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Sharebot, la startup Made in Brianza che porta la stampa 3D alle PMI

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Ci sono storie che non possono essere raccontate via Skype. Hanno bisogno di essere abitate, di essere toccate con le mani e vissute con gli occhi. Sharebot è una di quelle. Sto parlando di una startup che in brevissimo tempo è diventata la principale produttrice di stampanti 3D in Italia. Una realtà che nel 2015 ha fatto registrare un valore di produzione pari a 2 milioni di euro. Un’azienda che dà lavoro a 28 persone in Italia e che ha aperto uffici in Germania e Spagna, mantenendo forti radici con la sua terra natia: «È un nostro orgoglio dire che siamo “Made in Brianza”. Questa è la nostra casa».

Un paese da fiaba, Nibionno

Per molti linguisti il termine Brianza deriva dal celtico brig: colle, altura.

Arrivare a Nibionno, del resto, è come muoversi su una montagna russa per bambini: non ci sono grandi pendenze né corse sfrenate verso l’abisso ma solo delicati saliscendi immersi in un panorama da fiaba. Qui, in un paese di circa 3700 anime, distante appena 35 chilometri da Milano, è nata Sharebot: «Questa è una zona che nei decenni passati è stata fondamentale per la crescita della nostra economia. Soprattutto per quanto riguarda il tessile e la meccanica» mi ricorda Matteo Abbiati, il responsabile marketing «Ed è ancora ricca di piccole-medie imprese che oggi hanno bisogno di rinnovarsi e di crescere per potersi confrontare con un mercato così difficile».Non stupisce, dunque, che sia questa la missione che guida da sempre i ragazzi di Sharebot:

Siamo nati con la volontà di mettere a disposizione le tecnologie legate alla stampa 3D a tutte queste imprese.

Non vendiamo solo macchine: facciamo formazione per insegnare loro come migliorare la produzione e ottenere il massimo dai nostri prodotti. Alla base c’è la volontà di ascoltare un bisogno del territorio e trovare, insieme, una soluzione. Per guadagnarci tutti.

Galeotto fu un articolo…

Sharebot nasce grazie all’incontro tra Andrea Radaelli e Ambrogio Donghi, Rispettivamente un giovane maker rampante e un imprenditore di grande esperienza. E avviene grazie a un giornale, Wired, che alla fine del 2012, dedica un articolo alla stampante con tecnologia 3D FFF (fused filament fabrication) che Andrea aveva costruito da solo, dopo essersi avvicinato ad un mondo che allora, in Italia, stava muovendo i primi passi. Le macchine a controllo numerico, l’avvento di RepRap, le prime stampanti: un universo affascinante che arrivava da lontano ma che era pronto a conquistare anche la Brianza.

Ambrogio legge l’articolo e decide di contattare Andrea. Si parlano e, dopo pochissimo tempo, decidono di trasformare una passione in un’azienda. Subito si aggiungono Cristian Giussani, per la parte di sviluppo software e Matteo. Nel 2013, grazie a quello strano incontro, nasce Sharebot: «Il nome? Siamo andati dritti con il primo che ci è venuto in mente. Era semplice e mostrava bene l’essenza della startup. Condividere i saperi è una nostra priorità».

Allargarsi, stanza dopo stanza, per conquistare il mondo

Sharebot ha trovato casa in uno vecchio stabile in cui, fino agli anni ’90, si tesseva e filava. Negli ultimi decenni era diventato un magazzino o poco più. Ora è rinato, grazie alle stampanti 3D: «Ma siamo partiti da una piccola stanza, intorno a un tavolo, lavorando come matti. Poi, mese dopo mese, ci siamo allargati conquistando tutti gli spazi. Adesso occupiamo 1500 metri quadrati». Due piani in cui si fa tutto: formazione, assemblaggio, ricerca e sviluppo, marketing. C’è anche un piccolo “museo” in cui sono posizionate tutte le stampanti costruite e prodotte negli ultimi 3 anni. Una accanto all’altra. Irregolari, diverse, senza linearità. Come le colline della Brianza.

