Martedì scorso erano 40 anni. Il 29 marzo 1976 Jack Nicholson ritirò l’Oscar di miglior attore per la sua straordinaria interpretazione di Randle Patrick McMurphy, protagonista di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (One Flew Over the Cuckoo’s Nest), girato l’anno prima da Milos Forman, uno dei tre film ad aver vinto tutti e cinque gli Oscar principali, inserito in tutte le classifiche fra i cento migliori film della storia del cinema.
La cultura antiautoritaria che ancora guida la New Economy
La vicenda del paziente ribelle e anticonformista, che sovverte le regole opprimenti dell’ospedale psichiatrico fondato su terapie coercitive, insegna ai ricoverati una trasgressione alla ricerca della felicità in un crescendo dal drammatico finale, fu un enorme successo. In sintonia con la cultura antiautoritaria dell’epoca, che qualche anno prima con un salutare terremoto aveva iniziato a rigenerare la Mecca del Cinema che insensibile ai cambiamenti in corso sembrava in crisi irreversibile.
Una rivoluzione preannunciata nel 1967 dall’inquietudine di film come Gangster Story e Il Laureato ma simboleggiata da un’altra pellicola con Nicholson fra gli interpreti, Easy Rider (1969). Un’epoca rievocata da un libro di Peter Biskind e un documentario di Kenneth Bowser, col titolo ”Easy Riders, Raging Bulls. Come la generazione Sesso-Droga-Rock’n Roll ha salvato Hollywood“.
Il patio del Cuckoo’s Nest Club visitato durante un recente Italiani di Frontiera Silicon Valley Tour
Oggi “Cuckoo’s Nest Club” (Club Il nido del cuculo) è il nome di un circolo che raccoglie investitori, amministratori delegati, imprenditori e artisti nell’ambito di Boot Up World, un ecosistema globale per startup con una bellissima sede nel cuore di Silicon Valley, Menlo Park (che abbiamo visitato di recente con imprenditori e manager in uno degli Italiani di Frontiera Silicon Valley Tour”.
E questo aiuta a capire che quel film fu molto più che un inno antiautoritario, in sintonia con l’epoca, più di una forte denuncia sugli abusi patiti dai malati psichiatrici.
C’è davvero un filo rosso che collega la storia di trasgressione frutto della controcultura dell’epoca all’ambiente della New Economy.
E parte dalla stessa figura dell’autore del libro da cui fu tratto il film di enorme successo.
Dalla Beat generation fino al movimenti hippie per arrivare al mouse
Ken Kesey (1935-2001), che scrisse One Flew Over the Cuckoo’s Nest all’inizio degli anni Sessanta, è stato una figura cruciale della cultura psichedelica, a cavallo fra Beat Generation e movimento hippie. Alla Stanford University, dov’era entrato dopo laurea con una borsa di studio in scrittura creativa, aveva partecipato da volontario come cavia a un programma segreto finanziato dalla CIA sull’uso di sostanze psicotrope fra le quali l’LSD.
Lo studio si svolgeva al Menlo Park Veterans Hospital che si trova su Willow Road, la stessa strada del Cuckoo’s Nest Club. Kesey ci lavorava anche come assistente nel turno di notte e quell’esperienza, lunghe chiacchierate con i pazienti mentre a volte era sotto effetto di allucinogeni, fu cruciale per l’ispirazione che ne trasse per il suo libro.
Kesey proseguì per conto proprio gli esperimenti con l’LSD, sulla scia di quella trasgressione che i poeti della Beat Generation avevano avviato anni prima, fra viaggi esistenziali alla riscoperta di sé, libertà nei costumi sessuali e nell’uso di droghe. Gli Acid Test di Kesey erano feste a base di allucinogeni e performance multimediali, colonna sonora ideale la musica del gruppo di culto di San Francisco, i Grateful Dead di Jerry Garcia. Un’esperienza che il gruppo fondato da Kesey, i Merry Pranksters (Gli Allegri Burloni), considerati i precursori degli hippy, decise di esportare con un bizzarro Tour Coast to Coast da San Francisco a New York su uno scuolabus riadattato dai colori sgargianti. Al volante una figura leggendaria della Beat Generation, quel Neal Cassidy che con la sua furiosa sregolatezza aveva ispirato a Jack Kerouac “On the Road“. Fu Cassady a presentare Kerouac e Allen Ginsberg a Kesey, che a sua volta li introdusse a Timothy Leary, psicologo e filosofo destinato a diventare un po’ il profeta dell’LSD per una generazione, al punto da ispirare la canzone “Come Together” a John Lennon.
