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#Salviamogliopendata: perchè parte una maratona per la trasparenza

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Il Paese ha bisogno di riforme. Ma anche le riforme avrebbero bisogno di un Paese”.

Così recitava una vignetta di Altan di qualche tempo fa, che – a mio avviso – rappresenta perfettamente la contraddizione italica tra il perenne desiderio di riforme (anche legislative) che innovino e modernizzino il Belpaese e l’atavica tentazione di affossare quelle riforme che – tra mille difficoltà – vengono fatte, facendole rimanere sulla carta.

Pensiamo, ad esempio, a quanto è accaduto in materia di informatizzazione, con il Codice dell’Amministrazione Digitale che doveva essere la “Magna Charta” dei diritti digitali di cittadini e imprese ed è diventata una delle norme meno applicate dell’intero ordinamento giudico italiano.

Oppure basti pensare a quanto accade in materia di trasparenza.

L’Italia, si sa, non ha una grande tradizione culturale in materia, né esperienze giuridiche paragonabili a quelle di altri Paesi.

E gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Nelle classifiche sulla corruzione e l’accesso all ’ informazione da anni, ormai, il nostro Paese non occupa posizioni lusinghiere e – nonostante sia richiesto da più parti – non ha ancora adottato un Freedom of Information Act, una norma che sancisca il diritto di tutti alla conoscenza degli atti, documenti e dati detenuti dalla Pubblica Amministrazione.

Il risultato è che la mancanza di trasparenza non solo moltiplica sprechi e ruberie, ma incide su quello che c’è di più sacro in una democrazia: la fiducia tra cittadini e istituzioni. L’impossibilità di verificare la gestione della cosa pubblica, infatti, disincentiva le prassi amministrative virtuose, in quanto non consente di distinguere gli amministratori attenti ed oculati da quelli corrotti e scialacquoni, accumulati tutti in un unico (e poco lusinghiero) fascio.

La riforma sconosciuta: gli Open Data della spesa pubblica

Tuttavia, come alcune volte accade, una riforma legislativa è arrivata, anche se non è stata accompagnata dalla pubblicità che meritava. Dopo anni in cui si parlava dell’importanza degli Open Data per la trasparenza e la crescita economica, anche il nostro legislatore si è deciso ad introdurre una norma molto innovativa e, all’ apparenza, rivoluzionaria.

Tra le tante disposizioni del Decreto Sviluppo (Decreto Legge n. 83/2012), di cui giornali e televisioni hanno abbondantemente parlato, ce n’è una che è significativamente intitolata “Amministrazione aperta”.

Si tratta dell’art. 18 D.L. n. 83/2012 che obbliga tutte le amministrazioni ad essere trasparenti in modo nuovo, disponendo che la “la concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e l’attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere” devono essere pubblicate sui siti Web di ciascun Ente.

Così come si legge nella relazione illustrativa al decreto, la conoscibilità dei dati e delle informazioni relative alle decisioni che comportano spesa di danaro pubblico sono uno dei fattori sui quali deve basarsi l’impegno per la crescita produttiva ed imprenditoriale e per lo sviluppo del Paese.

La conoscenza delle modalità di attribuzione e dell’importo delle somme erogate da parte della Pubblica Amministrazione ha lo scopo di avere informazioni certe e in tempo reale onde evitare sovrapposizioni e spese inutili e di favorire la programmazione corretta delle spese future.

La pubblicazione di questi dati, inoltre, può essere vista come vera e propria misura anticorruzione oltre che come intervento finalizzato al miglioramento dei servizi resi dagli Enti.

Dopo anni di norme timide e incerte (che si limitavano a mere affermazioni di principio), stavolta il legislatore è stato più efficace: è previsto, ad esempio, che questi dati debbano essere pubblicati in Open Data (per poter essere più facilmente confrontati e riusati), indicizzati dai motori di ricerca e accessibili dall’home page del sito di ogni Ente (per poter essere trovati facilmente da tutti).

Preciso anche il termine previsto per l’adeguamento: tutti gli Enti avrebbero dovuto adeguarsi entro il 31 dicembre 2012, in quanto dal 1° gennaio 2013 scattano le sanzioni: la pubblicazione dei dati sul sito internet costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni a imprese, professionisti e consulenti.

