Sulla sorveglianza forse è già stato detto tutto, forse no. Quello che è certo è che più usiamo strumenti digitali per la nostra vita di relazione, più sarà facile registrare e tracciare i nostri comportamenti e più facile sarà la profilazione a cui siamo sottoposti. Possiamo discutere se ciò sia legittimo o meno, e quali strumenti possiamo usare per proteggere la nostra privacy. Tuttavia quello di cui non discutiamo mai è di quel nostro essere sociali di cui ogni strategia di sorveglianza si giova.
Metadati, database e altre quisquilie
Mi spiego meglio. Ammesso che ci sia qualcuno che abbia abbastanza interesse verso di noi e quindi risorse economiche, strumentali, di tempo, per controllarci h24, probabilmente gli interessa meno ravanare dentro i nostri conti bancari ma di più nei metadati delle nostre interazioni sui social network.
Andrà a vedere le nostre recensioni dei libri su Amazon e i nostri favoriti su Google+, la lista degli amici su FB e così via. Da qui eventualmente potrà decidere che, se siamo abbastanza interessanti, è il caso di fare un’analisi approfondita e quindi interrogare il CRIF, il Cerved, e magari la banca dati SDI del ministero dell’Interno.
Le ricerche approfondite costano tempo e fatica, chi vuole una profilazione esatta sa che deve investirci tempo e risorse
Prima di tutto questo però, se ha tali risorse, non è impensabile che sia passato per la stazione dei carabinieri vicino a casa e dato uno sguardo al protocollo o dossier “P”, quello che serve a dare il nullaosta se vuoi fare, che so, il manager a Finmeccanica.
Le ricerche approfondite costano tempo e fatica e chi vuole una profilazione esatta sa che deve investirci tempo e risorse. Non è stato fatto coi potenziali terroristi islamisti che dall’Occidente hanno ingrossato le file dell’Isis, figuriamoci se lo fanno con noi.
Invece quelli che fanno sorveglianza commerciale, sicuramente sono avvantaggiati dal trovarsi tra le mani tutti i dati che volontariamente lasciamo in giro. Una volta organizzati secondo le logiche della statistica demografica e attuariale è più facile che interessiamo come profilo all’ingrosso, che come individui. Quei dati su di noi calcolati servono a strutturare database e strategie commerciali piuttosto che a venderci direttamente qualcosa.
SULLA DISOBBEDIENZA
Personalmente ritengo che le leggi a tutela della privacy siano largamente inefficaci per impedire a qualcuno di sapere tutto di noi e da tempo ritengo che solo attraverso le privacy enhanching technologies sia possibile garantirsi un livello minimo di tutela.
E sono assolutamente affascinato dai propugnatori della vita analogica, quella per cui non paghi nemmeno il casello dell’autostrada con un bancomat, tracciabile per definizione.
Mi spiego meglio. Se qualcuno vuole veramente essere anonimo se ne deve andare dalla provincia, dove il controllo sociale è pressante, e trasferirsi nelle metropoli. Ovvero se uno vuole mescolarsi agli altri su Internet non deve assolutamente associare la propria identità anagrafica agli strumenti del comunicare digitale. Deve usare una serie di accortezze, dalla password senza relazione col proprio vissuto – alcuni hacker consigliano la frase casuale di un libro che non si trovi in casa – fino alla casella di posta elettronica a pagamento presso il provider di un paese estero dove le leggi a tutela della libertà d’espressione siano effettivamente tutelate. Poi c’è una serie di passaggi intermedi che vanno dall’uso di browser anonimi fino a Tor e all’uso della crittografia digitale.
Ma perchè si dovrebbe fare questo? Perchè ci sono paesi dittatoriali dove si rischia la vita per le proprie opinioni, altri che da democratici sono diventati autoritari e dove gli oppositori nel volgere di mezza generazione sono diventati carne da macello per le carceri del regime.
E in Italia? Nei paesi democratici il motivo per disobbedire nascondendosi sta nel portato delle nostre esperienze: ognuno di noi si può trovare all’improvviso a denunciare un torto, un’ingiustiza, un crimine. Perciò l’anonimato diventa di importanza capitale, ad esempio per proteggere i whistleblowers come Snowden, Assange, Swartz e molti altri.
Ma i motivi sono altri, proviamo a elencarli.
1 Privacy come limite al potere
La privacy è un limite al potere di governi e aziende. Chi sa molto su di noi è potenzialmente in grado di manipolare le nostre decisioni e di influenzare la nostra reputazione. (Leggi anche: “Tecnologie della Persuasione: ecco come i computer ci fanno fare quello che vogliono“)
2 Controllo sulla propria vita
I nostri dati personali possono decidere se meritiamo un mutuo, ottenere l’assicurazione o se possiamo svolgere un certo lavoro. I dati personali sono usati per decidere indagini di polizia o la possibilità di viaggiare all’estero. I dati personali riguardano sopratutto quello che facciamo su Internet. Se non sappiamo come vengono usati i nostri dati non siamo neppure capaci di correggerli e modificarli.Senza l’autonomia non possiamo fare scelte libere.
