Qualche settimana fa si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della 14° Mostra Internazionale di Architettura. Fundamentals è il titolo e Rem Koolhaas, il curatore. La sala al secondo piano di Cà Giustinian era gremita e l’emozione nelle parole di Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia, si avvertiva. Emozione data dalla presentazione di un appuntamento così prestigioso. Emozione sinonimo di una consapevolezza che la Biennale deve essere il volano di una riscoperta passione e continua ricerca in ambito culturale, artistico e architettonico.
Mentre il Presidente terminava il suo discorso, ricco di suggestioni e di tangibili segnali di rinnovamento legati all’alfabetizzazione dell’architettura, mi tornava in mente l’incontro fatto qualche anno fa con coloro che mi accompagnarono verso una visione molto più ampia di qual è il ruolo dell’architettura di oggi.
Cristiana Favretto e Antonio Girardi, fondatori di studiomobile, già allora mi avevano entusiasmato per il loro approccio multidisciplinare. Dall’economia alla filosofia, dall’ambiente alla tecnologia, per poi approdare all’arte dopo essersi addentrati nelle nuove frontiere della comunicazione. Competenze e professionalità che si mischiano. Un’applicazione concreta di nuovi processi di apprendimento come quelli sostenuti dalla Singularity University.
Non posso non richiamarli per sapere a che punto sono del loro viaggio professionale, loro, gli unici giovani architetti italiani, di cui un progetto era stato inserito nella classifica delle 100 idee più innovative in ambito green, dal magazine TIME.
Ancora una volta riescono a stupirmi. Iniziamo subito a parlarmi di Pnat, una start-up che hanno da poco costituito insieme a Stefano Mancuso, professore dell’Università di Firenze e direttore del LINV ed a tre ricercatrici della Facoltà di Agraria, sempre dell’Università di Firenze, che sono Elisa Masi, Elisa Azzarello e Camilla Pandolfi.
Lo stupore è originato dalla descrizione che Antonio Girardi mi fa di questa startup, che fa parte dell’Incubatore Universitario Fiorentino (IUF): “La società studia i comportamenti dei sistemi viventi ed in particolare delle piante. L’obiettivo è di imitare le strategie e le tattiche dei sistemi viventi per lo sviluppo di prodotti tecnologici”.
Copiare ciò che la natura ha fatto e funziona per replicarlo. Una ricerca applicata, a portata di uomo, per sviluppare progetti che migliorino l’esistenza degli esseri umani. Antonio non deve aggiungere altre parole per farmi capire che il loro cammino nella direzione di “un’architettura non per architetti, ma di un’architetttura ibrida”, finalizzata alla progettazione di idee in grado di migliorare la qualità della vita, sta procedendo a ritmi serrati.
La disciplina che si occupa di studiare soluzioni innovative imitando i comportamenti e le tattiche della natura è detta Biomimetica (Biomimetics o Biomimicry in inglese) e a tal riguardo Cristiana Favretto mi dice: “Noi seguiamo i principi della Biomimetica per creare prodotti, processi e strategie d’azione innovative.
Come i prodotti e i processi del mondo naturale, i prodotti e i processi che sviluppiamo sono sostenibili, efficaci, energeticamente efficienti e in grado di ottimizzare l’uso delle risorse. I sistemi naturali usano solo energie rinnovabili ed ottimizzano l’uso delle risorse perchè il concetto di scarto non esiste, ma lo scarto di una specie è il nutrimento di un’altra specie”. Poi aggiunge: “I principi della biomimetica si possono applicare a moltissimi campi, dalla scala piccola, ad esempio la produzione di nuovi materiali che copiano i materiali naturali, alla scala dell’architettura e dell’urbanistica che copia i metodi di organizzazione dei sistemi naturali complessi (ad esempio un bosco) per adattarli ai metodi di organizzazione ad esempio delle città. Inoltre l’efficienza delle piante ad esempio nel depurare l’acqua o l’aria può anche essere applicata al design”.
Dicendomi quest’ultima cosa, mi viene in mente il loro progetto denominato Re-watering, quel progetto che proprio un anno fa, in un ambito espositivo a Roma, ha permesso l’incontro tra Antornio e Cristiana e il professore Stefano Mancuso. Un sistema per la coltivazione indoor, basato sul riutilizzo dell’acqua. Un “art-work” come piace definirlo Antonio, composto da tre ovuli e una colonna in ceramica più un ingegnoso sistema che permette il riciclo continuo dell’acqua per l’irrigazione di un orto domestico. Nel citare Re-watering, lo stesso Antonio sottolinea: “Inoltre depura l’aria degli ambienti della casa. Durante il processo di fotosintesi, le piante assorbono l’anidride carbonica presente nell’aria e rilasciano ossigeno. Molte piante sono in grado di rimuovere inquinanti presenti in tutte le case: formaldeide, ammoniaca, benzene, che provengono da vernici, detersivi, fumi, schermi di computer, ecc. Questo processo purifica l’aria e crea un ambiente indoor più salubre”.
Design, architettura e sostenibilità, ma non solo. Tecnologia in un’ottica open source e linguaggi espressivi diversificati. In una storia piuttosto piatta dell’architettura degli ultimi vent’anni, un grande apparato cumulativo di massa, perché basata su un utilizzo illimitato delle risorse è questo l’orientamento che deve avere l’architettura invece domani, anzi oggi. Un’architettura che deve essere presa come grande mezzo di cambiamento.
Lascio la mia coppia di “strani” architetti preferita, non prima di complimentarmi con loro per la loro nuova e più importante realizzazione, il figlio Alessandro di pochi mesi. Non mi rimane che aspettare il 7 giugno prossimo, giorno di apertura della nuova Biennale Architettura, convinto di trovarci tracce di passato, ma pure visioni di un nuovo futuro.
Andrea BettiniVenezia, 20 marzo 2014@ILBETTA