Reactions al posto dei “Like” cosa cambia per le aziende su Facebook

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A partire da ieri pomeriggio Facebook non è più lo stesso. Probabilmente vi sarete già accorti che il pulsante like, elemento caratterizzante del luogo digitale più popoloso del pianeta, si è trasformato, ampliandosi.

Cliccandolo si vedono apparire altre cinque icone, o meglio emoji, utili ad esprimere diverse reazioni ad uno status update. Si chiamano “Reactions” e sono la risposta di Zuckerberg a quanti reclamavano un pulsante “non mi piace”, da sempre considerato troppo estremo e tale da inquinare l’atmosfera del social network.

Facebook ha preferito aggiungere delle sfumature più innocue: l’amore (come un apprezzamento più intenso del semplice like), l’allegria, lo stupore, la tristezza e la rabbia.

Durante la fase di test, iniziata nell’ottobre scorso, era stata prevista anche la faccina “YAY” in grado di esprimere felicita, ma poi è stata rimossa perché poco utilizzata dai primi beta tester irlandesi e spagnoli.

I like non bastavano più perciò sono arrivate le reactions

Va detto che la possibilità di commentare a post con emoji non è un’invenzione di Facebook. Già nel 2012 era presente in Path, un social network pensato per condividere frammenti della propria esistenza con un ristretto gruppo di persone.

Ma perchè Zuckerberg ha deciso di ripensare un modello di interazione già collaudato col rischio che non venga apprezzato da una nazione che conta ormai 1,6 miliardi di abitanti?

Lo ha fatto per svecchiare un servizio che, seppure di successo, corre il rischio di essere percepito come non più “cool” dai teenager.

Da tempo varie statistiche hanno segnalato questo pericolo, soprattutto tra i giovani statunitensi che apprezzano sempre di più le novità come Snapchat e che desiderano luoghi non frequentati dagli adulti.

Poi c’è una questione pragmatica legata alle abitudini di utilizzo della piattaforma.

Ormai la maggioranza degli utenti accede in mobilità attraverso l’app e dunque

le “reactions” rispondono all’esigenza di lasciare un’interazione al volo, senza la difficoltà di scrivere un commento.

Il rischio di un impoverimento delle discussioni a favore di più immediate reazioni è sicuramente dietro l’angolo.

Cosa cambia per le aziende?

Le “reactions” sono disponibili sia per i profili personali che per le pagine, e ciò avrà un impatto che i marketing manager non si possono permettere di sottovalutare.

Da un lato avranno la possibilità di capire meglio e più velocemente le reazioni dei fan ai contenuti pubblicati (anche se ancora la dashboard degli Insights non è stata aggiornata per esporle.

Sono visibili solo cliccando il singolo post). Dall’altro

le aziende si troveranno a fare i conti con feedback non necessariamente positivi, che saranno immediatamente visibili a tutti, tanto da scatenare effetti imitativi poco gradevoli.

Facilmente prevedibili anche le azioni coordinate di gruppi di protesta contro una pagina in modo da inondarla di emojii che esprimono rabbia. Non è ancora chiaro se Facebook vigilerà o dissuaderà attività di questo tipo.

Per quanto riguarda l’algoritmo che regola la distribuzione dei contenuti nel News Feed degli utenti, Facebook ha dichiarato che questa novità non avrà un impatto particolare.

Pare di capire, in pratica, che le reazioni avranno lo stesso valore del like ai fini della visibilità dei post. Questo potrebbe avere un effetto positivo per le aziende se un post scatena interazioni positive, ma qualora fossero negative sarebbero amplificate col rischio di sfociare in una crisi da dover gestire.

In definitiva, nel breve periodo, sull’onda della smania di testare la novità è possibile che la reach organica aumenti, ma, al tempo stesso, mi aspetto una maggior prudenza da parte delle aziende. Ma attenzione a non far diventare le pagine dei contenitori di immagini melense e contenuti ironici, al solo scopo di blandire i fan. Le persone si aspettano che parliate di voi e dei vostri prodotti con trasparenza.

Infine, nel futuro, penso che le nuove reazioni cambieranno anche il modo di fare pubblicità su Facebook.

Permetteranno una migliore profilazione dell’utente in base alle sue attitudini emotive

(ovviamente nel rispetto della privacy individuale) e daranno modo agli inserzionisti di veicolare un messaggio verso il “target emotivo” più in linea con ciò che vorranno comunicare (un post divertente ai più sensibili a usare faccine sorridenti, uno più sentimentale per chi lascia cuori e così via).

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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