Negli Stati Uniti vige, dal 2000, a presidio del diritto d’autore digitale una norma chiamata Digital Millennium Copyright Act (DMCA).
Prevede un sistema tanto semplice quanto efficace. Forse non è un caso che soggetti per i quali la gestione dei contenuti è “pane quotidiano” (Youtube, Facebook, Twitter, Amazon, tanto per citarne qualcuni) siano nati e siano cresciuti negli Stati Uniti e non nel vecchio continente (parola in questo caso particolarmente calzante).
Qui, all’alba della rivoluzione del web, approntava norme che prevedevano una sorta di disincentivo per l’ISP (????) a occuparsi della gestione dei conflitti circa i contenuti digitali.
Le norme europee sul commercio elettronico sono infatti strutturate in maniera che il provider debba evitare qualsiasi consapevolezza dei contenuti ospitati sulla propria rete. Pena la responsabilità per eventuali violazioni.
Le attuali norme europee non prevedono – diversamente dalle norme statunitensi – un modo “veloce” e codificato per il provider di risolvere fuori dalle aule dei Tribunali un eventuale conflitto tra chi abbia caricato un contenuto e chi ne chieda la rimozione, senza rischi legali.
Negli Stati Uniti il provider, una volta formalmente portato a conoscenza con le modalità previste dalla Legge di una specifica violazione del copyright, invece di adottare misure imprevedibili, eventualmente imposte da un magistrato come avviene attualmente in Italia (e in Europa in genere), deve avvisare il proprio utente che abbia caricato il contenuto di aver ricevuto la segnalazione di una condotta irregolare. E rimuovere il contenuto segnalato.
Nella pratica ciò che accade è che l’utente può autonomamente contattare il segnalante e raggiungere un componimento o chiarire l’accaduto.
Se questo non accade, l’utente che vede il contenuto rimosso, se non ritiene giustificata la rimozione può inviare invece una counternotice al provider spiegando perché la segnalazione non era fondata/legittima.
Se non viene opposta da chi ha originariamente inviato la segnalazione con una azione in Tribunale (una vera e propria causa) nella Corte competente entro 14 giorni, la ricezione della counternotice autorizza il provider a ripristinare il contenuto che era stato rimosso.
La regolamentazione americana è sinora sempre stata in vigore immutata in quanto si tratta di un sistema di dissuasione/composizione delle liti efficace.
Un sistema di questo tipo è stato proposto nella consultazione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni a fine 2010. In seconda battuta, nel luglio 2011 in materia di norme a tutela del diritto d’autore sulle reti (non ne è uscito alcun provvedimento effettivo) per la necessità di approfondire ulteriormente la materia e, a seguito degli approfondimenti compiuti, perfezionato nella consultazione AGCOM indetta, sul medesimo tema, con Delibera 425/2013/CONS nel luglio 2013.
E’ interessante commentare quest’ultima in quanto da essa probabilmente uscirà un regolamento di tutela del diritto d’autore in ambito digitale che si porrà come primo effettivo atto di regolamentazione.
Qualora venga emanato un regolamento in materia di diritto d’autore esso sarà atto di una Autorità amministrativa indipendente. Assumerà le caratteristiche di regolamentazione amministrativa, anche per quanto riguarda la giurisdizione di eventuali controversie relative all’applicazione del regolamento stesso che saranno esaminate dal TAR e non dal Tribunale delle imprese, normalmente competente per il diritto d’autore.
La dottrina si sta da tempo interrogando sulla competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a regolare la materia del diritto d’autore e vi sono studiosi che esprimono forte perplessità riguardo il fondamento che l’Autorità invoca a base della propria competenza. Questa risiederebbe nell’articolo 182-bis della legge 633/1941 secondo il quale: “All’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed alla Società italiana degli autori ed editori (SIAE) è attribuita, nell’ambito delle rispettive competenze previste dalla legge, al fine di prevenire ed accertare le violazioni della presente legge, la vigilanza:
a) sull’attività di riproduzione e duplicazione con qualsiasi procedimento, su supporto audiovisivo, fonografico e qualsiasi altro supporto nonché su impianti di utilizzazione in pubblico, via etere e via cavo, nonché sull’attività di diffusione radiotelevisiva con qual-siasi mezzo effettuata; […]”; mentre altra parte della dottrina ritiene “non vi sia dubbio” circa la competenza dell’Autorità per le garanzie nelle Ccomunicazioni a vigilare la materia.
