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Rdurre debito e disoccupazione, facendo leva su digitale, cultura e istruzione

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L’Europa occidentale soffre disoccupazione e deflazione, due facce della stessa medaglia: se non c’è lavoro non ci sono soldi e senza soldi non si fa la spesa e i prezzi calano; se i prezzi calano diventa meno conveniente produrre per vendere e si smette di investire. Cala la fiducia e si innesca una spirale depressiva.

Credits: www.ilcomunicatoreitaliano.it

Molti paesi europei, l’Italia in prima fila, sono troppo indebitati e non si possono indebitare ulteriormente, quindi non possono spendere più di quello che incassano con le tasse perché l’eccesso di spesa si tradurrebbe in nuovo debito. Già oggi questi paesi non riescono a sostenere il loro debito, figurati farne di nuovo; se non ci fosse la Banca Centrale Europea (BCE) che sta prestando soldi a questi paesi comprando i loro titoli, avrebbero già fatto bancarotta.

Ma una banca che presta i soldi ai propri soci non è proprio il massimo.

Il bello è che i ministri del tesoro di questi paesi devono ringraziare la disoccupazione che provoca deflazione e consente alla BCE di “vendere” a essi il denaro a prezzi da saldo, perché tutto quel denaro non è sufficiente a spingere l’economia a ripartire di scatto e i prezzi a decollare all’improvviso generando una spirale inflazionistica. Se questo dovesse accadere, se dovessero ripartire i consumi e gli investimenti e risalire i prezzi, la BCE dovrebbe rallentare o interrompere il finanziamento di quei paesi alzando il prezzo del denaro, cioè i tassi di interesse. Questa cosa sta già accadendo negli Stati Uniti e Mario Draghi ha il timore che l’inflazione, appunto l’aumento dei prezzi, si possa propagare come un virus anche da noi.Non dimentichiamo che per l’Italia un aumento dei tassi di un punto percentuale costa venti miliardi di euro, praticamente una manovra.

AUMENTA LA FORBICE TRA RICCHI E POVERI, COLPA DEL DIGITALE?

Altro fenomeno che ai più non sarà sfuggito è la crescente distanza fra ricchi e poveri. Sta scomparendo quel ceto medio fatto di lavoratori dipendenti con un posto fisso e una relativa serenità economica, tale da consentire di comprare una casa, una macchina e mandare i figli all’Università; resiste nelle città più ricche, ma è già un miraggio in paesi più liberisti come la Gran Bretagna e in aree più deboli come il Mezzogiorno. Se il ceto medio sta scomparendo, la classe operaia è ormai un ricordo, le fabbriche sono sempre meno e dove ci sono hanno ormai un grado di automazione che rende sufficiente un impiego di manodopera pari a non più del 10-20% di quella del dopoguerra.

La robotica e l’intelligenza artificiale sono in molti casi una minaccia per l’occupazione, che la società come la conosciamo oggi non è in grado di affrontare. Hanno già cancellato la classe operaia e stanno attaccando i colletti bianchi. E’ solo questione di tempo.Ecco la società occidentale: disoccupazione, deflazione, debito; provocano calo dei consumi, degli investimenti e della spesa pubblica in una spirale che il sistema attuale non può reggere alla lunga.

La Germania non è un’eccezione opponibile, perché tiene sotto controllo la disoccupazione sottopagando un quarto della forza lavoro a un livello che di fatto la esclude dal versamento dei contributi e quindi dalla possibilità di avere una pensione. E’ vero che chiunque abbia visitato una grande città tedesca non può negare la qualità e l’efficienza della pubblica amministrazione e della società civile, ma i tedeschi sono anche quelli che hanno truccato le emissioni delle auto che noi abbiamo acquistato; sono anche quelli che più di altri in Europa hanno bruciato miliardi di euro all’epoca della bolla dei mutui ipotecari, rischiando di mettere in ginocchio la seconda banca italiana, che aveva comprato la prima banca ipotecaria tedesca.

L’unica reale eccezione è la Gran Bretagna, ma è un’eccezione speculativa. La Gran Bretagna dai tempi della Tatcher reagisce seguendo la corrente: riduce la spesa pubblica prima che diventi insostenibile; se i ricchi sono sempre più ricchi, pur di tenerseli stretti taglia le imposte sulle successioni e taglia l’aliquota d’imposta sui redditi più elevati (oggi è al 40%, prima della Tatcher era all’84%). In Gran Bretagna regna il mercato, da sempre, non c’è altra legge, ma pur essendo la quinta economia mondiale non è un polo industriale, è piuttosto il primo polo europeo dell’economia dei servizi, il secondo o il terzo nel mondo. Non è un esempio ripetibile su larga scala.

NON ESISTE UNA RICETTA UNICA, MA DA QUI SI PUÒ PARTIRE

Come se ne esce? Avercela la ricetta. Facendo un po’ di fanta-socio-politica posso fare qualche ipotesi, mostruosamente azzardata:

1. Continuiamo così e finiamo prima o poi con le barricate in mezzo alla strada. Spero di no;

2. Puntiamo sull’agricoltura e l’allevamento per avere di che mangiare, e sulle macchine per produrre il necessario, e distribuiamo la produzione e i servizi fra la popolazione come in un’economia socialista. Lavorerebbero in pochi e mangerebbero in tanti, grazie al lavoro di quei pochi. Sarebbe fantastico ma è poco realistico, almeno nel breve termine.

3. Rimuoviamo gli ostacoli: non è detto che sia sufficiente, ma se non lo facciamo non possiamo saperlo. I punti che seguono sono gli ingredienti da miscelare:

  • Eleviamo di un ordine di grandezza il livello medio del senso civico e della cultura dell’italiano medio, dando il buon esempio e investendo sull’istruzione, dalla materna all’Università, dal latino al coding. Venti punti di PIL in dieci anni.
  • Sburocratizziamo il Paese e rendiamo efficiente la Pubblica Amministrazione, cominciando dalla giustizia e dal digitale: tempi certi nei processi attirano gli investimenti, e la digitalizzazione della PA può trasformare in un’opportunità la minaccia della robotica e dell’intelligenza artificiale. Venti punti di PIL in dieci anni.
  • Estendiamo ai lavoratori il rischio e il rendimento dell’imprenditore, riducendo la parte fissa del salario e agganciando una componente variabile agli utili o alle perdite. A cominciare da domani arginiamo il rischio di un calo del PIL e azzeriamo il conflitto di classe.

GIOVANNI DE CARO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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