Metti la Lim, togli la Lim. L’iPad in classe? Mah, forse. Ma i prof son difficili da convincere. E il wifi, si riesce davvero a portarlo nelle scuole? Viva il digitale, che paura il digitale. Dopo tutto, persino il presidente del Consiglio il suo piano lo ha spiegato a lavagna e gessetto, anche se il filmato è stato pubblicato su YouTube.
La scuola è sempre al centro dei dibattiti d’attualità, e quando sembra che sia nel pieno di una rivoluzione, i suoi protagonisti raccontano il contrario.
Si tratta di un pianeta troppo vasto, che tocca piani troppo diversi tra loro, per pensare di fornire un quadro esaustivo in un colpo solo. Tuttavia, si possono buttare già una serie di esempi lodevoli che partono dall’innovazione, e una lista di altrettanti casi in cui l’introduzione dell’innovazione stessa sembra vacillare pericolosamente.
Osteggiata dalle risorse, oppure dal sistema.
SCUOLAcheSì
1. Ammazzacaffè
Come già accennavo in un recente post, Ammazzacaffè è il blog gestito dagli studenti dell’Istituto Leon Battista Alberti di Roma. La redazione (con una media di 12-15 componenti fissi, che arrivano a venti contando i collaboratori) si riunisce una volta a settimana per la riunione che dura almeno 3 ore. La linea editoriale prevede tre articoli a settimana, con l’aggiunta di una rubrica narrativa, e due post fissi che vengono pubblicati solo sulla pagina Facebook (“Chicco di musica” e “Chicco di noi”). Il blog conta anche profili sui social network: Fb, Twitter, e YouTube, per le video interviste. Quest’anno, la preside dell’istituto ha dotato la redazione di un’aula apposita (ridipinta e arredata dai ragazzi stessi), un computer, una televisione per le proiezioni, e la licenza per il pacchetto Adobe.Oltre alla riunione fisica, lo scambio costante tra i redattori e la professoressa Veronica Giannini (ideatrice del progetto con i docenti Mario Cifariello e Arianna Gusmano), avviene tramite Google Group e Google Doc per condivisione e correzione degli elaborati, e via WhatsApp, per i passaggi organizzativi.
2. Radio Kennedy
Un’emittente con tutti i crismi, fatta dai ragazzi. Radio Kennedy, come illustra la pagina Facebook ufficiale, “è la radio web degli studenti del Liceo scientifico statale J.F.Kennedy di Roma. Il suo team di speaker, tecnici e redattori è formato da ragazze e ragazzi di 16, 17 e 18 anni che, attraverso un corso, uno stage e l’esperienza diretta, imparano a “fare radio”. Seguiti dai professionisti di Toolit, società specializzata nella comunicazione radiofonica, danno vita ad un progetto inedito: una radio pensata, costruita e gestita da studenti”.
3. Le iscrizioni online
L’iscrizione online è obbligatoria per tutti gli studenti che si debbano iscrivere al primo anno di una scuola statale (facoltativa, invece, per le scuola paritarie). L’apposito sito è ben strutturato e pieno zeppo di spiegazioni e tutorial con immagini e spiegazioni scritte.
4. Coderdojo
L’attività dei volontari che insegnano programmazione informatica è un esempio di buona pratica educativa. Aderente alla realtà, proiettata nel futuro. Attivi dal 2012, sono 40 in tutta Italia. “Siamo seguiti e supportati da una forte rete di soci e volontari che ci accompagnano nel corso degli eventi per fare assistenza ai ragazzi –racconta Angese Addone, responsabile romana di Coderdojo, su iSchool – Il vero punto di svolta è la promozione di software open source e gratuiti, come Scratch il software di programmazione e il relativo ambiente di sviluppo gratuiti realizzati dal MIT Media Lab di Boston di cui si è parlato qui”. Come ha spiegato Marco Vigelini, che ha all’attivo svariate esperienze di inclusione digitale, nel corso dell’ultima Maker Faire Rome, il dialogo con il Miur è attivo. Intanto, a maggio, è stato organizzato il primo CoderDojo in uno spazio comunale a Roma, il Macro di via Nizza (il museo di arte contemporanea). Nel 2014 invece, un evento aveva visto protagonisti 80 “bambini coderdojo” tra Miur e Montecitorio.
