In questi ultimi due anni mi è stato spesso chiesto, da parte di fondi di venture capital, di individuare e segnalare giovani talenti i cui progetti potessero essere finanziati o, in alternativa, ai quali proporre l’inserimento all’interno di startup in portfolio.
Nel portare avanti questa attività ho incontrato centinaia di giovani provenienti da tutta Italia, con diversi background accademici, professionali, umani e con progetti che spaziavano dal biotech al web, dall’agrofood al cleantech.
La necessità di dovermi concentrare su aspetti di così complessa valutazione, come il talento imprenditoriale e la capacità di performare in condizioni di grande stress, mi ha portato a sviluppare dei metodi personali di valutazione basati, essenzialmente, sulla individuazione di pattern comportamentali. Per “metodi personali” intendo dire che essi sono in gran parte frutto delle riflessioni che mi è capitato di fare osservando, nel corso della mia vita professionale, chi mi stava accanto: colleghi, partner, clienti e competitor.
Su tale base ho individuato degli atteggiamenti e dei comportamenti che sono tipici di alcuni “profili di riferimento” piuttosto comuni in coloro che, a mio giudizio, non dovrebbero mai assumere la posizione di leadership all’interno di una startup (nel seguito, per brevità, parlerò di CEO per indicare tale posizione, cioè quella di colui che ha il compito di definire la strategia aziendale, riuscendo ad armonizzare le necessità tecniche, di business development, marketing, finanziarie e di gestione del team stesso).
Alcuni di questi profili, laddove il CEO li sappia gestire, possono comunque contribuire in modo positivo alla nascita e allo sviluppo di una startup, sia come elementi chiave che come membri del team dei fondatori (nel seguito, per semplicità, parlerò sempre di co-fondatori per indicare entrambe le possibilità).
In questo post presenterò sei profili di riferimento: i primi quattro sono relativi a persone che possono essere dei validi co-fondatori. Gli ultimi due, invece, sono relativi a persone di cui sconsiglio l’inserimento in qualsiasi posizione della startup.
Il primo profilo è quello che chiamerò del ricercatore. Si tratta di un profilo relativo a persone spesso brillanti nel loro campo e il cui problema principale è quello di focalizzarsi troppo sul prodotto e poco sull’azienda, ovvero troppo sul progetto in sè e poco sul valore che tale progetto dovrebbe avere per il mercato. Il loro contributo tecnico, come co-fondatori, è importante, ma nel gestirli si deve mettere in conto la loro tendenza a muoversi molto lentamente dal punto dove si trovano.
In fase di pivoting (cioè di analisi dei piccoli passi laterali che si fanno per verificare l’applicabilità della propria soluzione alle nicchie di mercato adiacenti), il loro approccio è quello di aumentare le funzionalità del prodotto nel senso di renderlo maggiormente verticale, piuttosto che di allargarne leggermente lo spazio applicativo nel tentativo di esplorare nicchie adiacenti.
Il secondo profilo è quello dell’appassionato. Si tratta di persone con una forte competenza tecnica, spesso meno profonda ma più vasta di quella del ricercatore. Il problema dell’appassionato è esattamente il contrario di quello del precedente profilo: una volta terminata l’eccitante fase di costruzione della soluzione iniziale, l’appassionato trova incomprensibile e noiosa la fase di pivoting, non trovando motivante l’aspetto di esplorazione a piccoli passi tipico di questa fase. Le persone con questo profilo possono assumere, di conseguenza, un atteggiamento di resistenza ad ogni serio tentativo di evoluzione del prodotto, preferendo di gran lunga portare avanti lo sviluppo per “salti quantici”, sia di natura tecnica (ad esempio, rivoluzionando continuamente l’architettura del prodotto), che di natura commerciale (spingendo per un posizionamento distante dall’attuale, senza tenere conto dei conseguenti problemi finanziari, di sales e marketing, nonché di gestione del team).