La chiave della questione sembra risiedere nelle “rispettive competenze” cui l’articolo 182-bis rimanda. Occorre (anzi, occorrerà, se un regolamento verrà effettivamente approvato da AGCOM) verificare se le competenze dell’autorità, previste dalla sua legge istitutiva o da altra normativa, consentono all’autorità di vigilare sugli ambiti di cui all’art. 182-bis nei termini previsti dal regolamento.
E’ in tal senso degno di nota che, la L. 31.7.1997 n. 249, che per l’appunto ha istituito l’Autorità e determinato le sue competenze, all’art. 1, comma 6, lettera b), nn. 1) e 3) prevede che l’Autorità: “vigila sulla conformità alle prescrizioni della legge dei servizi e dei prodotti che sono forniti da ciascun operatore destinatario di con-cessione ovvero di autorizzazione in base alla vigente normativa promuovendo l’integrazione delle tecnologie e dell’offerta di servizi di telecomunicazioni;”.
E “vigila sulle modalità di distribuzione dei servizi e dei prodotti, inclusa la pubblicità in qualunque forma diffusa, fatte salve le competenze attribuite dalla legge a diverse autorità, e può emanare regolamenti, nel rispetto delle norme dell’Unione europea, per la disciplina delle relazioni tra gestori di reti fisse e mo-bili e operatori che svolgono attività di rivendita di servizi di tele-comunicazioni”.
Se è pacifico che i “servizi” non comprendono i contenuti editoriali, non è altrettanto chiaro a cosa si riferisca il Legislatore con la parola “prodotti”. Possono i “prodotti” includere i contenuti editoriali se un operatore titolare di autorizzazione generale li diffonde attraverso i propri servizi?Può dunque l’Autorità verificare la conformità di tali prodotti che includono contenuti alla luce delle competenze citate?
Non convince invece la tesi che vede la competenza AGCOM fondata sull’art. 32-bis del Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi sul c.d. “Decreto Romani”, attuativo della Direttiva Servizi Media Audiovisivi.La norma in questione prevede infatti che l’AGCOM debba emanare le disposizioni necessarie a far si che i fornitori di servizi media audiovisivi, che sono chiaramente i soggetti regolati dal Testo Unico Servizi Media Audiovisivi, non offrano su alcuna piattaforma servizi in contrasto con il diritto d’autore.
Non sembrano invece nel perimetro della norma quelle entità che non svolgono attività di trasmissione sulle reti di servizi media audiovisivi.
Si tratta di una limitazione importante. Tornando al già citato esempio del filmato delle vacanze, esso, con la sua colonna sonora, non è un servizio media audiovisivo, né il soggetto che lo immette in rete può essere qualificato come fornitore di servizio media audiovisivo.
Allo stesso modo, un portale di User Generated Contents, per quanto riguarda quelle attività che riguardano effettivamente contenuti immessi (e prodotti/assemblati) dagli utenti, non può essere considerato un fornitore di servizi media audiovisivi in quanto non è in grado di determinare a priori i contenuti della libreria di contenuti on demand. Non così tuttavia se il portale rende disponibili servizi di streaming provenienti da editori di contenuti e non da utenti che con-tribuiscono spontaneamente.
Nemmeno un servizio peer-to-peer rientra nel novero dei servizi media audiovisivi, in quanto l’art. 2 del citato Testo Unico Servizi Media Audiovisivi esclude dalla definizione “i servizi di condivisione e scambio nell’ambito di comunità di interesse” a condizione che essi non siano in concorrenza con la radiodiffusione televisiva e sia-no prestati nell’esercizio di attività “precipuamente non economiche”.
In sostanza, l’ambito di applicazione di un regolamento dell’Autorità, fondato sull’art. 32-bis del Testo Unico Servizi Media dovrebbe riguardare le violazioni dei diritti compiuti dai servizi me-dia audiovisivi ed i servizi in rete che, violando il diritto d’autore, si pongono in concorrenza con i servizi media audiovisivi rivolti al pubblico “di massa” e, dunque – nella sostanza – le diffusioni non autorizzate di programmi televisivi in rete operate nell’ambito di attività economiche e non altri fenomeni.
