S4C; La Grammatica delle storie

lifestyle

Liberare lo spazio dall’hard disk sul proprio computer.

Scaricare le foto. Aspettare il download e, nel frattempo, aprire una pagina bianca, formato 70×100.

Immaginare la disposizione dei pannelli e disegnarne la mappa.

Contattare la tipografia. Contattare la provincia. Cancellare la mappa dei pannelli.Ridisegnare la mappa.

Vedersi in un bar e scegliere le foto giuste per scrivere una storia fatta da tante storie.

Vedersi presto per non fare tardi.

Commuoversi davanti a storie che hai visto, scattato, scritto e letto.

Fare tardi e scrivere fino a presto, per poi andare a lavorare.

Trovare il font giusto e ridimensionare le scritte.

Stare attenti alle abbondanze e alle tonalità di nero.

Scegliere il telo nero giusto. Continuare a leggere le email di tutti, nonostante l’oggetto sia diventato: Re:Re:Re:Re:Re:Re:…

Preparare la cassetta degli attrezzi talmente bene il giorno prima, da dimenticarsela il giorno dopo.

Prenotarsi un giorno di ferie non per l’inaugurazione, ma per montare e smontare tutto.Inviare il comunicato stampa.

Darsi appuntamento sul retro del palazzo della mostra e accorgersi che “Si, il freddo è arrivato. Proprio oggi che c’è da scaricare un furgone”.

Aspettare l’arrivo di tutti e, soprattutto, dei pannelli.

Scendere le scale con i pannelli, i tavoli e rischiare di distruggere il tetto ad ogni passo. Imparare a usare una sparachiodi per sistemare il telo nero giusto.

Cercare i sincronismi e la giusta tecnica per caricarsi sulle spalle i pannelli e vedere, con rammarico, che Emme la tecnica giusta l’ha già trovata da un bel po’.

Tendere il telo nero giusto fino al punto che usare il ferro da stiro non serve più.

Scoprirsi impauriti dalla tentazione di voler scoppiare il pluriball che fa da imballaggio ai pannelli e per la prima volta nella vita riuscire a non cedere.

Imprecare con la tipografia e tutti gli dei della fotografia per un nero meno nero e un giallo troppo prevalente.

Scoprirsi tutti quanti desiderosi di togliere i pannelli dall’imballaggio per cercare di vedere cosa c’è dentro, nonostante tutti conosciamo a memoria tutte le foto.

Nello stesso momento avere il terrore di toccarli quei pannelli, soprattutto agli angoli.

Ammirare quelle foto come se fosse la prima volta e notare che Jen, nell’ultima foto, ha lo smalto alle unghie e che Giulia è bella davvero.

Tagliare un pezzo della torta della nonna di Dario e sentire che, mangiandola e sbriciolandosi addosso come fanno gli altri, è la cosa più buona del mondo.

Questa è la grammatica per raccontare le storie che non racconta nessuno. Un scienza imperfetta non scritta. Una tecnica con istruzioni scritte da altri che ora dovete vedere per iniziare a scriverla.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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