Non avranno più scuse i genitori che “ma qualche computer, tutti all’aria apera”: l’ultima frontiera, è il CoderDojo nel bosco.
5. Il registro elettronico
Fa parte, insieme alle iscrizioni online e alle pagelle elttroniche, della serie di interventi che da qualche anno si susseguono sulla strada della dematerializzazione (e conseguente risparmio). Secondo i dati del Ministero (sul 2013/2014) il registro elettronico è utilizzato dal 58,2 % dei docenti, con picchi come in Emilia-Romagna (78%) e Marche (77.8%). I docenti più illuminati lo definiscono un ottimo modo per evitare lungaggini burocratiche e mantenere un rapporto attivo con le famiglie. Come sempre, qualche eccezione può succedere – prendi il caso della punizione scambiata per espulsione via app – ma la strada è quella giusta. Coraggio.
SCUOLAcheNO
1. LIM (Lavagne interattive multimediali)
Nonostante siano, tra una cosa e l’altra, quasi due lustri che se ne parla nella scuola italiana, capire cosa succede è un vero rompicapo. Così tanto rompicapo che, per certi versi, resta la stessa confusione di quando arrivò l’annuncio dell’allora ministro Fioroni su queste lavagne elettroniche che consentono, a seconda dei modelli, diversi tipi di interazione tra studenti e alunni. Come riporta Silvana La Porta in un post di Tecnica della Scuola a settembre 2014, analizzando cosa era successo negli anni precedenti: “LIM sembrava una parola magica, una panacea che avrebbe risolto tutti i problemi didattici con i quali ogni giorno i docenti si scontravano nelle aule”. Poi, il documento “La buona scuola” di Renzi, le ha definite: “Tecnologie troppo pesanti […] che hanno da una parte ipotecato l’uso delle nostre risorse per innovare la didattica, dall’altra parzialmente “ingombrato” le nostre classi, spaventando alcuni docenti”.
E quindi? Cosa farne? Prime tanto odiate, poi assimilate, poi di nuovo rottamate? Come sempre, la frammentazione è parola d’ordine. Ancora qualcuno ci crede, al punto di avviare esprimenti di crowdfunding sociale, come quello promosso dall’Istituto Comprensivo Conegliano 2 “G.B. Cima” intitolato “Una LIM per ogni classe”. I buoni spunti non sono più solo idee, esistono già. Le scuole digitali, funzionanti ed efficienti, sono operative e le descrive anche Alessandro Longo qui su Che Futuro!. Non bisogna inventarsi niente di nuovo, è già tutto pronto per essere messo a sistema.
2. Ebook
Gli ebook sono come i libri di carta? Mentre il dibattito resta acceso sul fronte economico, a suon di sentenze, la scuola dal canto suo fa anche un altro tipo di valutazione, pedagogica. Al punto 4 della circolare ministeriale del 9/04/2014, si legge, in merito ai testi: “In caso di nuove adozioni, i collegi dei docenti adottano libri nelle versioni digitali o miste, previste nell’allegato al decreto ministeriale n. 781/2013 (versione cartacea accompagnata da contenuti digitali integrativi; versione cartacea e digitale accompagnata da contenuti digitali integrativi; versione digitale accompagnata da contenuti digitali integrativi). È che anche su questo, toccherebbe capirsi, oltre i vari titoli che davano gli ebook come obbligatori nelle scuole (ciò che rientra nella precedente parentesi non è tutto sinonimo di ebook).
