Prima che una rivoluzione del colore, lo stile di Roberta di Camerino ha rappresentato, fin dal principio della sua attività, una rivoluzione nel modo di concepire l’accessorio rispetto al resto del vestiario femminile. Da orpello, è passato ad essere protagonista: il dettaglio sul quale cade l’occhio, quello che fa la differenza e che è capace di rivoluzionare, appunto, una mise.
La giusta cintura, una borsa particolare, un foulard “strategico”, un ombrello originale, hanno il potenziale di elevare la banalità ad originalità, il caos cromatico a disordine armonico ricercato. Ecco quello che fece, e non fu tutto, questa poliedrica stilista-artista del colore che, già intorno agli anni ’50, si faceva conoscere a livello nazionale e internazionale per le sue creazioni così eccentriche.
In esse azzardava, non solo negli accostamenti cromatici, ma anche nella modalità realizzative: fu pioniera nell’utilizzo di tecniche dell’artigianato veneziano, fino a quel momento riservate solo al campo dell’arredamento; ma osò anche immaginare che le chiusure e le borchie delle borse potessero essere create dagli specialisti degli ottoni delle gondole. Se non è sperimentazione questa…
E quindi sarà stato questo azzardo nei materiali, come i velluti, per esempio, o nella scelta dei colori (parafrasando una sua famosa citazione, due colori non stanno bene insieme perché ne manca un terzo a fare da trait d’union) a consacrarla nell’olimpo degli stilisti made in Italy osannati in tutto il mondo.
Oggi come allora. Allora si capisce perché, a circa un anno dalla sua scomparsa, la Maison, appartenente dal 2008 al gruppo Sixty, e la provincia di Venezia le porgono questo importante riconoscimento dedicandole, nella sede di Palazzo Fortuny una mostra intitolata propriamente “La rivoluzione del colore“.
In esposizione, le sue creazioni più caratteristiche e riconoscibili, fra le quali la famosa borsa Bagonghi, fotografata nel 1956 al braccio di Grace Kelly. Altresì, si potranno ammirare, alla stregua di un dipinto di Dalì o Mirò, tanto per citare altri due sapienti maestri nell’utilizzo del colore, sessanta borse, datate dai primi anni Cinquanta agli anni Settanta, una ventina di abiti e altrettanti ombrelli e foulard.
La mostra, apertasi lo scorso 5 marzo e visitabile fino al prossimo 8 maggio, segue il successo della location del Museo Revoltella di Trieste (dall’8 ottobre al 12 dicembre 2010) e ha il pregio di mostrare pezzi mai esposti prima. Entrambe le città scelte non sono casuali, e neanche prive di significati nella vita di Giuliana Coen, al secolo, Roberta di Camerino appunto.
Sì, perché entrambe sono due città con un mare che certo non centellina scenari e colori, una delle quali, Venezia, le diede anche i natali. Trieste, inoltre, non è nuova ad accostare l’arte contemporanea alla moda, avendo già dedicato in precedenza mostre a Mila Schön, le Sorelle Fontana e Renato Balestra.
E, soprattutto, sono città le cui fattezze urbane portano dentro di sé, per definizione, un’intrinseca e incontrovertibile rivoluzione di arte e bellezza. E colori, appunto.