Nel nostro Paese la strada verso la trasparenza è sentiero tortuoso, lastricato di buone intenzioni e norme troppo timide (o, comunque, assai farraginose e poco efficaci).
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È questa la sensazione che si ha leggendo lo schema di decreto sulla trasparenza adottato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nel corso della riunione una settimana fa e pubblicato oggi – sotto forma di anticipazione – dal Fatto Quotidiano e da ValigiaBlu.
Alcuni già ironizzano sulla circostanza per cui lo schema di decreto sulla trasparenza non sia ancora stato pubblicato ufficialmente e sia stato necessario un leak per poterlo leggere.Certo, sarebbe stato preferibile che il testo fosse disponibile fin da subito sul sito del Governo, ma questo ritardo non deve essere enfatizzato: si tratta dei “tempi tecnici” normalmente richiesti per l’adozione degli atti normativi.
Quello su cui vale la pena concentrarsi, a mio avviso, è il testo della bozza diffusa, che contiene modifiche al decreto 33/2013 con alcune novità in materia di obblighi di pubblicazione sui siti web delle PA e la tanto attesa introduzione di un “diritto di accesso” generalizzato ai dati e ai documenti delle pubbliche amministrazioni.
Senza giri di parole, si può affermare che il testo è assai deludente rispetto alle attese (e alle promesse).
I lettori di CheFuturo ricorderanno bene che l’adozione di una nuova norma sull’accesso è (anche) il risultato di una campagna attraverso la quale oltre 30 associazioni della società civile – con un metodo inclusivo – hanno scritto insieme una proposta di legge (sottoponendola a Governo e Parlamento) e hanno avviato una campagna (raccogliendo oltre quarantamila firme).
E questo lavoro ha pagato: grazie all’impegno dell’Intergruppo parlamentare innovazione, sono stati presentati ben due disegni di legge in materia e la riforma dell’accesso è entrata all’interno della Legge n. 124/2015 (la cosiddetta “riforma PA”).
Oggi sarebbe stato bello congratularsi con il Governo per avere, finalmente, dato seguito a quanto più volte promesso.
E invece, il decreto approvato dal Cdm del 20 gennaio 2016 non risponde alle esigenze del Paese (è di oggi la notizia per cui l’Italia è ancora penultima in Europa nella lotta alla corruzione) e non soddisfa i 10 punti irrinunciabili che un buon FOIA dovrebbe avere.
Nei prossimi giorni ci sarà sicuramente modo di discuterne approfonditamente, ma fin da ora è possibile segnalare i principali punti critici della bozza.
Innanzitutto, il decreto istituisce una nuova tipologia di accesso che non sostituisce quella prevista dalla Legge n. 241/1990, rendendo il quadro normativo più complesso (sia per le amministrazioni che per i cittadini).
Inoltre, viene riconosciuta un’ampia discrezionalità alle amministrazioni, dal momento che hanno la facoltà di negare l’accesso
E questo in presenza di un pregiudizio anche solo “verosimile” a una lunga lista di interessi pubblici (oltre a quelli già previsti dalla Legge n. 241/1990, sicurezza pubblica, sicurezza nazionale, difesa, relazioni internazionali, politica e stabilità finanziaria ed economica, conduzione di indagini, svolgimento di attività ispettive) e privati (protezione dei dati personali, libertà e la segretezza della corrispondenza, interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica).
Inoltre:1. non è previsto che l’accesso ai documenti informatici sia sempre gratuito;2. non sono indicati precisamente i “costi sostenuti” che potranno essere richiesti al richiedente (es. per riproduzione e spedizione);3. non è previsto che quando un’informazione sia stata oggetto di un certo numero di richieste di accesso, l’amministrazione debba pubblicare l’informazione nella sezione “Amministrazione Trasparente”;4. i rimedi giudiziari previsti non sono veloci e poco onerosi e non è previsto alcun rimedio stragiudiziale;5. non sono previste adeguate sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato (come invece aveva richiesto il Parlamento con l’art. 7, comma 1, lett. h della Legge n. 124/2015);6. le pubbliche amministrazioni possono rigettare le istanze facendo semplicemente trascorrere trenta giorni dalla richiesta, di fatto evitando di motivare le ragioni per cui negano l’accesso.
Naturalmente, il problema non è tanto che le richieste e le proposte della società civile siano state (quasi) totalmente ignorate, quanto che – se davvero fosse adottato in questi termini – il decreto rischierebbe di avere un impatto molto basso sulla trasparenza delle amministrazioni italiane, generando solo ulteriore burocrazia e contenzioso.
Non tutto è perduto, però. Nel corso delle prossime settimane lo schema di decreto legislativo dovrà acquisire i pareri del Parlamento, del Consiglio di Stato e della Conferenza Unificata. C’è ancora tempo per lavorare ad un miglioramento del testo del decreto che dovrà essere approvato entro il 28 febbraio.
Si dice che la differenza tra un sogno e un obiettivo sia l’esistenza di una scadenza. E allora, la speranza è che tra un mese si possa parlare di un obiettivo raggiunto e non di un sogno che non si è avverato.