Poca trasparenza e troppe (inutili) consultazioni: Ecco l’OpenGov italiano secondo la società civile

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Oggi – su partecipa.gov.it – inizia la consultazione telematica sulle riforme istituzionali promossa dal Governo Letta; nello stesso giorno, sugli organi di informazione, ha ampio risalto la notizia per cui il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, ha ricordato a Ministri e Sottosegretari che – entro il prossimo 28 luglio – sono obbligati a pubblicare on line i propri redditi e la propria situazione patrimoniale, invitandoli a provvedere.

Sta tutto qui l’Open Government all’italiana: un continuo contrasto tra parole e fatti, tra adesioni teoriche contenute in conferenze stampa (o “iniziative spot”) e una scarsissima attuazione pratica dei principi di trasparenza e partecipazione, tra la facilità con cui si approvano nuove norme e la difficoltà con cui le amministrazioni – per prime – le rispettano.

Il termometro dell’incapacità del nostro Paese di darsi una strategia e rispettare gli impegni assunti è testimoniato da un documento curato da 11 associazioni della società civile italiana presentato giovedì scorso a Roma e pubblicato sul sito dell’Open Government Forum: si tratta del monitoraggio relativo allo stato di attuazione delle iniziative intraprese dall’Italia nell’ambito di Open Government Partnerhsip (OGP).

Il Governo italiano, infatti, nel 2012 ha aderito ad OGP, iniziativa internazionale che mira a promuovere la trasparenza dei Governi attraverso la partecipazione attiva dei cittadini, delle associazioni e delle imprese.

L’Open Government Partnership, i cui obiettivi sono sanciti in una solenne “dichiarazione di principi”, è un progetto a cui hanno aderito già più di 40 Paesi, ciascuno dei quali ha dovuto presentare un proprio piano d’azione (action plan): non già una generica dichiarazione di intenti, ma un vero e proprio programma di azioni concrete da intraprendere, adottato all’esito di una consultazione pubblica.

Nel mese di Aprile 2012, l’Italia ha predisposto un action plan sul quale è stata avviata una consultazione pubblica e che è stato presentato nel corso di un meeting tenutosi a Brasilia nell’aprile del 2012 (in occasione del quale ho scritto il mio primo post per CheFuturo).

Ma a distanza di oltre un anno da quell’incontro e a pochi mesi dal prossimo meeting OGP (che si terrà a Londra nell’autunno di quest’anno) cosa ne è stato dell’action plan italiano?

Purtroppo, il bilancio stilato dalla società civile italiana non è incoraggiante, né per quanto riguarda il metodo seguito né per quanto concerne i risultati raggiunti (e i due discorsi, ovviamente, sono tra loro collegati).

Innanzitutto, il coinvolgimento di cittadini e società civile italiana è stato effettuato sporadicamente e in modo poco convinto ed efficace rispetto a quanto previsto dai principi di Open Government Partnership.

Non mi riferisco soltanto alle due consultazioni pubbliche (la prima aperta per l’adozione dell’action plan e la seconda in occasione di un incontro tenutosi nel dicembre 2012) che non hanno avuto nessun seguito, ma anche – e soprattutto – alla mancata istituzionalizzazione di spazi di incontro e confronto sui temi della partecipazione a OGP, oltre che – più in generale – sulle tematiche del governo aperto. Basti pensare, ad esempio, che nessun procedimento di consultazione è stato avviato nemmeno in occasione dell’adozione di atti importanti e relativi all’attuazione dell’action plan italiano, come il recente D. Lgs. n. 33/2013 in materia di trasparenza (la cui versione definitiva è stata addirittura adottata senza neanche essere inserita nell’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri).

Per di più questo metodo non si è dimostrato nemmeno efficiente ed efficace: secondo il monitoraggio condotto dall’Open Government Forum italiano, delle diciotto azioni che il Governo si era impegnato a realizzare solo il 5% è stato portato a compimento, mentre il 39% è stato intrapreso solo in parte e ben il 56% non è stato per nulla realizzato.

