Il Piano Impresa 4.0 Plus vedrà la luce a gennaio. L’atteso prolungamento di una saga di piani cominciati a settembre 2019 con Industria 4.0, diventato poi Impresa 4.0 a dicembre e Transizione 4.0 a maggio. Pure l’ultimo arrivato della casa è stato in realtà già ribattezzato “Transizione X.0”, com’è registrato nelle linee guida del Recovery plan, “perché anche il 4.0 è forse ormai già superato dai tempi” afferma Stefano Patuanelli a cui non mancano idee su come chiamare i tentativi statali di sostenere la transizione economica verso fonti energetiche alternative e digitalizzazione. Il problema sono le idee per dargli corso. Annunciato prima dell’estate come imminente, il 4.0 Plus sarà inserito nella prossima legge di Bilancio e posticipato all’anno prossimo.
L’esecutivo s’è fatto i conti in tasca dopo le varie misure assistenziali elargite negli ultimi 6 mesi, tra cig e redditi vari, e che ancora attendono d’essere evase. Insufficienti e una tantum, ma comunque tante. Milioni di domande, che hanno lasciato a secco le casse nel momento degli incentivi. Di qui l’aggiustamento dei loro tempi a quelli del Recovery fund, al primo anticipo del 10% che arriverebbe infatti a inizio 2021, corrispondente a 6 miliardi di euro.
Piano nazionale Impresa 4.0 Plus, un incentivo per la digital transformation
È possibile contabilizzare spese maggiori, anticipandole e aspettando il rimborso. Invece certezza di non poter incassare nulla prima, ha riportato in auge i fondi del Mes. Se già lo Stato fatica ad anticipare i liquidi, quanti privati – in piena crisi post Covid – avranno la forza finanziaria di caricarsi l’investimento iniziale? Per di più in impianti industriali sperimentali, che danno utili nel tempo, e in tecnologie di frontiera, ridefinite anche loro dal ministro dello Sviluppo come tecnologie “non ancora mature”. Per rintracciare le risorse non resterà che la fiducia di imprenditori e clienti, che finora hanno supportato personalmente la transizione digitale credendo nel crowdfunding di startup coraggiose? “Si passa dal sistema dell’ammortamento al credito d’imposta, significa aumentare del 40% la platea delle imprese che possono accedere a questo incentivo – ha assicurato Patuanelli nell’ultima audizione alla Camera -.
Chi utilizzerà le migliori tecnologie emergenti come blockchain, intelligenza artificiale e internet delle cose, per raggiungere obiettivi di innovazione dei prodotti, green e cybersicurezza avrà un incremento esponenziale delle percentuali di credito sull’investimento fatto”. Ovvero una revisione al rialzo dei coefficienti di spesa per i tax credit.
Ma ammesso che l’acconto Ue di 6 miliardi arrivasse subito, la copertura del 4.0 Plus già ne costa almeno 7. Ed è niente perché quando tra due/tre anni arriverà tutto il malloppo Patuanelli vuole arrivare a investirne 27, in qualche piano 4.0 che porti le aliquote su base volumetrica al 20%, promettendo – se sarà ancora al governo – di arrivare a una “defiscalizzazione totale” degli esborsi in strumenti e soluzioni all’avanguardia. La lista dei desideri che ha presentato in vista del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza conta più di 60 progetti del valore complessivo di oltre 150 miliardi, al netto del ballo di cifre che cambia a ogni conferenza e su ogni testata. Citiamo ancora l’esponente 5 Stelle perché è l’unico che ne parla dentro la sua maggioranza, sapendone qualcosa di Internet. E Internet è, appunto, delle e nelle cose. In quasi tutte. Banda ultralarga, e-learning, robotica, IA, a solo programmi attuabili con il campionario tecno-ecologico 4.0 quale ammodernamento, ristrutturazione, efficientamento non avrà un risvolto ambientale ricorrendovi e potrà essere escluso dal beneficio?
L’Industria 4.0 è uno dei tre pilastri indicati dal premier Conte per il rilancio della Fase 3 ma che si apprezzeranno in una fase 4 o 5, insieme alla rete unica delle Tlc e Italia Cashless. Anche quest’ultimo “piano” per velocizzare l’abitudine al pagamento con carta elettronica si trascina ormai da un anno, slittando di stagione in stagione. Pensato più in ottica anti evasione – come il bonus befana per i regali online di Epifania (Natale era troppo) e la lotteria degli scontrini (45 milioni in palio al di là delle ricevute che raccoglierà l’Agenzia delle entrate) – che in ottica anti contagio – dato che i pagamenti elettronici sono cresciuti da soli durante il lockdown, senza incentivi ma per forza di cose – attendiamo di conoscere in dettaglio quali generose detrazioni, e per quali beni e servizi, invoglieranno acquirenti ed esercenti a salutare i contanti visto che non sono previste multe o sanzioni per chi rifiuta il bancomat. Semplicemente inutile invocare controlli o segnalare casi alla Finanza: non si capisce a cosa si riferisca la “obbligatorietà” riportata dal Dl con cui il Pos è entrato ufficialmente in vigore (solo) il primo luglio scorso per tutti i professionisti e commercianti e ogni genere di compravendita. Scongiurato il fantasma di un aumento delle commissioni sui prelievi, a bilanciare lo spettro del flop del pacchetto per la digitalizzazione fiscale è la contemporanea stretta alla soglia massima di uso del contante – contenuta nello stesso decreto legge e al via sempre dal primo luglio – da 3 a 2mila euro e infine a 1000 dal 2022.