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Report ; Job Creator Tour ; Startup, oltre l’entusiasmo che c’è

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Ieri a Napoli abbiamo ospitato Riccardo Luna alla tappa del nostro Mind the Bridge Job Creator Tour, nell’ambito dell’iniziativa “Unite the two Bays”. Gli hashtag della giornata #cambiamotutto e #jobcreator sintetizzano bene gli sforzi che da entrambe le parti (così come da parte di molti altri attori in Italia) si stanno facendo. L’obiettivo è lo stesso: stimolare una nuova generazione in Italia. La generazione di chi prova a fare qualcosa e non si lamenta di quello che manca, la generazione di chi cerca di creare qualcosa di nuovo e di cambiare (in meglio) l’esistente invece di attendere soluzioni dall’esterno o dall’alto.

A microfoni spenti con Riccardo abbiamo ragionato se quanto sta succedendo in Italia sul fronte startup, incubatori, acceleratori, angel e via discorrendo sia fino in fondo una buona cosa.

Da un lato, tutto questo è assolutamente positivo. In Italia, con l’onda crescente degli startupper, si sta riattivando una nuova generazione che sta studiando da imprenditori e questo – per chi se lo fosse dimenticato – è un mestiere che si impara sul campo. Mestiere che in Italia, dopo il boom degli anni Sessanta e Settanta, si era un po’ perso. L’assenza di crescita del nostro Paese da ormai troppo tempo ne è testimone impietoso (qui le slide con un po’ di dati). Il futuro di un’Italia che sappia tornare a crescere e innovare passa da qui. E sia noi che Riccardo stiamo trovando una montagna di entusiasmo in tutte le parti della penisola. E questa è una buona cosa.

Dall’altro, gran parte di queste iniziative è destinata a fallire.

Lo dicono i dati (Harvard Business School stima per le startup una percentuale fisiologica di fallimento del 75% negli Stati Uniti). E anche quelle startup che riescono a completare i primi passi (chiudendo un primo round di finanziamento) non è detto che siano capaci poi di fare quelli successivi (oggi il momento critico della selezione è riassunto dalle parole “survive the leap from the initial angel round to the Series A”, come dice Michael S. Malone). Quindi questa generazione di startupper va preparata a fare esperienza con il fallimento e con la competizione basata su una meritocrazia esasperata. Aspetti che sono assolutamente fisiologici e positivi ma che non vorrei che, in questo momento di mistificazione collettiva del fenomeno startup, venissero sottovalutati. Fare startup non è semplice ma, come dice Tara Hunt, “fucking hard”.

E, se la matematica non è un’opinione, problema simile lo avranno molti soggetti che ruotano intorno a questo mondo (penso ai vari incubatori, acceleratori e investitori che stanno proliferando).

Con tutto ciò non voglio trasmettere negatività, semplicemente realismo. Perché non vorrei che da uno stato di pessimismo diffuso (la generazione inerte) ci trovassimo, tra un paio d’anni, in una situazione di generalizzato scoramento (la generazione scottata).

Nonostante tutto, sono convinto che questa sia l’unica strada percorribile. Chiudo con le parole di Malone: “So, is it still worth it to start a new company? Of course it is. Just bring along some extra rope and duct tape”. #cambiamotutto e #jobcreator.

ALBERTO ONETTI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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