Ovviamente, il report non ha l’obiettivo di “dare i voti” ai diversi Ministeri o uffici (a quello ci penserà il meccanismo indipendente di valutazione costituito nell’ambito di OGP), ma vuole essere un contributo che aiuti a capire quello che non ha funzionato e stimoli un cambio di passo nell’azione di Governo, Regioni ed Enti Locali.

Dal documento, emergono chiaramente, infatti, le ragioni che sono alla base degli scarsissimi risultati ottenuti:

a) la mancanza di una vera e propria strategia politica (capace di andare oltre i fisiologici limiti dell’impegno dei tanti dirigenti e funzionari illuminati e volenterosi). È evidente la scarsa importanza del tema per l’esecutivo, dimostrata anche dal livello della rappresentanza italiana al primo meeting OGP: mentre il Brasile era rappresentato dal presidente Dilma Rousseff e gli USA dal Segretario di Stato Hillary Clinton, dall’Italia non è arrivato nessun Ministro o Sottosegretario, né si sono mai segnalati interventi di rappresentanti del Governo in materia. Evidentemente, i temi che riguardano il futuro della nostra democrazia non sono ritenuti centrali nell’azione di governo.

b) la diffusa incapacità di progettare le azioni di governo e rendere conto dei risultati raggiunti. Nel leggere il report dell’OG Forum, si capisce chiaramente come il piano italiano fosse pieno di buone intenzioni e generici proclami, ma non contenesse impegni precisi (e questo era già stato fatto notare, invano, nella consultazione pubblica). Non è un caso che solo per uno degli impegni presi fosse prevista una scadenza precisa e vincolante (ironia della sorte, non rispettata).

Si tratta del contest nazionale per il riutilizzo degli Open Data che rappresenta un caso abbastanza rappresentativo anche della scarsa capacità di dare continuità alle azioni: nel 2011 – infatti – su iniziativa della società civile, venne organizzato il concorso Apps4Italy con il decisivo contributo del Governo; l’Esecutivo, nel piano di azione, s’impegnò poi a farne un appuntamento annuale, ma a tale promessa non è seguita alcuna azione in tal senso.

Dal report di OG Forum, inoltre, emerge anche la difficoltà di verificare se sono stati raggiunti gli obiettivi che ci si era prefissati.

E allora utilizzare la società civile, come pungolo e controllore, può essere una soluzione efficace.

Ne è una dimostrazione il monitoraggio civico dell’applicazione della normativa in materia di trasparenza condotto qualche mese fa dall’associazione Agorà Digitale: mentre il Governo non è riuscito – in quattro anni – a realizzare il portale della trasparenza previsto dal D. Lgs. n. 150/2009 (che non è tuttora on line), in una sola settimana, centinaia di cittadini hanno realizzato – volontariamente – una rilevazione del rispetto della normativa sul 5% delle amministrazioni italiane (l’intero report della “Settimana della trasparenza” è disponibile qui).

Barack Obama, in occasione della sua rielezione (nel novembre 2012), ha efficacemente ribadito come – nelle moderne democrazie – “il ruolo dei cittadini non si esaurisce con il loro voto”, ma essi devono contribuire ad un miglioramento dell’efficacia dell’azione dei propri governi, aiutandoli a superare i propri limiti.

Anche l’Italia può provarci, fin da subito, dimostrando di aver imparato dagli errori fatti nella scrittura del prossimo action plan che sarà presentato in autunno.

Per fare ciò, però, c’è bisogno di un Governo che accetti realmente questa sfida e che sia disposto a cambiare tutto (merito e metodo) per conquistare la fiducia dei cittadini.

Anche perché, proprio come accade nel rapporto tra bambini e genitori, il senso di fiducia nei confronti di un governo si costruisce soprattutto attraverso le promesse e la coerenza (e costanza) con cui vi si adempie.

ERNESTO BELISARIO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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