Con la pelle d’oca sto per salire sul pullman nero, corazzato con vetri anti-proiettili della Nasa diretto al ‘Nasa Research Park’ di Moffet Field a Mountainview, in piena Silicon Valley vicino agli HQ di Google e a una quindicina di minuti da Palo Alto. Quì avrà luogo il ‘Graduate Studies Progam’, (GSP14) il programma cuore di ‘Singularity’ che riunisce, dopo diverse selezioni, ottanta elementi. Uomini e donne tra i più brillanti del mondo, chiamati ad utilizzare tecnologie esponenziali per cambiare la vita ad un miliardo di persone nei prossimi 10 anni. Incredibilmente sono una degli ottanta. E sono la più piccola!
Alcuni dei partecipanti sono già a bordo del bus, dai loro volti si nota che risentono del jet lag, ma l’eccitazione è alle stelle.
Io per fortuna sono arrivata nella Bay Area in anticipo e quindi sono già sincronizzata con le 9 ore indietro di fuso, per me è un ottima occasione per tenere banco e svelare la mia italianità intrattenendo discorsi carichi di entusiasmo per i mesi che verranno. Prima dell’atterraggio abbiamo superato il Golden Gate e affiorava il ricordo da bambina quando, con i miei genitori, vidi per la prima volta quella gigantesca opera, frutto del lavoro di tanti uomini. Anche lo scorso anno ero qui lavorando per ‘Mind the bridge’ l’acceleratore che collega le startup europee a quelle americane, diretta da quella grande mente di Marco Marinucci a cui va tutta la mia gratitudine per il bagaglio di esperienza e insegnamenti ricevuti.
Primo fra tutti: inseguire i sogni, anche quelli dove l’impossibile sembra irrealizzabile. Ed è stato proprio lui a suggerirmi di tentare l’application per Singularity.
Ora il pullman corre veloce e il territorio che ci circonda via via si è fa più arido, nel deserto si vedono grandi hangar con scritto ‘NASA’. Arriviamo dopo circa un’ora nella Valley. Solo dopo nuovi rigidi controlli di sicurezza ed un accuratissimo controllo dei passaporti possiamo raggiungere l’interno dell’edificio, quella che sarà la nostra casa per i prossimi 3 mesi.
Veniamo accolti da un tele-robot che gira per la struttura dandoci il benvenuto. Quattro enormi plasma con il logo ‘SU’ di ‘Singularity University’ circondano sedie e banchi colorati in una grande sala, quella principale. Uno schermo centrale ci ricorda quella che sarà la nostra missione in questi mesi, o forse per il resto della nostra vita:
How will you improve the lives of a billion people?
Sicurezza a parte, l’accoglienza è “americana”, precisa, divertente e veloce.
Quattro stazioni diverse dalle quali riceviamo gadget di ogni genere: magliette, moleskin, penne, zaini e borracce con il logo Singularity, insieme ad una pila di libri scritti dai fondatori di ‘SU’ e le chiavi della la stanza. Le camere sono essenziali, “militari”, pulite e spaziose. La mia compagna di stanza non è ancora arrivata, così monopolizzo gli spazi che mi piacciono di più.
Hanno tutti un aria eccezionale e soprattutto nessuno perde tempo. “Come ti chiami? Di dove sei? Che fai? Qual è il tuo background? Qual è la tua passione? Qual è il tuo progetto? Hai già un idea? E poi cambio. Un altro. Un ping pong di idee. E mi accorgo che sono tutti davvero eccezionali e che mi toccherà scrivere un post specifico solo parlando di loro, il cuore di SU quelli che saranno i miei compagni di viaggio e che anticipano saranno parte della grande famiglia di Singularity.
In programmazione per la prima serata il film -come poteva essere altrimenti- ‘Gattaca, La porta dell’universo. Ma la sala è vuota tutti troppo impegnati nei primi incontri.
Io inizio a parlare con un ragazzino 16enne che si trova sullo schermo del tele robot che gira per la stanza e incuriosità dal luogo in cui si nascondeva fisicamente mi lascio guidare dai suoi indizzi e m’imbatto nella ‘SU LAB’ un luogo meraviglioso dove costruire, rompere, aggiustare, disegnare, hackerare, creare, imparare e giocare. Il ragazzino fa parte del ‘Youth Camp di SU’: dieci teenager straordinari selezionati per partecipare alle prime 5 settimane del GSP14. Indubbiamente stanno più avanti di noi, mi lascio coinvolgere nei loro giochi. E’ così che tentano pazientemente di insegnarmi a pilotare un piccolo drone, che io continuo a far sbattere contro il muro. Poi mi infilano ridendo un casco con degli occhiali: sarebbe Oculus l’ultima tecnologia per avere un’esperienza 3D con i video-game e improvvisamente mi ritrovo a cadere da un palazzo schivando ostacoli e barriere, con risultati non proprio soddisfacenti. Mi promettono che diventerò un esperta.
Vado a dormire anche se non ci riesco. Troppo a cui pensare. Ma mi avevano avvertito, SU stà anche per “Sleepless Univeristy”.
A Singulairty Univerisity si crea il futuro.
17 giugno 2014LUCREZIA BISIGNANI