Vorrei fare gli auguri di buon lavoro al nuovo ministro dell’Innovazione. Come dite? Non c’è? Guardate meglio, è una falsa impressione. E’ Matteo Renzi, è lui il (primo) ministro della innovazione. O almeno queste sono, secondo me, le sue intenzioni. Provo a spiegarmi. Nelle ore della caduta del governo Letta in tanti si sono spesi affinché il nuovo esecutivo segnasse una discontinuità forte con il passato. Per far questo, era il ragionamento di molti, serviva non un coordinatore di fantomatiche cabine di regia; non un oscuro sottosegretario; ma addirittura, per la prima volta nella nostra storia repubblicana, un ministro. Un ministro per Internet e per l’innovazione in genere. Qualcuno che, sedendo in consiglio dei ministri, potesse far valere e prevalere il punto di vista della innovazione su tutto giacché quando parliamo di queste cose come è noto non parliamo solo di Agenda Digitale e pubblica amministrazione (che pure sono essenziali).
Parliamo del nostro modo di vivere, dell’istruzione, del lavoro e della salute. Tutto.
E invece il presidente del Consiglio ha preso un’altra strada. O meglio: ha scelto un altro schema di gioco. Lui, il premier più giovane di sempre, ha scelto di partire con l’esecutivo più giovane di sempre, e con il più alto numero di donne: le pari opportunità realizzate al più alto livello hanno abolito il preesistente ministero. E in tutto ciò il ministero dell’Innovazione non è arrivato. Anzi, a rileggere i percorsi professionali dei sedici ministri, credo che molti potrebbero dire che, quanto a cultura digitale, ovvero quella cultura che sta cambiando il mondo ad una velocità mai vista prima, vale l’espressione che si usa per l’analisi delle urine: “Tracce o inesistenti”.
Perché questo? Perché Matteo Renzi non crede nel valore dell’innovazione? Mi sento di poter dire, conoscendolo piuttosto bene, che ciò è avvenuto esattamente per le ragioni contrarie. Secondo me il presidente del Consiglio ritiene di poter rappresentare – da solo e in ogni istante – questa indispensabile spinta verso l’innovazione. E’ una scelta che si può discutere, che si può criticare e che andrà giudicata in base ai risultati, ma non è una scelta priva di fondamento. L’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, poco dopo essersi insediato al posto che fu di Steve Jobs, disse: “Una azienda che ha un dipartimento dell’innovazione ha un problema”. Perché l’innovazione, era il ragionamento di Cook, non si confina in una stanza ma deve contaminare ogni scelta dell’azienda.
Non so se Renzi conoscesse questo precedente, ma ci trovo delle analogie, lo stesso percorso logico (per quanto l’Italia, al contrario della Apple, abbia un grosso problema sul digitale e quindi nominare un ministro ad hoc in questo frangente avrebbe potuto avere molto senso).
Del resto questo è un esecutivo, lo hanno detto molti osservatori, con un’unica stella. Il premier. E’ una giunta Renzi, hanno detto alcuni ricordando il suo recente passato da sindaco. A me pare piuttosto un governo con moltissimi interim, ovvero dove l’inevitabile carenza di esperienza e personalità di alcuni giovani politici, dovrà essere compensata dal dinamismo e dal protagonismo del premier. Che quindi per quanto detto finora va considerato necessariamente il ministro ad interim dell’innovazione.
Ma affinché questo schema funzioni, ad una pattuglia di giovani ministri politici occorrerà affiancare sottosegretari competenti ed esperti. In particolare quello delegato appunto all’innovazione, all’agenda digitale, a Internet. Perché di tutto abbiamo bisogno adesso, tranne che di ricominciare con il balletto dei tavoli, delle audizioni, delle task force, degli stati generali. Le cose da fare sono evidenti a tutti e sono state analizzate e sviscerate a fondo in questi anni. E’ il momento di farle, non di rispiegare ad un ministro cos’è il web. Per questo, ripeto, scommetto che il premier nominerà un sottosegretario della presidenza del consiglio che lo aiuti nel coordinare i dossier per spingere sul pedale dell’innovazione sempre. Infatti è un tema che riguarda la scuola, la cultura, il turismo, lo sviluppo economico, gli interni (l’immigrazione può essere una fonte di innovazione, lo sapevate no?); e persino gli esteri come ha dimostrato il pacchetto di norme Destinazione Italia appena approvato e voluto proprio dalla Farnesina.
L’innovazione, se questo governo vorrà davvero avere successo e cambiare verso, dovrà essere il tono dominante, la stella polare di ogni scelta. E per riuscirci il (primo) ministro dell’innovazione avrà bisogno di un sottosegretario competente, credibile, appassionato. Ma fra questi tre requisiti dico soprattutto competente. Non penso di far torto a nessuno se dico che fra i parlamentari della maggioranza ce ne sono almeno due che rispondono a questo identikit: il deputato di Scelta Civica Stefano Quintarelli, il migliore quando si parla di Internet in Italia; e il deputato del PD Paolo Coppola, che ha dimostrato eccellenti capacità da assessore a Udine e nei primi mesi a Montecitorio.
Fatta questa scelta il più sarà fatto, ma a mio avviso resta ancora un punto importante. Un punto che può dare una accelerazione potente alle riforme da attuare. Lo spiego così. Gli innovatori in questo paese sono cresciuti in una misura che i media tradizionali neanche immaginano. Ogni giorno ci sono decine e decine di eventi che non finiscono sui giornali e in tv ma che mettono in scena le imprese quotidiane e la voglia di fare di una Italia viva. Queste persone sono un giacimento di disponibilità incredibile. In questi anni ho visto tanti di loro spendersi gratuitamente e senza mai chiedere contropartite per contribuire a far ripartire il paese. Ciascuno nel proprio campo. E’ una ricchezza che non va sprecata.
Un governo con un primo ministro dell’innovazione e un sottosegretario credibile è finalmente un’ ottima sponda per dialogare fattivamente, per attivare quella partecipazione trasparente e concreta alla amministrazione del bene comune che è il cuore dell’open government.
Un’Italia wiki.
Immagino quindi che dalla società civile possa nascere non un governo-ombra, perché qui non si tratta di fare ombra a nessuno, ma un governo-sole attraverso il quale si possa dialogare con i ministri in maniera trasparente e solare. Non è il momento delle poltrone, ma dell’azione. Perché dubbi ne abbiamo tutti, chi più chi meno, ma non possiamo non sperare che sia davvero la volta buona.