Per quanti casi virtuosi, anche in questo frangente, si possano trovare – vedi il progetto Book in Progress, con i materiali didattici realizzati dai docenti e alunni – ci sono anche casi in cui i libri di testo 2014-2015 abbiano di digitale solo supporti che ormai il mercato ha già cassato, come i Dvd. Ne riporta esperienza diretta Giovanni Menduni. Posto che, come sottolinea Galatea Vaglio, l’introduzione delle tecnologie richiede anni di analisi che analizzino reali vantaggi o pecche, la domanda sugli ebook è: per adesso, che abbiamo deciso?
3. Il sito Scuola-Digitale.it
Facciamo qualcosa. Se c’è una cosa triste, è un sito abbandonato. Su quello di Scuola–Digitale.it, campeggiano i nomi di Miur e Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa). Nell’header compaiono tre sezioni cliccabili: “Lim”, “Cl@ssi 2.0” (che come nome fa molto primo lustro del 2000, quando era tutto un fiorir di chiocciole e 2.0 per qualsiasi cosa fosse minimamente interattiva) ed “Editoria Digitale”. Nessun “Cosa facciamo” e “perché esiste questo portale” che racconti un senso generale dell’intero progetto. Tanto che all’inizio la presenza di post fa persino pensare che siano aggiornati. E invece l’ultimo è di gennaio 2013, e il precedente di novembre 2012. Chi lo segue? Perché nessuno è più intervenuto? Che mancassero argomenti da trattare non è pensabile.
4. Tablet
Per capire se un nuovo approccio formativo funzioni o meno, serve tempo. L’analisi non può essere fatta in fretta e furia. Certo è che sarebbe già qualcosa potersi mettere d’accordo sulle linee di principio. Consentire agli studenti di usare il proprio tablet? Farlo usare solo al professore, onde evitare di discriminare in qaulche modo chi non ne possiede uno? Dotare le aule di tablet (ok, no, questa era fantasiosa)?
E invece no, ragioni etico-pedagogiche si mescolano a valutazioni di altro tipo e anche in questo caso, ognuno fa come può.
Secondo una recente indagine di OrizzonteScuola.it “la tendenza pare abbastanza chiara: quasi l’85 per cento dei partecipanti si è detto sfavorevole all’uso di una didattica integralmente digitale con l’Ipad come unico strumento di lavoro”. Anche se i risultati sono parziali, sul sito stesso si avanza la domanda: è un “no” per mancanza di fiducia nel Governo, o nello strumento educativo? Il tanto discusso “Bring Your Own Device” (cioè ognuno porti il suo device), fa così orrore? E dire che 22 istituti hi-tech in Italia, come riporta il Fatto, funzionano benissimo con tablet e lezioni innovative. Ci proviamo?
5. La piattaforma Indire per neoassunti
Concorsoni, non concorsoni, tirocinii, proteste. Almeno uno si potrebbe aspettare un minimo di organizzazione per chi, nella scuola, l’ha appena “sfangata”. Sul nuovo sito per docenti NeoAssunti2015, di Indire, scrivono: “Intanto, come al solito, non sono mancati i problemi per l’autenticazione, non si trova il timer per il conteggio delle 20 ore, ma a parte i “difetti tecnici” (come in ogni piattaforma digitale ci vuole anche qualche tempo per conoscere l’ambiente) la prima impressione è che si tratti di un lavoro di mera compilazione, senza grande valenza di arricchimento professionale”. E anche: “ci viene segnalato che la piattaforma non è ancora accessibile a docenti immessi in ruolo prima del 2014”.
Ora, visto il già precario umore di combatte da anni con numeri, graduatorie, ore calcolate, e trafile varie: sarà il caso di rendere il digitale aderente al suo scopo primario, cioè quello di facilitatore dei processi?
Insomma, la Scuolachesì avrebbe molto da insegnare alla Scuolacheno. Per ora è una Scuolacheforse: chissà se farà i compiti per l’estate.