovernment quando lo Stato non ha che una vaga idea sui nostri dati anagrafici (di qui l’idea dell’Anagrafe unica). Altro errore, che dimostrerebbe una scarsa importanza riconosciuta a questi temi, sarebbe non fornire loro i fondi necessari, altro aspetto su cui c’è ora incertezza.
Ci si aspetta davvero tanto da Renzi. Un livello di impegno che l’Italia non ha mai avuto, dal Governo, per lo sviluppo del digitale. Le norme ci sono. I fondi per attuarle pure. La sola incognita è proprio lui, Matteo Renzi: se saprà essere all’altezza di quel ruolo di innovatore digitale che molti gli vogliono attribuire.