La necessità di una verifica della competenza si pone comunque sulla base delle misure che l’Autorità deciderà effettivamente di approvare.
In assenza dell’effettivo testo del Regolamento (quello in consultazione è uno schema, suscettibile di variazioni), si può, nelle more, comunque analizzare comunque il merito dei remedies che l’Autorità propone nella sua consultazione e l’idoneità dei medesimi a essere fattore di equilibrio e regola del regime di circolazione delle opere digitali.
Ciò che interessa, infatti, è comprendere se la proposta AGCOM contenga soluzioni idonee a costituire una regolamentazione dei conflitti relativi della circolazione delle opere digitali, paragonabile per semplicità ed efficacia al citato DMCA statunitense.
Le opere digitali risultano essere una categoria espressamente menzionata dalla proposta di regolamento che contiene un esaustivo elenco di definizioni tra cui, appunto, quella di “opera digitale”. E’ definita opera digitale una o più opere (o parti), di carattere sonoro, audiovisivo, videoludico ed editoriale, tutelate dalla Legge sul diritto d’autore e diffuse su reti di comunicazione elettronica.
La definizione in questione esclude varie categorie di opere dell’ingegno che potrebbero costituire “opera digitale”, in primis software e banche dati oltre, naturalmente ai siti web ed immagini e dunque ci si domanda il perché della scelta di AGCOM, posto che, come si è detto, la competenza sembra essere “certa” solo per quanto riguarda specifiche categorie di opere.
Se la scelta alla base della consultazione è quella di puntare ad un concetto di competenza/vigilanza ampia, basata sulla vigilanza dei prodotti diffusi sulle reti di comunicazione elettronica, non si vede perché AGCOM avrebbe competenza sul software videoludico e non sul software in generale.
Ad ogni modo, il regolamento non interesserà ciò che non è nella categoria di opera digitale e, dunque, non sarà applicabile a nessuna forma di contenuti online che non siano qualificabili come opera dell’ingegno delle categorie sopra menzionate.
Ad esempio un immagine che costituisca una parodia di altra opera, postata sul web, non essendo ivi ricompresa non potrà essere contestata per il tramite del regolamento.Altra esclusione degna di nota e contenuta all’art. 2 comma 3 del proposto regolamento è quella relativa alle attività dei c.d. “downloader” (persone fisiche o giuridiche che, attraverso reti di comunicazione elettronica, scaricano opere digitali su un proprio terminale o su uno spazio condiviso e delle attività di condivisione diretta tra utenti finali di opere digitali attraverso reti di comunica-zione elettronica).
Il paradosso è che una attività che sia oggetto di attenzione del Regolamento se compiuta dall’uploader non lo potrà più essere una volta che sia intervenuto il download. Sarà dunque da comprendere se il futuro Regolamento consentirà di provare l’attività dell’uploader attraverso l’intervenuto download.
La proposta dell’AGCOM sembra dunque, più che altro, voler porre in essere una procedura di risoluzione delle controversie che riguardano la immissione in rete di contenuti a scopo commerciale e non come regola punitiva dei download sulla scorta della considerazione che un ambiente digitale ostile agli upload porterà a minori download e prevedendo altresì misure di promozione attiva dell’utilizzo legittimo delle reti per la circolazione dei contenuti.
Definita la categoria settoriale dell’opera digitale, la proposta dell’AGCOM ne vuole tutelare la diffusione effettuata da particolari soggetti definiti “gestori della pagina internet”.Si tratta di una definizione quanto mai ampia. Il gestore della pagina internet, secondo l’Autorità è il prestatore dei servizi della società dell’informazione che, sulla rete internet, cura la gestione e l’organizzazione di uno spazio su cui sono presenti opere digitali o parti di esse ovvero collegamenti ipertestuali (link o tracker) alle stesse, anche caricati da terzi.
Tale categoria comprende vari livelli di possibile azione e varie tipologie di servizi che, assieme contribuiscono alla circolazione dell’opera digitale, sicché per una data “opera digitale” si potrebbero avere molteplici “gestori della pagina internet” quali, ad esempio, l’ISP che mette a disposizione lo spazio di hosting, il soggetto che gestisce il server su cui il sito web opera, collocato nello spazio di hosting, l’amministratore della pagina, che ha, nell’ambito della stessa consentito la creazione di una sottopagina ad un utente e, l’utente che ha, nell’ambito della proprio sottopagina, caricato una serie di contenuti.