Tradotto dal giuridichese: i pagamenti diventano illegittimi senza la preventiva pubblicazione.

Salviamo gli Open Data (e la trasparenza) dai suoi nemici

Eppure, ad oltre tre settimane da questa scadenza, non sono molte le Amministrazioni che hanno adempiuto al dettato normativo ed è diffusa l’ignoranza dei cittadini e dei giornalisti che non sanno che è loro diritto trovare on line tutte le informazioni su appalti e consulenze.

Viene da chiedersi perché in sei mesi sia stato fatto così poco e chi siano i nemici della trasparenza.

In questa categoria vanno fatti rientrare, innanzitutto, quei gruppi economici che hanno interesse a perpretrare corruttele, ma anche politici ed amministratori che vedono nell’ accessibilità totale una perdita di controllo o un’arma per i propri oppositori (temendo, ad esempio, che vengano a galla le proprie inefficienze).

Poi ci sono i soliti ben pensanti, quelli che sono contrari all’art. 18 del Decreto Sviluppo perchè sostengono che questo rappresenti un costo per la Pubblica Amministrazione (non curandosi – evidentemente – dei notevoli risparmi che la trasparenza è in grado di apportare all’intero sistema Paese).

E poi, insospettabili, ci sono anche i cittadini che si limitano ad aspettare quello che fanno le Amministrazioni, magari lamentandosi nel caso in cui non vengano pubblicate le spese.

In questo contesto, non deve stupire che – da più parti – si corra il rischio che l’art. 18 del Decreto Sviluppo venga modificato (se non addirittura abrogato) all’inizio della prossima legislatura.

Incredibile a dirsi, nel 2013, qualcuno è convinto che sia possibile prescindere dalla trasparenza (e, quindi, dagli Open Data) per lo sviluppo di questo Paese.

Ecco perché l’Associazione Agorà Digitale ha deciso di lanciare un’iniziativa che si chiama la “Settimana della Trasparenza”: dal 21 al 28 gennaio sul sito www.eradellatrasparenza.it si svolge il primo monitoraggio – partecipato e in crowdsourcing – del rispetto della norma sull’Amministrazione aperta.

Visto che non sono previsti controlli sulla trasparenza degli Enti, abbiamo pensato di coinvolgere direttamente coloro che – attraverso le tasse – finanziano la spesa pubblica: i cittadini.

Sul sito c’è una mappa sulla quale vengono visualizzate le informazioni relative a casi virtuosi e inadempienze. Ciascuno può contribuire, con spirito civico, dedicando 10 minuti del proprio tempo per verificare (e segnalare sulla mappa) se il proprio Comune o la propria ASL hanno provveduto a pubblicare i dati richiesti.

Al termine di questa settimana, sarà possibile stilare un report che consenta a tutti di verificare il livello di trasparenza della PA italiana.

Ma l’iniziativa non si rivolge solo ai cittadini. Sono chiamati a dare il proprio contributo anche i giornalisti, utilizzando i dati presenti: potranno mettere a confronto le diverse Amministrazioni (quali Regioni sono già in regola? quali ospedali?) oppure iniziare a spulciare i dati già pubblicati (come vengono affidati gli appalti nelle ASL o nei Ministeri, ad esempio).

Anche politici e amministratori possono sostenere l’iniziativa, ma non con il solito comunicato stampa. A loro abbiamo chiesto di assumere un impegno: entro trenta giorni (dalla sottoscrizione o dalla loro elezione, a seconda che siano già in carica o candidati) devono pubblicare tutte le informazioni previste per legge.

L’hashtag con cui seguire l’iniziativa è #salviamogliopendata: è necessaria la massima partecipazione possibile per far capire che i cittadini non si disinteressano della gestione della cosa pubblica e che – chiunque vincerà le prossime elezioni – la strada verso gli Open Data (e la trasparenza) è irreversibile.

Anche perchè, come dice Michael More, “la democrazia non è uno sport da spettatori. Se tutti stanno a guardare e nessuno partecipa, non funziona più”.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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