Riccardo Esposito: Quando lavorare gratis diventa un investimento

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La nascita della prima moneta sancisce la fine del baratto e l’inizio del lavoro salariato: si guadagna in base alle capacità, alle competenze, alla qualità del prodotto o del servizio offerto. Da una costola del lavoro salariato si sviluppano l’apprendistato e il lavoro sottopagato, una piaga dalle sfumature più o meno estreme.

Il lavoro sottopagato si amplifica e si riproduce attraverso le maglie del web 2.0. Sfogliando i portali dedicati agli annunci di lavoro, è facile trovare richieste di professionalità, serietà e disponibilità ricompensate da salari ridicoli: terreno fertile per i nemici dei nuovi capitalisti che sfruttano il nuovo proletariato!

Queste critiche rimbalzano da Facebook a Twitter con una velocità senza pari. E, in alcuni casi, con un velo di superficialità: è facile puntare il dito contro il circolo vizioso che avvilisce il neolaureato, ma il lavoro gratuito non è il male assoluto.

Perché si ignora la sottile differenza tra sfruttamento, attivismo e investimento.

Sfruttamento

Il primo caso è paradigmatico. Si palesa con il classico annuncio che infrange le regole del buon senso. Ma lo fa con nonchalance, perché ingaggiare una persona a costo (quasi) zero è la norma. Gli “sfruttatori” fanno leva sulla possibile assunzione: la speranza è la droga del XXI secolo, e i neolaureati hanno bisogno di credere in una vita normale. “Sei casa, lavoro e chiesa”. Un tempo era un’offesa, oggi un punto d’arrivo.

Attivismo

Qui entra in gioco la passione, l’idea superiore, il principio politico. Facciamo un esempio: il sindaco di Parma Federico Pizzarotti (Movimento 5) stelle lancia una richiesta di aiuto su Facebook. C’è bisogno di uno sviluppatore ASP.NET a costo zero: “Progetti semplici, poche pagine, ma efficaci.

Anche da remoto. Ovviamente in modo gratuito Un modo in più per partecipare”.

La protesta non si è fatta attendere, e si scatena un vespaio su Facebook. Una polemica inutile perché l’attivismo politico ha sempre incluso attività gratuite dei militanti. Fai parte del gruppo: c’è chi attacca i volantini e chi si occupa di ASP.NET.

Investimento

Il lavoro non remunerato può essere sfruttamento, ma può essere anche un ottimo investimento. Basta ragionare in termini qualitativi piuttosto che quantitativi: i primi stage ti aiutano a fare curriculum ed esperienza. Ma a volte mortificano l’entusiasmo, e ti trasformano in manodopera a costo zero. Meglio un’attività che faccia pubblicità (vera) al tuo nome. Ecco tre punti fondamentali:

Scandaglia – Questo è il primo passo per trarre profitto dal lavoro gratuito.

Il tuo strumento sarà Google: usa il motore di ricerca per setacciare la rete da cima a fondo, individua siti e blog disponibili ad accettare contributi esterni. Archivia tutti i contatti validi su un foglio di calcolo Google Drive e attiva Google Alert con le keyword legate al tuo universo professionale: ti aiuterà a tener traccia delle novità.

Scegli – La chiave di volta del prontuario. Non puoi prestare le tue abilità a destra e a manca, devi essere selettivo e individuare i casi vantaggiosi in termini di target e qualità del lavoro. L’operato sarà accompagnato dal tuo nome? Raggiungerà le persone giuste (i futuri clienti)? Lavorerai con persone straordinarie, capaci di ispirarti? Rispondi a queste domande e prendi la decisione giusta.

Contatta – Devi metterti in gioco: contatta i responsabili del progetto o del blog, presentati e descrivi le tue abilità professionali. Arriva subito al punto, non perdere tempo e attenzione in chiacchiere inutili. Scrivi la prima email dopo aver studiato con attenzione il campo d’azione dei tuoi futuri collaboratori, e descrivi subito il tuo progetto o la tua idea.

Queste semplici regole danno un nuovo senso al lavoro non pagato. Non c’è remunerazione, ma il tuo nome si muove in rete, sfrutta la sua viralità. E ti permette di aggiungere nuovi contatti in rubrica, contatti che possono fruttare lavori ben pagati, esperienze da mettere in curriculum, grandi soddisfazioni.

Il lavoro senza stipendio è il male del nostro secolo? Difficile dare un giudizio definitivo, ma è nostro compito individuare le differenze sostanziali al suo interno. E sfruttare gli spazi che si aprono nel web 2.0.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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