L’esperienza delle feste psichedeliche e del viaggio dei Merry Pranksters venne immortalata nei reportage raccolti in un libro memorabile, Electric Cool-Aid Acid Test, di un eccentrico esponente del Nuovo Giornalismo destinato a diventare autore di best seller: Tom Wolfe.
Considerato da Wolfe l’esponente più contenuto e riflessivo di quel bizzarro gruppo, Stewart Brand è il personaggio chiave che lega controcultura californiana e mondo Hi Tech. Studi di biologia a Stanford, anche Brand aveva partecipato agli esperimenti segreti sull’LSD e nel 1963 fu lui a promuovere una campagna per indurre la NASA a rendere pubbliche le immagini della Terra scattate dallo spazio. Una battaglia dal forte valore simbolico: vederlo per la prima volta come un tutt’uno sospeso nello spazio diede l’idea della fragilità del pianeta, della necessità di rispettarne gli equilibri e valutare le conseguenze ambientali di ogni gesto umano, un primo segnale di consapevolezza ecologica, che Brand aveva coltivato con un profondo e costante interesse per la cultura dei nativi americani.
Stanford, la Silicon Valley, Internet il mouse e il pc
Nel dicembre 1968 Brand fu a fianco di Douglas Engelbart, ingegnere e inventore, alla guida dell’Augmentation Research Center, in quella che fu definita La Madre di tutte le presentazioni, in cui Engelbart a San Francisco prefigurò un quadro completo di quello che sarebbe diventato il computer del futuro, mostrando pure per la prima volta una scatoletta di legno con filo e rotella: era il primo mouse!
Quello stesso anno, Brand lanciò una bizzarra pubblicazione, Whole Earth Catalog in cui veniva presentata una serie sterminata di utensili, attrezzi, apparecchi elettronici, chiedendo ai lettori di commentarne l’uso con recensioni. Quei volumi che mettevano a disposizione informazioni e chiedevano in chiave interattiva di condividerle, su oggetti e congegni utilizzabili per il faidate, collegarono in qualche modo la controcultura delle comuni hippy al mondo della tecnologia, una sorta di “Internet sulla carta” prima che esistesse il web.
Non è un caso che proprio Brand abbia consacrato quella combinazione fra utopia e tecnologia in un articolo storico sulla rivista Time del primo marzo 1995, intitolato “Dobbiamo tutto agli hippy”:
Dimenticate le proteste contro la guerra. Woodstock e persino i capelli lunghi. La vera eredità della generazione Anni Sessanta è la rivoluzione del computer.
Brand ha continuato a intrecciare utopia e tecnologia, dando vita l’anno successivo a The Long Now Foundation, una fondazione che per promuovere il “pensiero lungo”, ispirare le proprie azioni alla consapevolezza di quelle che saranno le conseguenze di queste azioni sul pianeta in un futuro lontano, tra i vari progetti sta sviluppando la costruzione di un orologio.. in grado di funzionare autonomamente per diecimila anni! Un “sogno tecnologico eccentrico” condiviso con contributi finanziari sostanziosi da figure di spicco dell’innovazione a partire da Jeff Bezos, fondatore di Amazon, Kevin Kelly e Chris Anderson, cofondatore ed ex direttore di Wired, artisti come Brian Eno.
Brand compirà quest’anno 78 anni. Kesey se n’è andato invece nel 2001, sembra senza aver mai visto il film tratto dal suo libro, per una controversia sui diritti e perchè non aveva digerito una modifica nella narrazione, che il suo racconto affidava in prima persona al personaggio del capo indiano.
Per lui “I pazienti non erano pazzi, semplicemente non corrispondevano all’idea convenzionale di come le persone dovrebbero comportarsi“, ricorda, a poca distanza dall’ospedale per veterani in cui quelle osservazioni erano maturate, Cuckoo’s Nest Club. Che per creare “un’esperienza per figure leader nel campo dell’innovazione e del business, spinte da uno spirito imprenditoriale e artistico con un ambiente rilassato e collaborativo per scambiarsi idee e concetti per crescere” dice di ispirarsi alle parole di Kesey. E a quelle di un altro personaggio eccentrico della zona, che in una leggendaria conferenza a Stanford, agli studenti aveva rivolto l’augurio tratto dall’ultimo numero di The Whole Earth Catalog di Brand: “Stay Hungry, Stay Foolish“. Siate affamati e folli. Convinto che “Le persone che sono abbastanza pazze da pensare di poter cambiare il mondo sono quelle che lo fanno“.
Il suo nome è Steve Jobs.