3 La reputazione
La privacy ci consente di gestire la nostra reputazione ed è importante perchè quello che gli altri sanno di noi influenza opportunità, amicizie e benessere. Conoscere i dettagli della vita di una persona poi non significa averne un’idea più accurata. Spesso le persone non sono obiettive quando valutano gli altri. Perciò la privacy ci aiuta ad evitare giudizi inaccurati che diventano fonte di problemi.
4 Un confine sociale
Ogni individuo stabilisce i confini fisici e informazionali della sua vita. A volte abbiamo bisogno di ritirarci e stare in solitudine, lontano dall’occhio indagatore degli altri. Spesso regoliamo anche i confini delle informazioni che ci riguardano in base al tipo di relazione che abbiamo con le persone. La privacy ci aiuta a definire questi confini.
5 Fiducia
Molte delle nostre relazioni sono basate sulla fiducia perciò se qualcuno viola la nostra privacy anche altre relazioni che sulla fiducia si basano possono esserlo e portarci a una sfiducia socialmente pericolosa. Pensateci quando andate dallo psicoanalista o parlate col consulente della banca.
6 Rispetto individuale
Se qualcuno ha un motivo per mantenere qualcosa privato va rispettato in questa sua intenzione. Solo se questo desiderio confligge con altri diritti e valori va contemperato con essi, come il diritto di cronaca che spesso è l’altro polo del diritto alla privacy.
7 Libertà d’espressione e di pensiero
La privacy ci consente di dire cose difficili da accettare per gli altri, di conoscere e sprimentare fatti e situazioni non conformi alle regole sociali dominanti: se non possiamo proteggere la nostra privacy smettiamo di farlo con un danno sociale rilevante.
8 Libertà sociale e politica
Elemento centrale della nostra attività politica e sindacale è la riservatezza che gode il perseguimento di queste scelte. Vi siete mai chiesti perchè il voto è segreto? Per evitare condizionamenti e rappressaglie.
9 Reinventarsi
Cambaire vita, è qualcosa di socialmente importante. Poter avviare una nuova attività commerciale dopo un fallimento, o tornare in società dopo aver scontato una pena ci permette di ricominciare.
10 Libertà di non doversi giustificare
Un motivo centrale nella difesa della privacy è che grazie ad essa non dobbiamo sempre spiegare le nostre scelte, sopratutto quelle che ci fanno vergognare perchè non sono condivise da quelli che conosciamo. Non si potrebbe vivere con un carico tanto pesante.
Facebook ha deciso di cifrare le chat su Messenger con una nuova funzione “Secret Conversation”
Insomma, per cercare e far rispettare la nostra privacy non c’è bisogno di essere dei delinquenti. L’hanno capito le grandi aziende e oggi abbiamo a disposizione molti servizi di mailing e di messaggistica che tutelano la nostra privacy, per curare in maniera riservata le nostre relazioni.
Anche Facebook, dopo aver introdotto nuove funzioni per gestire il livello di intimacy dei nostri post e dopo aver sostenuto la leggi sul diritto all’oblio, ha deciso di cifrare le chat su Messenger con una nuova funzione, “Secret Conversation”, che sarà disponibile agli utenti per la fine dell’estate. Quelli di Facebook non sono dei filantropi, hanno capito che proteggere le proprie comunicazioni è ormai considerato normale per le persone comuni.
La nuova funzione consente soltanto al destinatario desiderato di leggere quello che scriviamo perché adotta la crittografia end-to-end. E, al contrario di Whatsapp, non parte in automatico ma deve essere attivata dall’utente. La conversazione potrà essere solo uno a uno, i messaggi che non potranno veicolare immagini o video avranno una lunghezza prestabilita e saranno automaticamente cancellati grazie a un timer e non potranno essere trasferiti da un dispositivo all’altro.
Nell’annunciare questa nuova funzione ha chiarito che le sue chat sono già sicure, ma ha tenuto a precisare che i messaggi così protetti “non saranno visibili neanche a noi di Facebook”.
Dopo un periodo di sperimentazione del funzionamento e della messa a punto di tools per denunciarne un eventuale uso scorretto, possiamo immaginare che Messenger diventerà la Killer application per le chat sicure disponibile per il 38% della popolazione mondiale che oggi usa il social dell’azienda di Zuckerberg.
Ecco il white paper che spiega come funziona. Buona lettura.
ARTURO DI CORINTORoma, 10 luglio 2016