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Piccinini: «Il giornale on line è morto (o forse non è mai esistito)»

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Il giornale on line è morto, o forse non è mai esistito. Quel prodotto “ottocentesco” e affascinante che per anni è stata la fonte primaria d’informazione della borghesia (e non solo) non ha trovato una sua replicabilità in formato digitale. O meglio, l’errore ontologico compiuto dai giornali cartacei è stato proprio quello di voler replicare sul web un prodotto realizzato per essere distribuito su carta. Non è un caso che, ancora oggi, l’unico tentativo di contenimento delle perdite derivanti dalla mancata vendita delle copie cartacee passi per una riproduzione del pdf del giornale su tablet. Un tentativo industriale che vuole salvaguardare ciò che già si produce a scapito di un’indispensabile rivoluzione del prodotto. Un tentativo di salvataggio che mette sullo stesso piano la carta e un device dotato di una cpu, di una ram, geolocalizzato, con un wifi, con una fotocamera, eccetera.

Una visione antitecnologica proprio nel momento in cui gli investimenti in sviluppo dovrebbero aumentare. Perché la sfida del web non si combatte con service esterni e piattaforme standard fornite a tutti i competitor, ma con software cuciti su misura sulle esigenze del medium.

L’idea che il giornale sia “il giornale” a prescindere dal supporto di distribuzione sottintende la visione del prodotto come un’entità analogica, creata e distribuita come un pacchetto unico che l’utente deve accettare, nonostante non ne fruisca più in maniera integrale. Digitalizzare l’informazione non può essere solo un processo industriale, ma innanzitutto un processo culturale che parte dalla concezione del giornale, il quale non è più un unicum analogico ma un insieme di contenuti diversi, uniti sotto il cappello di una narrazione comune.

A essere distribuito non è più il giornale ma il singolo contenuto – La distribuzione è il primo punto da cui partire: fino a qualche anno fa, l’unico mezzo per la distribuzione delle notizie prodotte dalla redazione del giornale era la carta, un supporto tangibile con le sue regole e la sua scienza. Ogni quotidiano ha un direttore commerciale che si occupa della diffusione, dell’invenduto, dei resi. Il suo team conosce in quali edicole distribuire di più e in quali meno, in quale periodo dell’anno, e fornisce un feedback importante sul numero di copie da stampare.

In un giornale on line la distribuzione non è più affidata ad un unico team ma a tre unità: social, search engine, home (dando per assunto che il layout sia perfettamente adattabile sia alle versioni desktop che mobile e tablet).

A essere distribuito non è più il giornale inteso nella sua interezza ma i singoli contenuti e ciascun contenuto non è, necessariamente, distribuibile attraverso i tre canali. Questo vuol dire creare contenuti avendo già in mente come saranno diffusi. Non è la vittoria dell’algoritmo sull’uomo, tutt’altro: è la vittoria della creatività umana, necessaria per forzare le logiche algoritmiche e andare a bussare alla porta del lettore.

Il contenuto diventa sempre meno scritto e sempre più video – La produzione di contenuti non è solo produzione di news. O meglio è “anche” produzione di news, ma queste non bastano più. Un giornale del XXI secolo vive anche di produzione di contenuti di entertainment e infotainment (termine visto in un’accezione negativa ma che, in realtà, può racchiudere arti “nobili” come il teatro di narrazione). Contenuti che vanno pensati e prodotti per essere fruiti sempre più in mobilità e sempre meno da desktop: insomma, non siamo più nell’era del mobile first, ma del mobile only.

Perché un giornale del XXI secolo non è più solo un giornale: è un medium. Un medium il cui pubblico è necessariamente più vasto della platea del giornale. Un video “virale” (o anche la famosa telefonata tra De Falco e Schettino, per rimanere nell’ambito delle notizie) sarà visto da un pubblico più vasto dei lettori abituali del giornale: in questo senso il contenuto diventa più importante del contenitore e l’agenda del lettore cambia da analogica e monocanale a digitale. Questo non vuol dire necessariamente che l’informazione migliori, ma semplicemente che diventa più frastagliata. All’interno dell’ecosistema web, il giornale on line non è più un’isola ma un arcipelago che fornisce un’offerta più ampia del mero servizio di news. È un arcipelago in cui creatività e programmazione devono camminare a braccetto: la creatività ti rende riconoscibile rispetto ai competitor e la programmazione ti tiene nella stessa arena.

Il messaggio è il medium – Il cambiamento paradigmatico della comunicazione del XXI secolo – figlio della caduta del Muro ma esploso con l’epoca dei social network e della successiva crisi economica – ci mette davanti ad una trasformazione radicale delle ontologie comunicative. Il contenuto perde la sua pretesa di neutralità. L’idea di una produzione di contenuto che tende all’oggettività non è più attuale, o forse non lo è mai stata. Il positivismo tecnologico muore dinanzi a un neoumanesimo che rimette il lettore al centro della produzione di contenuto. Ogni lettore è un quantum d’informazione che esiste solo nell’interazione con gli altri lettori. Allo stesso modo, un contenuto esiste solo se interagisce socialmente. Un contenuto che non interagisce non esiste, ma per interagire deve scatenare delle reazioni e delle inferenze che, necessariamente, lo trasformano in percezione (McLuhan scriveva che ‘The new science of communication is percept, not concept’). In alti termini se “facts are sacred” non lo è la loro presentazione. In tal senso, non basta più elencarli: i fatti bisogna narrarli. Perché il lettore è mobile, non è più un hard reader, è un lettore liquido, che “ha perso i valori del passato, le tradizioni degli antenati, i princìpi che guidavano le generazioni precedenti”. Il contenuto, come già detto, deve bussare alla porta del lettore che lo sceglie perché risponde ad una sua esigenza immanente, che non è il concetto di un generico “essere informato” (concetto borghese ma che in un processo di democratizzazione dell’informazione non è più centrale) ma alla più ampia necessità di interagire. Un contenuto che non interagisce non interessa e, de facto, non esiste.

Finché non cambia il paradigma, finché il concetto di giornale on line non si allarga a un concetto più vasto che definiremo medium solo per convenzione, i conti non potranno mai essere in attivo. Lasciarsi alle spalle l’idea di un giornale come di un’isola è il primo passo.

Francesco PiccininiDirettore responsabile di Fanpage.it, sito dove è stato pubblicato questo articolo

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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