Per l’appassionato, in sostanza, la mancata adozione del prodotto da parte dei clienti è dovuta al fatto che nuove ed eccitanti cose stanno accadendo altrove.
Il problema principale del terzo profilo, quello dei presuntuosi, risiede nella loro indisponibilità a riconoscere il contributo degli altri, rifiutandolo o, nel caso ne riconoscano il valore, appropriandosene il merito. Tale atteggiamento si traduce nella cronica incapacità di costruire team armonici. D’altra parte i presuntuosi sono spesso caratterizzati da una forte determinazione al raggiungimento del risultato, per cui laddove siano in grado di imparare dai propri errori (anche se non ammetteranno mai di averli fatti!) e riconoscano sinceramente al CEO delle superiori capacità di leadership, possono produrre valore come co-fondatori di una startup. In tale caso, infatti, sarà cura del CEO evidenziare il merito dei collaboratori pur avendo cura dell’ego del co-fondatore presuntuoso.
Il quarto profilo potenzialmente “utile” è quello degli operativi. Si tratta di persone caratterizzate da una buona, se non ottima, capacità di execution, ma che hanno bisogno di un riferimento a loro esterno, di un leader da seguire, capace di sfruttarne il potenziale. Lasciati a se stessi gli operativi tendono a concentrarsi troppo sull’esecuzione di quello che stanno facendo, non dedicando sufficiente attenzione all’analisi del quadro generale, risultando incapaci di definire delle strategie che non siano già nell’alveo inizialmente definito in fase di lancio della startup. Gli operativi sono, dal punto di vista della individuazione, senz’altro i soggetti più difficili da riconoscere, in quanto la loro abilità di execution li porta spesso ad avere la capacità di strutturare in modo credibile e ben organizzato le presentazioni del progetto assumendo, di conseguenza, posizioni di leadership nelle startup.
Il primo dei profili sempre dannosi è quello dei superbi. Si tratta di coloro che non sono mai disposti a guardare in faccia la dura realtà, attribuendo ogni loro insuccesso o al fatto che gli altri non capiscono i mirabolanti vantaggi delle loro soluzioni, oppure ad un mondo marcio in cui la concorrenza li sbaraglia corrompendo i rapaci ed inetti responsabili degli acquisti. Questa tipologia di persone raramente ha la capacità, così cruciale per chi voglia diventare un imprenditore, di imparare dai propri errori. Sconsiglio l’inserimento di tali persone nelle startup, perché laddove le cose non vadano come pianificato (il che è piuttosto comune), possono facilmente diventare polemiche, considerando un inaccettabile compromesso ogni tentativo di modificare quanto inizialmente previsto e concordato.
L’ultimo profilo che esaminerò in questo post è quello dei compari. Di coloro, cioè, che vedono il mercato esclusivamente come un interlacciarsi di relazioni del tutto slegate dal valore che effettivamente si sta portando. Hanno difficoltà ad essere sintetici e la value proposition dei loro prodotti è sempre piuttosto sfocata. Come per i superbi, personalmente ne sconsiglio l’inserimento in una startup in qualsivoglia posizione, in quanto il rischio è quello di trovarsi in azienda persone che teoricamente hanno un importante network di relazioni, ma che in realtà non hanno la credibilità per fare leva su tale network, in quanto non sono percepiti dalle controparti come interlocutori in grado di apportare valore.
Concludendo: l’importanza che i fondi di venture capital danno ai team dei fondatori di startup rende chiara l’importanza del ruolo fondamentale che ha, per chi voglia fare impresa, la capacità di costruire team armonici, in grado di avere quel complesso mix di conoscenze tecniche, determinazione e flessibilità che sono alla base del successo di un qualsiasi progetto imprenditoriale. L’importanza del team non sarà mai sopravvalutata.
In questo post ho presentato 6 profili la cui analisi, spero, possa essere di aiuto nella valutazione attitudinale dei potenziali partner nella fase di definizione del team della propria startup.
Roma, 23 ottobre 2012AUGUSTO COPPOLA