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Se stiamo con Caterina fermiamo la legge sulla sperimentazione animale

scienze

Il pensiero di Caterina Simonsen, studentessa di Medicina Veterinaria affetta da quattro malattie genetiche sulla necessità di non abolire o non limitare la sperimentazione animale, ha fatto il giro del mondo e ha sollevato un dibattito complesso. Assordato però dall’impeto di due posizioni molto diverse – che lasciano poco spazio ad altre analisi del problema.

Parto da una domanda. Quanti italiani giudicano la ricerca scientifica importante per il Paese? Secondo me almeno 9 su 10. Non voglio entrare nel merito della contrapposizione fra animalisti e ricercatori, perché non basterebbero cento pagine, e comunque io sarei di parte. Voglio partire da un dato di fatto, e fare un ragionamento pragmatico che riguarda il posizionamento strategico del nostro Paese rispetto alla competitività internazionale ed all’orgoglio di poter dire “ricercatori italiani hanno scoperto che…”.

E’ universalmente riconosciuto che la ricerca biomedica necessita di fasi di lavoro che prevedono l’uso di animali da esperimento. Che sia giusto o sbagliato dal punto di vista etico ha poca importanza. E’ così.

Tutti i Paesi all’avanguardia nel campo della ricerca riconoscono l’importanza di questo passaggio per ottenere risultati validati, accettati dal resto della comunità scientifica e quindi paragonabili fra di loro.

Per arrivare a dimostrare teorie scientifiche o per comprendere determinati meccanismi e poi usare questi dati per costruire nuove teorie e nuovi protocolli – di là bisogna passare altrimenti i tuoi dati non vengono presi in considerazione da nessuno.

I ricercatori italiani fanno parte dell’area Europea della ricerca che prevede una competizione interna per i fondi europei ed una competizione esterna con le altre grandi potenze della ricerca, gli Stati Uniti, la Cina ed altri paesi asiatici e più recentemente i paesi della penisola arabica.

Per essere competitivi bisogna combattere ad armi pari, bisogna avere strumenti, infrastrutture, flessibilità e ovviamente soprattutto in questo campo “oro grigio” ovvero testa.L’Italia ha pochi strumenti, infrastrutture perlopiù vecchiotte, zero flessibilità e finché non emigreranno tutti, alcuni buoni cervelli. Quindi già parte svantaggiata.

Quando parlavo di combattere ad armi pari, intendevo anche di poter usufruire delle stesse metodologie per arrivare all’obiettivo. 15 Paesi europei hanno già recepito pedissequamente la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali a fini scientifici e quindi si sono dotati di regole condivise e metodologie sovrapponibili a per accedere ai finanziamenti di ricerca.

Il governo italiano propone il recepimento della direttiva con un decreto legislativo che contiene dei divieti derivanti da un emendamento alla Direttiva stessa (AC 1326/XVII° legislatura) – secondo alcuni, condivisibili, secondo altri no – ma ripeto non ha importanza), che di fatto ci limitano nella competizione.

Sarà quindi possibile, nel nostro paese svolgere le prime fasi di un progetto – esempio mettere a punto un nuovo vaccino, ma poi non potremmo verificare se funziona veramente per proteggere l’organismo. Ne consegue, quindi che non avendo armi pari, saremo automaticamente tagliati fuori dai finanziamenti, o al massimo potremo avere un ruolo marginale. Per questo il 31 luglio ho presentato l’OdG 9/01326/015 (che è stato accolto) che impegna il governo a rispettare la normativa europea nella sua versione originale.Il governo ha predisposto uno schema di decreto legislativo (N.50) che recepisce la direttiva 2010/63, che risulta essere più restrittivo della norma originale. Il DL è stato assegnato alla XIIa Commissione Affari Sociali e Sanità che deve esprimersi entro il 13 gennaio. E’ chiaro che se rimanesse in questa forma ci sarebbero delle ricadute devastanti sulla ricerca ovviamente in termini di capacità competitiva, e quindi anche per l’economia. Non scopriremo più niente di veramente importante da soli, e quindi ogni eventuale provento fruttuoso della nostra attività scomparirebbe.

Guarda il video appello di Ilaria Capua

Ma c’è un aspetto di cui nessuno parla: il lavoro. Il lavoro è la priorità assoluta per il nostro paese – ogni esponente politico ne rivendica l’importanza e ogni famiglia italiana è preoccupata su questo fronte.E nel frattempo, l’Italia sforna migliaia di professionisti (a carico dello stato) che già hanno grosse difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro– ma se passasse una legge che ci limita nella competizione – non lo troveranno mai.

Perché? Semplicemente perché le aziende biotech e del farmaceutico non investiranno in Italia perché una parte del processo di ricerca non si potrà svolgere da noi.

Inoltre, vinceremo meno bandi internazionali (e quindi avremo meno finanziamenti) e non potremo neanche offrire un impiego temporaneo ai nostri giovani ricercatori. Senza contare tutte le professionalità che girano intorno all’allevamento, manutenzione e gestione di uno stabulario che perderebbero il lavoro.

[Su questo argomento leggi anche Jason Fontana: Tutte le balle sulla vivisezione e le loro (gravi) conseguenze sulla ricerca eGiovanni Bignami: Serve un vaccino contro la pseudoscienza]

Migliaia di ragazzi laureati in biologia, biotecnologie, medicina e chirurgia, medicina veterinaria, scienze delle produzioni animali – che magari sono dei talenti della ricerca non troverebbero un impiego in questo Paese e dovranno emigrare altrove oppure ripiegare su un lavoro che non gli permette di esprimere il loro talento.

Ma se la ricerca è così importante e strategica ed il tema del lavoro è realmente prioritario possiamo permetterci un autogol del genere? Se il resto d’Europa gioca la partita della ricerca con le scarpette chiodate, possiamo noi imporre all’ Italia di giocare con gli scarponi da sci?

Allora, siamo realisti. Nel contesto attuale, rendere più restrittive le norme sulla sperimentazione animale (che già sono severissime e sviluppate il collaborazione con le lobby animaliste europee a tutela del benessere degli animali da esperimento) porrebbe la parola fine alla ricerca biomedica italiana, e offenderebbe tutti coloro si sono impegnati per anni nell’investire il loro tempo per migliorare la vita di tutti noi e dei nostri familiari, delegando questo nobile compito ai nostri competitor stranieri o ai cervelli che, nel frattempo, avremo obbligato a fuggire.

Oltre il dibattito sulla sperimentazione animale si annidano delle ricadute sul nostro futuro come Paese, e sul futuro dei nostri figli che hanno soltanto il sogno e l’ambizione di usare il talento italiano per trovare soluzioni per le persone sofferenti come Caterina, e purtroppo molti altri. Chiudo questa riflessione con un’altra domanda. Siamo sicuri di voler rifiutare gli standard europei e giocare una partita difficile come questa con gli scarponi ai piedi – sapendo di disperdere energie ed uscirne perdenti, e quindi facendo retrocedere tutto il Paese?

Roma, 07 gennaio 2014Ilaria Capua

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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