Il contesto del riconoscimento facciale negli stadi
Negli ultimi anni, l’implementazione di tecnologie di riconoscimento facciale negli stadi italiani ha suscitato un acceso dibattito. La Lega di Serie A e il Ministero dell’Interno hanno mostrato interesse per l’uso di queste tecnologie come strumento per garantire la sicurezza durante gli eventi sportivi. Tuttavia, l’adozione di tali sistemi solleva interrogativi significativi riguardo alla privacy dei tifosi e alla gestione dei dati biometrici.
Il sistema di riconoscimento facciale all’Olimpico
Nel 2016, la società Sport e Salute ha avviato l’uso di un sistema di riconoscimento facciale allo stadio Olimpico di Roma, fornito dall’azienda Reco 3.26. Questo sistema è stato progettato per monitorare i comportamenti dei tifosi e identificare quelli che commettono atti illeciti, come il lancio di petardi.
La Digos, la polizia di Stato, utilizza queste tecnologie per confrontare le immagini registrate all’interno dello stadio con quelle degli accessi, garantendo così un controllo più rigoroso sugli spettatori.
Le preoccupazioni sulla privacy
Nonostante le buone intenzioni di garantire la sicurezza, l’uso del riconoscimento facciale ha sollevato preoccupazioni tra i difensori dei diritti civili. Il Garante per la privacy ha dato il via libera a questo sistema, ma molti esperti avvertono che l’analisi in tempo reale dei volti potrebbe portare a violazioni della privacy. Recentemente, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha confermato che il sistema è attivo, ma ha anche affermato che non si tratta di un riconoscimento facciale in tempo reale, bensì di un metodo per identificare gli autori di illeciti dopo che questi sono stati commessi.
Il futuro del riconoscimento facciale negli stadi italiani
Il progetto di estendere l’uso del riconoscimento facciale a tutti gli stadi della Serie A nei prossimi due anni ha suscitato ulteriori polemiche. Durante un’interrogazione parlamentare, il senatore Filippo Sensi ha messo in discussione la legittimità di tali misure, sostenendo che il Garante per la privacy non ha mai autorizzato un sistema così invasivo. La questione rimane aperta, con il governo che continua a discutere le modalità di implementazione e le necessarie garanzie per la tutela della privacy dei cittadini.