Star Trek, Star Wars e uno strambo pittore

«Se fai attenzione scoprirai che i nomi delle nostri stampanti hanno qualcosa in comune». Li guardo e rifletto. Voyager, Next Generation, Q. Domina Star Trek e i nomi, in questo caso, sono il frutto di confronti e discussioni. «No, non sono immediati come capitato con Sharebot. Del resto qui c’è un livello di “nerdismo” piuttosto elevato. Il primo pezzo stampato in assoluto, sempre in quella piccola stanza, apparteneva al mondo di Star Wars. Ma è Star Trek il nostro filo conduttore. Siamo tutti fan».

Gli aneddoti si sprecano. Chiedo a Mattia qual è la domanda che le persone fanno più spesso ma iI risultato è scontato: «Quanto costa?». Ovvio. Non mi arrendo. Ci riprovo con la richiesta più strana che è stata fatta. E qui ottengo quello che cercavo: «Eravamo agli inizi, reduci dalla prima Maker Faire. Ci chiama un pittore, abbastanza stizzito. Non riusciva a capire dove infilare la carta per stampare un documento. Ci ho messo 10 minuti a spiegargli che quella che aveva acquistato era una macchina diversa e che aveva davanti a sé molte altre opportunità. Non sono riuscito a convincerlo».

I 5 campi di sviluppo (e altri numeri)

Oggi Sharebot copre 5 ambiti di sviluppo: tre legati alle tecnologie (filamento, resina sintetizzazione laser), una ai materiali e uno ai software. Mattia mi spiega chiaramente come immaginano il futuro della stampa 3D: «Queste tecnologie sono e saranno un’innovazione potentissima. Rivoluzioneranno il modo di intendere l’azienda. Cambierà il concetto di produzione: ci sarà molto più personalizzazione nell’offerta al pubblico. Il taglio che si è dato all’inizio sta fortunatamente tramontando. Non si punterà più sulla stampa casalinga ma sull’oggetto fatto e prodotto da ambiti più professionali. Non siamo tutti maker. E non lo saremo neanche domani».

Attualmente Sharebot ha in giro 3500 macchine, quasi tutte acquistate da professionisti e imprese. Oggi produciamo circa 150-180 stampanti 3D al mese: «Le richieste arrivano soprattutto dall’Italia dove ci basiamo su 30 rivenditori che propongono e fanno conoscere le nostre macchine. In più ne abbiamo altri 10 in Europa, 1 negli Stati Uniti e 1 in Asia. Il 90% del fatturato arriva ancora dal vecchio continente ma pian piano queste cifre stanno mutando».

Le fiere e il futuro, in un click

Le fiere, per chi produce questo tipo di macchine, sono una boccata d’aria fresca. Si esce dall’ufficio, «A volte sappiamo quando entriamo ma non sappiamo se e quando usciremo» e si incontrano le persone, «La Maker Faire è per noi un appuntamento importante. La usiamo per portare qualcosa di nuovo e testarlo con il pubblico. Per il 2016 abbiamo in mente qualcosa di gigante ma non dico di più».

Poi ci sono gli appuntamenti che sul calendario ti portano lontano dall’Italia: «La nostra prima fiera all’estero è stata un’esperienza incredibile. Eravamo a Londra, al 3D print show, nel 2014. C’era una coda immensa di persone che non vedevano l’ora di entrare e parlare con te. E accanto altre realtà che condividevano il tuo stesso cammino». Senso di appartenenza e di condivisione. Ancora, sempre.

Il futuro di Sharebot è ancora nelle macchine: «Sempre più innovative e che più vicino al mondo della produzione che a quello della prototipazione». Dopo il lancio di 42, ultima arrivata, ci sono altre novità in cantiere a Nibionno. Ma non solo. Il sogno, quello vero, è un altro e riguarda il mondo software: «Vorremmo semplificare e velocizzare tutto il processo. Stiamo lavorando per arrivare ad un unico obiettivo: la stampa in un click». Arrivarci non è facile e ci vorrà molto pazienza. Ma in un luogo capace di ispirare come la Brianza nulla è davvero impossibile.

ALESSANDRO FRAU

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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