Risalire l’argine del torrente Secchia, che scorre sereno nella placida campagna modenese, è come ripercorrere i solchi della storia d’Emilia: un fiume che divide le provincie di Bologna e Modena e che fin dal 1300 è conteso fra i due territori, tanto da scatenare un forte conflitto narrato in versi da Alessandro Tassoni, nel 1600, nel celebre romanzo epico “La Secchia Rapita”. Diversi secoli dopo, questa campagna non è cambiata molto fra campi di grano, allevamenti di bovini e vitigni di lambrusco, la benzina della bassa. Ed è proprio da questi vitigni che lungo la Secchia sono nate decine e decine di piccole acetaie che producono e distribuiscono su scala locale l’aceto tradizionale balsamico.
«Deve stagionare almeno 14 anni, e poi ogni anno se ne possono prelevare piccole quantità per la vendita diretta.
È un processo lento e paziente, non c’è nulla di paragonabile alla produzione del tradizionale balsamico… ». A parlare è Giovanni Cuocci, educatore, allevatore, chef e produttore di aceto. Giovanni assieme ad altri soci ha fondato la Cooperativa La Lucciola, che ospita in un casolare diversi ragazzi disabili che si dedicano al lavoro dei campi, alla cura degli animali ed alla preparazione dell’aceto.
«Da qualche anno abbiamo aperto un ristorante a poche decine di metri dalla cooperativa, si chiama la Lanterna di Diogene. I cuochi e i camerieri sono i soci della cooperativa, composta indistintamente da ragazzi disabili ed educatori. Per noi questo approccio olistico della cura è fondamentale: è un concetto di integrazione che parte dalla riaffermazione delle proprie capacità e autonomie partendo dal lavoro, dalla cura e dall’assunzione di responsabilità.
E doversi prendere cura di animali, piante, clienti, botti o macchinari è una bel banco di prova».
Cosa vi è successo durante il terremoto?
È successo il finimondo. La scossa delle 9 del mattino del 29 ci ha colti mentre stavamo preparando il menù del pranzo al ristorante. Di solito prepariamo piatti della tradizione culinaria modenese, tortellini e tortelloni fatti a mano con l’ausilio di un gruppo di sfogline volontarie di Camposanto che vengono a preparare la pasta qui con i ragazzi, e poi salumi stagionati qui e prodotti dai nostri maiali, formaggi biologici del territorio… e poi tutto condito dal nostro aceto balsamico… Insomma, qui sono tutti casolari di campagna, e con la scossa i locali del ristorante, della cooperativa e il deposito delle botti d’aceto hanno avuto danni seri, crepe profonde come ferite.
Siamo scappati, i ragazzi erano molto spaventati perché non avevano mai vissuto una cosa del genere.
Che danni avete riscontrato?
La cooperativa è seriamente danneggiata, a tutt’oggi non siamo ancora ripartiti. Le attività sono dislocate in moduli abitativi, e stiamo rispettando l’iter burocratico per il risarcimento del danno e la ricostruzione. Le botti di aceto sono state messe prima all’aperto, in un campo, ma il troppo caldo o il troppo freddo non fanno bene all’aceto, che deve riposare in un ambiente con una temperatura stabile. Così le abbiamo poste in moduli prefabbricati. È temporaneo, anche se si è persa un po’ di poesia, no? E comunque grazie alla solidarietà stiamo ripartendo alla grande. Si è attivata addirittura la Regione Umbria per darci una mano a riaprire l’acetaia, che per noi è l’anima fondante del progetto: Mirco, un socio/utente, ha usato questa bella visione per raccontare il dramma che abbiamo vissuto: vedere tutto l’aceto sparso per l’acetaia e irrimediabilmente distrutto era come vedere il proprio sangue sversato dalle vene, un’immagine forte e viscerale.
E il ristorante?
La Lanterna è rimasta chiusa per un po’, ma è quella che ha subito meno danni. Quando abbiamo riaperto per diversi giorni non veniva nessuno. È stato terribile, anche per i ragazzi che rischiavano di perdere fiducia nel progetto e nel percorso. Poi abbiamo chiamato all’appello amici, sono venuti a trovarci anche persone come Carlo Petrini, che ha sposato la Lucciola e la sua biodiversità socio/gastronomica come suo luogo dell’anima, e si è portato dietro tanti pezzi di Slow Food, oltre che una buona visibilità mediatica. Così la Lucciola è tornata a emettere la sua fiammella.
Ripartiti con quali finanziamenti?
Beh, come dicevo, per le strutture stiamo ancora aspettando, per il resto abbiamo cercato di appellarci al web, come hanno fatto in tanti, tipo quelli della Cappellletta e la risposta è stata ugualmente forte. Pensate che abbiamo fatto un tour nei migliori ristoranti d’Italia e i gestori ci hanno lasciato cucinare i nostri piatti nelle cucine, parlare della nostra realtà e raccontare il nostro progetto sociale e lavorativo. E alla fine ci hanno lasciato gli incassi della serata. È stata un’estate, quella 2012, di paura e ricostruzione, speranza e solidarietà, nuovi incontri e belle energie. Nel dramma e nella precarietà abbiamo riacceso la lanterna, come Diogene…