Non è chiaro a quale di questi soggetti l’Autorità intenda attribuire specifica responsabilità o se il concetto di responsabilità che l’Autorità concepisce sia di corresponsabilità di tutti i soggetti qualificabili come “gestori di pagina Internet”, tale da incentivare l’autoregolamentazione. Ad esempio, a quale di tanti “gestori della pagina” coinvolti nella circolazione di un medesimo contenuto ci si dovrà rivolgere? (ISP, cloud provider, host, titolare della sottopagina, ecc.).
Tale seconda tesi parrebbe tuttavia quella preferibile in quanto, nel prosieguo, il documento prevede, all’art. 6, che il gestore della pagina internet possa adottare una propria autoregolamentazione, pubblicata su un apposito sito dell’AGCOM e che tale autoregolamentazione, se esistente, sia da invocare in prima battuta, da chi abbia reclami in materia di violazione del diritto d’autore, prima di azionare le procedure di cui al regolamento, mentre resta impregiu-dicata, in qualsiasi fase la possibilità di rivolgersi all’organo giudiziale competente. Ma, allora, se sono più d’una le autoregolamentazioni applicabili, saranno da invocare tutte?
Se la proposta di regolamento, nel prevedere che i gestori di pagina web che adottano una autoregolamentazione, possono risolvere autonomanente il conflitto, incentiva, in qualche modo, la creazione di autoregolamentazione, nei fatti, non sembra specificare quale debba essere il contenuto di tali autoregolamentazioni.
Non si comprende dunque se l’autoregolamentazione, per essere idonea a funzionare da primo livello di composizione della controversia debba avere certi requisiti e quali essi siano; si potrebbe avere così autoregolamentazione strumentale a rallentare le procedure e creare complessità a chi intenda segnalare, rendendo, in particolare, complesso comprendere se il reclamo sia stato effettivamente evaso oppure no.
Tale punto andrebbe probabilmente meglio definito in una eventuale regolamentazione definitiva.
D’altra parte le “notice & take down” procedures attualmente meglio funzionanti, come previste dal DMCA statunitense ai sensi della Section 512(c) del Copyright Act trovano proprio nelle rigide prescrizioni sul contenuto sostanziale e formale la propria caratteriz-zazione. Tali procedure prevedono infatti una dichiarazione giurata del titolare dei diritti che individua con il precisione il contenuto se-gnalato, afferma quale sia il diritto violato e quale sia la norma viola-ta e dichiara che esso è in violazione di legge “under penalty of perjury”. A fronte di tale dichiarazione, per la quale il dichiarante si è assunto la responsabilità anche penale e per danni eventualmente causati dalla segnalazione, il contenuto viene rimosso, con possibili-tà di contraddittorio futuro qualora la dichiarazione non sia veritiera. Si tratta del sistema che risulta essere, per quanto riguarda motori di ricerca, portali di contenuti e social network, di fatto l’unico utile strumento per intervenire sui contenuti costituenti oggetto di proprietà intellettuale.
E’ pur vero che l’indicatore di efficacia dell’autoregolamentazione adottata sarà l’assenza di secondo reclamo all’Autorità e, in tal senso, probabilmente il gestore della pagina web che non voglia incorrere in provvedimenti da parte di AGCOM o, addirittura, in ordini da parte del giudice, avrà interesse a dotarsi di autoregolamentazione particolarmente efficace, che – per così dire – invogli i titolari dei diritti ad utilizzare la procedura alternativa a quella giurisdizionale e non procuri una seconda segnalazione ad AGCOM, allo stesso modo in cui una buona privacy policy evita successivi reclami al Garante Privacy; allo stesso modo, probabil-mente, il fatto che l’autoregolamentazione debba essere notificata all’Autorità potrebbe implicare una valutazione preliminare di con-gruità
Di particolare interesse è il fatto che, all’interno della definizio-ne di gestore della pagina web, sia stato incluso il concetto di link: risulta gestore della pagina web anche colui che “organizza collegamenti ipertestuali (link o tracker) ad opere digitali, anche caricati da terzi”.
La previsione, redatta in questi termini, non è pienamente comprensibile.
