Con un computer in rete si possono fare tante cose. Da qualche anno molti giovani del Sud, li usano per battersi contro la mafia. Ammazzateci Tutti è una delle organizzazioni più note. Abbiamo chiesto al suo leader di raccontarti come è iniziato tutto per lui. Così…
Avevo sei anni. Anzi, sei anni e mezzo (quando sei bambino ci tieni a specificarlo quel “e mezzo“). Ogni sabato, subito dopo il telegiornale, guardavo il programma “Scommettiamo che…” condotto da Fabrizio Frizzi.
Quella sera – non lo dimenticherò mai – in apertura del programma Frizzi e la Carlucci esordirono dando la notizia di quanto era successo nel pomeriggio a Palermo. Il giudice Giovanni Falcone era stato ucciso, e con lui la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo ed Antonio Montinaro.
Una strage. Li hanno fatti saltare in aria imbottendo con quattrocento chili di tritolo l’autostrada A29, all’altezza dello svincolo di Capaci.
Ricordo la faccia di Frizzi ed il suo evidente imbarazzo a dover comunque obbedire alla logica “the show must go on”. Ero troppo piccolo per capire cosa fosse successo. O meglio, lo capivo ma non volevo accettarlo. Io volevo allontanare quelle immagini, perché le avvertivo come una prossimità. Perché quando nasci al Sud impari in qualche modo ad assuefarti al sangue. Che sia di quelle strade ed autostrade costruite contro ogni buonsenso, o che sia di criminalità, è una differenza marginale. Senti talmente tante volte in giro le sirene spiegate, che impari anche distinguere quelle dei Carabinieri da quelle della Polizia, di un’ambulanza o dei pompieri.
La morte di Falcone, però, aveva lasciato nella mia testa una sorta di bomba ad orologeria. Volevo sapere, volevo conoscere.
Una cosa va detta: grazie ai miei genitori avevo subito capito da che parte stare. Io stavo dalla parte di Falcone. Forse sembrerà banale, ma non erano i tempi di oggi. L’Italia non aveva ancora metabolizzato il percorso di rinnovamento culturale che oggi stiamo vivendo, figuriamoci la Calabria, la Sicilia, la Campania e la Puglia. Insomma, tutti quei territori dove anche i nonni ti insegnavano a farti i fatti tuoi per campare cent’anni.
E se sapevi di stare da questa parte della barricata avevi un po’ anche il timore che si sapesse in giro. Non perché potesse succederti chissà cosa, ma perché non volevi sembrare un alieno.
Ma un bambino pacioccone, che di cognome fa Pecora, e che per di più era interista – quando l’ultimo, unico, scudetto era quello dell’89 – era evidentemente abituato a differenziarsi.
Per la mia generazione era ancora consuetudine andare in biblioteca per fare le ricerche. E ricordo che ci andai anch’io perché nella mia prima enciclopedia, distribuita su circa trecento floppy disk, non esisteva la voce “mafia”. Consultai tanti libri, mi feci una mia idea. E quello che lessi mi fece capire meglio cosa succedeva anche ad uno sputo da me. Maturò in me una specie di senso d’appartenenza a tutte le cose giuste. E capii che le cose giuste erano ancora più giuste se difficili da raggiungere. Ma in giro si parlava ancora poco, troppo poco, delle cose che mi interessavano.
Qualche anno più tardi, papà portò a casa il nuovo computer: Un formidabile Pentium 100 con Windows 95. C’era anche uno strano aggeggio di latta con tante luci: il modem. Internet stava ampliando in modo smisurato le mie prospettive, anche se non esisteva ancora Google. Ogni volta che sentivo il gracchiare di quel modem, per me iniziava o proseguiva un viaggio. Non mi stavo semplicemente informando, mi stavo auto-formando. Senza saperlo.
Con il Web fu amore a prima vista, ne avevo intuito le potenzialità e volevo esserci anche io, con uno spazio tutto mio. Imparai i fondamentali dell’HTML, ed unendovi la mia naturale propensione per l’arte e la grafica, costruii il mio primo sito Internet ospitato su un server gratuito.
All’età di undici anni i miei compagni delle medie mi chiamavano per nickname: “Aldonline”.
Chi l’avrebbe mai detto: iniziai anche a guadagnarci qualcosina. Consolidata la prima fase, ed acquisite e perfezionate giorno dopo giorno le mie conoscenze tecniche, iniziai a frequentare dei “postacci” chiamati mailing-list. Chi vi partecipava aveva almeno vent’anni più di me. Per questo avevo sempre timore a scrivere, ma mi piaceva leggerli, seguire i loro ragionamenti che andavano dalla filosofia, alla politica, al sociale.
Ma la svolta arrivò quando iniziarono a nascere i primi forum telematici. La prima, vera, forma di social networking, di comunità online. Imparai non solo ad usarli ma anche ad installarli, a creare le mie piccole comunità. Il primo grande esperimento fu all’epoca dei “Girotondi” di Nanni Moretti, nel 2002. Diedi una mano a mio padre, attivista del movimento, a mettere in piedi due siti. Si chiamavano manipulite.it e centomovimenti.it.
Quei siti, con notizie, mappe, newsletter e forum, divennero un punto di riferimento per centinaia di migliaia di persone. Senza accorgercene, con il Web e con una micro-redazione nata in un paesino della Calabria, contribuimmo in maniera determinante ad auto-organizzare e portare in piazza 40mila persone al Palavobis di Milano e poi addirittura un milione a Piazza San Giovanni. Avevo fatto una cosa epocale e neanche lo sapevo.
Non vi dico la faccia di Moretti quando papà mi presentò e gli disse “Lui è mio figlio, i siti li ha fatti lui e li segue con me… ha sedici anni“.
(Continua…)
Reggio Calabria, 22 aprile 2012ALDO PECORA