Sconfiggere la povertà energetica costa meno di guerre ed F35

lifestyle

Immaginiamo di abitare a N’Djamena, la capitale del Ciad. Oggi è il nostro giorno fortunato: possiamo accendere il tablet e usare internet, magari anche per leggere questo articolo se sappiamo l’italiano. Poi, per il tablet, se ne riparla fra un anno. Domani però potrebbe essere il giorno in cui usiamo il telefonino. E dopodomani sarà invece quello della lavatrice. Già solo questo – ammettiamolo – non ci consentirebbe una vita comoda. Ma se il nostro bimbo nasce prematuro e ha bisogno dell’incubatrice, e nasce in uno dei 364 giorni in cui è spenta, allora il problema è molto, molto più grave.

Questo perché, se abitiamo in Ciad, il nostro consumo di energia elettrica è circa 400 volte inferiore a quello che hanno coloro che abitano in Italia.

Ovviamente non perché noi nel Ciad la risparmiamo, ma purtroppo perché di energia proprio non ne abbiamo. E come noi, molti altri. Oggi nel mondo un miliardo e trecentomila persone, quasi il 20% della popolazione mondiale, non ha accesso all’energia elettrica, e il doppio, due miliardi e seicentomila, non dispone di strumenti di cottura puliti, che non generino inquinamento nella stanza in cui sono usati. Questa si chiama povertà energetica. Meno nota di altre, ma non meno drammatica.

La povertà energetica viene definita come la mancanza di accesso a forme adeguate e affidabili di energia a prezzi sostenibili per soddisfare i bisogni primari degli individui.

Quali? Bisogni come mangiare, riscaldare gli ambienti, curarsi e spostarsi. Le sue conseguenze sono tragiche.

Si stima che circa due milioni di donne e bambini muoiano prematuramente ogni anno per l’uso di combustibili solidi.

Bruciare legna o altre biomasse con stufe e forni poco rudimentali e poco efficienti in ambienti poco areati significa produrre fumi tossici e piccole particelle che, respirate, sono assai dannose per la salute. E non a caso le vittime principali sono donne e bambini, ovvero coloro che passano più tempo in ambienti domestici. Poca energia significa in generale peggiore qualità della vita, mortalità infantile, minore istruzione, come evidenziato anche dallo Human Development Index delle Nazioni Unite. Basti pensare che la Iea, l’agenzia internazionale dell’energia, prevede che da qui al 2030 la mortalità dovuta all’inquinamento domestico da fumo sarà maggiore di quella dovuta all’aids e alla malaria.

Credits: http://rsta.royalsocietypublishing.org/content/368/1923/3343

Futuro dell’energia significa anche lotta alla povertà energetica. Recentemente il World Energy Council ha introdotto un’interessante immagine, il trilemma dell’energia, riassumendo in esso i tre aspetti fondamentali del futuro energetico: sostenibilità ambientale, sicurezza negli approvvigionamenti e equità nell’uso.Dei primi due se ne parla parecchio, soprattutto di questi tempi. Il vertice di Parigi recentemente conclusosi e le vicende che coinvolgono l’ISIS hanno portato la questione energetica in primo piano per ciò che riguarda sia il suo impatto sui cambiamenti climatici e sull’ambiente che sulle relazioni tra stati, ma in generale di povertà energetica se ne parla molto meno. Un esempio? Googlate “energy poverty” e otterrete 18 milioni di risultati, e subito dopo “energy climate”: 339 milioni! La povertà non tira, eppure la questione etica di un equo accesso all’energia non è di minore importanza, e la povertà energetica che già oggi costituisce motore essenziale di migrazioni epocali, se non risolta sarà a breve origine di fenomeni ancora più esplosivi.

Consapevolezza, quindi, prima di tutto. A tutti i livelli. E poi volontà.

È certo importante che le economie ricche o in forte sviluppo si preoccupino di come risparmiare energia e di come puntare sempre più verso un paniere di energie libero da CO2, ma non basta.

L’impegno aggiuntivo deve essere anche quello di eradicare la povertà energetica. Occorrono soldi, per cominciare. Garantire a tutti gli abitanti di aree urbane una disponibilità di energia elettrica di circa 500 chilowattora all’anno richiede un investimento di circa 48 miliardi di dollari all’anno da qui al 2030, secondo una stima Iea. 34 in più rispetto ai soldi previsti per il cosiddetto scenario base, cioè quello che si basa sulle strategie energetiche dichiarate oggi dai vari Paesi e tiene in conto le promesse per la riduzione dei gas serra e per l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili. Cifra che sembra notevole, ma rappresenta solo il 3% degli investimenti in infrastrutture energetiche.

Investire nella ricerca e ridurre le emissioni, il mix per il successo

Questo primo passo verso l’eliminazione della povertà energetica può avvenire con un impatto ambientale che nel 2030 sarà tutto sommato limitato. Ancora secondo la Iea, la domanda di energia elettrica crescerebbe del 2.5%, con un aumento dello 0.8% di uso di combustibili fossili e un conseguente aumento delle emissioni di CO2 dello 0.7%. Non è molto, in effetti. Ma i 500 chilowattora all’anno che questi interventi garantirebbero sono comunque ancora piccola cosa rispetto agli standard dei paesi avanzati, anche al netto degli enormi sprechi che vanno senz’altro ridotti. Dieci volte meno, per esempio, del consumo italiano – che comunque non è tra i più elevati. E quindi, senza una profonda revisione del paniere energetico, dare energia a tutti può diventare un problema enorme per l’ambiente.Ecco allora che tornano in gioco i tre elementi del trilemma:

Vincere la povertà energetica significa, per noi che siamo ricchi, risparmiare e investire in ricerca e tecnologia, per sviluppare nuove forme di produzione dell’energia elettrica

Forme cioè che garantiscano l’ambiente e la continuità di approvvigionamento. Ce n’è da fare di strada, se oggi gli investimenti mondiali in ricerca e sviluppo sulle energie rinnovabili sono dell’ordine dei 10 miliardi di dollari all’anno e l’intero costo del progetto ITER sulla fusione, che potrebbe dare una svolta epocale al panorama energetico, è di una ventina di miliardi di euro – cifre da paragonare ad esempio con quanto è costata la guerra in Iraq (più di mille miliardi, si dice) o il programma di sviluppo degli F35 (circa 400 miliardi di dollari). Ma poche cose hanno la potenzialità di cambiare in meglio il mondo e dargli un futuro quanto l’energia.

PIERO MARTIN*

Padova, 14 Dicembre, 2015

*Professor, Department of Physics and Astronomy, University of PadovaConsorzio RFX, PadovaEUROfusion Medium Size Tokamak Task Force

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

What do you think?

Scritto da chef

innovaizone

Microsoft cerca professionisti da assumere e in Italia non li trova

lifestyle

«Così dai parco giochi ho creato community mondiale di mamme»