Sembrerebbe dunque che ogni sito dove sono presenti link a opere protette dal diritto d’autore debba, per poterli ospitare, verifi-care se i link sono autorizzati. Tale previsione, come meglio si discu-terà al paragrafo successivo, parrebbe carente di fondamento nella Legge sul Diritto d’Autore in quanto il link, di per sé, non è un’opera dell’ingegno e non influisce sull’opera che rimane altrove.
In effetti, il link assume le caratteristiche dell’opera a cui si riferisce, per cui, laddove l’opera linkata non costituisce una violazione, neanche il link può essere considerato in violazione del diritto d’autore mentre un link che fosse unica via per l’accesso ad un’opera dell’ingegno diffusa senza autorizzazione, potrebbe probabilmente essere considerato in violazione dell’art. 171-ter LdA in quanto co-stituirebbe una “connessione” all’opera in violazione; difettando l’opera non autorizzata il link di per sé non è nel perimetro della Legge sul Diritto d’Autore e, dunque, non sembra nemmeno poter rientrare nel perimetro dell’eventuale regolamento. Al riguardo sem-bra opportuno il riferimento ai tracker che spesso indicizzano file che non sono altrimenti reperibili. Qualora invece si abbia un link ad un’opera che sia distribuita direttamente dal titolare dei diritti la que-stione non è invece pacifica ( ). L’effetto paradossale potrebbe es-sere quello di un titolare dei diritti che lamenta una violazione per il fatto che una propria opera, diffusa tramite il proprio sito, sia stata linkata da terzi, sostenendo che il diritto d’autore include anche il di-ritto esclusivo a creare collegamenti ipertestuali alle opere diffuse tramite Internet. Come si dirà al paragrafo successivo possono esiste-re links creati in maniera pregiudizievole e che possono evocare que-stioni in materia di concorrenza sleale, tuttavia pare difficile configu-rare un diritto esclusivo e monopolistico di linking come estensione digitale della privativa in quanto, il porre il contenuto in Internet, di per sé, implica l’accettazione della modalità di distribuzione in rete e cioè del fatto che l’opera possa essere – se non digitalmente protetta – aperta dai terzi che accedono tramite collegamenti ipertestuali.
L’ultima questione che sembra opportuno segnalare in questa sede e che deriva dall’analisi della proposta di regolamento AGCOM riguarda il metodo di contrasto alle violazioni.
L’Autorità si propone, in caso di accertamento di una violazione, di emettere un ordine, diretto al gestore della pagina internet, tramite il quale l’Autorità richiede al gestore della pagina internet di rimuovere il contenuto. Tale ordine è assistito dal principio del contraddittorio anche con l’uploader dell’opera digitale oltre che con il gestore della pagina internet interessato che, sin dalla notifica, vengono coinvolti dall’Autorità nel procedimento e possono presentare le proprie deduzioni. Se non rintracciabili, vengono coinvolti i prestato-ri di servizi interessati (ragionevolmente, l’ISP).
I soggetti coinvolti hanno tre giorni per rimuovere il contenuto spontaneamente o, per l’appunto, presentare le proprie deduzioni.
Qualora il procedimento presenti contraddittorio, l’Autorità prende una decisione, a meno che tra le stesse parti, nelle more, non si instauri contenzioso dinanzi all’Autorità giudiziaria per il mede-simo oggetto.
In base a tale procedimento, l’Autorità potrà emanare un ordine di disabilitare l’accesso alle opere digitali diffuse in violazioni.
Gli stessi Commissari dell’Autorità, alla presentazione della consultazione pubblica hanno sottolineato come la formulazione scelta sia volutamente generica per consentire al destinatario dell’ordine la scelta di metodi non invasivi e che non prevedano tecniche di Deep Packet Inspection; pare esservi un suggerimento indi-retto all’utilizzo della tecnica che prevede l’inibizione dell’accesso sul c.d. server DNS, che regola l’abbinamento tra nome del sito e indirizzo numerico del medesimo.
Si tratta di una misura “leggera” (nel senso che un utente evoluto la potrebbe neutralizzare con relativa facilità cambiando il DNS interrogato dal proprio computer in maniera perfettamente lecita) ed efficace, più che altro, per l’utenza che non abbia particolare familiarità con le tecnologie informatiche.