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Scoperto il papà di Bitcoin. Però è un bugiardo

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Bitcoin non è una nuova moneta con più funzioni, altrimenti sarebbe stato un prevedibile passo del progresso.

Bitcoin è un cambio di paradigma inatteso e sconvolgente: è l’Internet della moneta dove è previsto un protocollo, un linguaggio programmabile, una rete di computer e una piattaforma per costruire nuove applicazioni su essa. In pratica un registro delle transazioni globale (chiamato blockchain) pubblico e decentralizzato, dove sono trascritti per sempre trasferimenti di valore tra due portafogli, senza chiedere il permesso a nessuna autorità.

Satoshi Nakamoto è il nome dietro cui si cela l’identità del creatore (o di un gruppo di persone) del sistema del Bitcoin.

Nakamoto ha rilasciato a gennaio 2009 il codice sorgente della prima implementazione del protocollo ed è scomparso definitivamente a metà 2010. Finora la sua vera identità non è mai stata accertata.

Era ovvio sin dall’inizio che l’individuazione del suo creatore da parte dei media sarebbe stata fortissima, ed era altrettanto facile immaginare che prima o poi qualcuno si sarebbe autoproclamato autore di tale dirompente innovazione.

Scoperto il papà di Bitcoin”, ma non è vero

Dallo scorso dicembre Craig Steven Wright, un imprenditore australiano, ha ripetuto diversi annunci sul fatto di poter portare le prove di essere lui il mito che tutti inseguono. La settimana scorsa ha fornito la sua versione di questa verità insieme alla documentazione del lavoro svolto per Bitcoin.

Dopo aver convinto poche persone influenti come il developer di bitcoin Gavin Andresen, e ricevuto valanghe di critiche, ha annunciato la sua resa, che si può sintetizzare così:

“Mi dispiace. Non riesco a dimostrare di essere il creatore di Bitcoin.

Non ho il coraggio di affrontare tutte le critiche che mi sono piovute addosso. Spero di non aver danneggiato la credibilità di chi ha creduto nella mia buona fede. Arrivederci.”

I pochi giorni trascorsi tra l’annuncio e la resa sono serviti ai media per amplificare la notizia del complotto, includendovi persino la CIA.

Perché non si può barare col Bitcoin

Il principio alla base di bitcoin/blockchain è che disfare, truccare il sistema, costa più che fare in modalità condivisa. Pur con mille difficoltà, questo principio funziona da anticorpo che ormai si è diffuso nella comunità degli sviluppatori. Nelle transazioni con i Bitcoin non è richiesta la fiducia dell’altro, ma quella degli altri che usano algoritmi matematici.

La proprietà dei bitcoin è conferita al portatore della chiave privata del portafoglio, Wright dice di avere quella di Nakamoto, ma non riesce a dimostrarla con la certezza data dalla crittografia.

Se anche un giorno ci riuscisse, poi dovrebbe convincere il mondo che è anche il creatore dell’idea.

L’unico indizio a favore di Wright è la sua fervida creatività.

L’australiano ha fornito molte versioni del suo ruolo quale creatore del sistema e le ha cambiate con incredibili colpi di scena. Più che essere l’uomo che si nasconde dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, è di sicuro un buon romanziere.

L’esperto italiano Giacomo Zucco, CEO di Blockchainlab, afferma che ci sono almeno tre motivi per i quali Wright non può essere il vero Satoshi Nakamoto:

  1. Non ha fornito la prova crittografica della creazione e ne ha postata una falsa, sperando di farla franca
  2. Usa pratiche antitetiche all’idea di Bitcoin (la validazione privata da parte di pochi fiduciari non adeguati al ruolo)
  3. La sua “carriera” è molto dubbia e costellata di altri annunci mai provati (supercomputer mai costruito, millantati titoli di studio, ecc.)

Se Satoshi Nakamoto ha da sempre deciso di non palesarsi avrà valutato forse di farlo per la sua incolumità. Ma quello che conta è che ha tagliato il proprio cordone ombelicale con la moneta (e la blockchain) per donarla alla comunità con un codice aperto.

Così bitcoin non può dipendere da alcuna persona, impresa o Stato.

Bitcoin è una nuova opportunità che appartiene a tutti, e tutti hanno la libertà di adottarla. Purtroppo anche di inventare storie che, grazie alla conoscenza condivisa, durano poco.

MASSIMO CHIRIATTI@massimochi

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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