L’epoca del mass market è finita? Non c’è una risposta univoca. Se dall’altra parte dell’Atlantico c’è chi paventava il fenomeno del retail apocalypse, la questione è tuttora complessa. Prendiamo i centri commerciali: prima dell’emergenza sanitaria, erano circa due miliardi gli italiani che vi si recavano: ad agosto il calo degli ingressi ha toccato il 15%. Se l’emergenza sanitaria ha messo in discussione gli spazi di aggregazione di massa, la contrazione dei consumi era certificata già prima della pandemia. Sbilancia questo trend poco confortante il dato dell’e-commerce: dal delivery al click & collect, il digitale è diventato un mezzo di interazione nuovo fra il consumatore e un negozio di retail. Oggi i retailer non possono più girarsi dall’altra parte: i consumatori prendono il 60% delle loro decisioni di acquisto attraverso uno smartphone.
Cosa c’è, dunque, da aspettarsi nel prossimo futuro? A Think ne abbiamo parlato con Stefano Portu, Founder & CEO di ShopFully, startup di successo che aiuta i negozi di retail a coinvolgere i consumatori online.
Qual è la mission ShopFully e cosa la differenzia da altri player?
“La nostra mission è rendere lo shopping più agevole e piacevole sia per i consumatori che per i local store. Di fatto, colleghiamo milioni di consumatori – sempre più digitali – con centinaia di migliaia di local stores, i negozi fisici che valgono il 90% degli acquisti nel settore retail.
In Italia, i tre più grandi player che hanno a che fare con il mondo dello shopping sono Amazon, Ebay e ShopFully. Ciò che ci differenzia dagli altri due player americani è che lavoriamo sulla connessione tra il consumatore digitale e i negozi fisici: in alternativa all’e-commerce in senso stretto, noi creiamo un ponte fra consumatore digitale e negozi fisici, che riescono attraverso noi a raggiungere il potenziale acquirente online. Per questo, lavoriamo insieme al retail tradizionale per costruire la loro presenza digitale. In Italia, colleghiamo 30 milioni di consumatori digitali con oltre 250mila negozi fisici, generando oltre un miliardo di visite all’anno”.
Come è cambiata la tendenza fra consumatore digitale e local store?
“Tra il 60 e il 70% delle decisioni collegate all’acquisto si è spostata online, specialmente su smartphone: significa che almeno due terzi delle domande legate all’acquisto – dove vado, cosa compro, il brand – vengono pianificate e decise online.
Un altro aspetto è certamente la crescita degli acquisti online, che cambia da mercato a mercato – più sui libri, meno sul cibo. Ma negli ultimi dieci anni è anche cresciuto il retail fisico, che di per sé ha 10 volte le dimensioni del mondo e-commerce”.
L’e-commerce, quindi, non va percepito come un antagonista del retail offline?
“Esatto. Negli ultimi dieci anni il canale e-commerce è triplicato, in alcuni casi quadruplicato. Eppure, se si guarda alle dimensioni, rappresenta mediamente circa il 10% degli acquisti totali. Ma molto più che nel mix di canali, il cambiamento radicale degli ultimi anni è avvenuto nel luogo dove i consumatori prendono le decisioni di acquisto, ormai prevalentemente su tool digitali. Questi due trend spingono il retail ad investire in due direzioni: sicuramente potenziare i canali di distribuzione del prodotto – delivery o servizi di click & collect, ma ancora di più recuperare terreno nell’ ingaggiare i consumatori sul digitale, dove alcuni player sono ancora poco presenti. In ShopFully puntiamo ad aiutare i retailer fisici a riorientare le loro risorse su digitale, dove il consumatore prende sette decisioni su dieci, cioè sullo smartphone”.
In che modo lo fate?
“Dal lato consumatori, abbiamo tre marketplace: luoghi digitali che svolgono una funzione simile a quella del centro commerciale, riunendo i negozi vicini all’utente in un’unica piattaforma. Si riconosce, ancora una volta, l’importanza della vicinanza fisica, purché questa sia accompagnata da una vicinanza digitale. Dal lato retail, il negozio fisico non può più permettersi di essere distante dal mondo digitale, dove l’utente vuole essere al corrente di orari, offerte, disponibilità del negozio, per esempio. Occorre rendere i negozi locali trasparenti e portarne le vetrine sugli schermi dello smartphone, per essere presenti quando il consumatore prende decisioni”.
Digitalizzare il mezzo fisico, dunque?
“Sì. Digitalizzando il volantino, per esempio, trasformarlo appunto in una vetrina locale, ma digitale. Ciò permette di misurare anche quanto esso produca traffico non solo nell’e-commerce, ma anche e soprattutto nel negozio: il digitale diventa creatore di traffico per il negozio fisico. La nostra tecnologia permette di vedere il range di conversione delle campagne digitali in un negozio con un’accuratezza del 98,8%, validata da Nielsen. Stiamo dimostrando che il digitale non è solo uno strumento per generare vendite sul digitale“.
Come sono cambiate le abitudini dei consumatori con l’emergenza Covid-19?
“Al netto delle grandi conseguenze che ha avuto purtroppo sull’economia e la vita delle persone, la pandemia di Covid-19 è stato uno spartiacque nel settore dello shopping: si sono avute alcune fluttuazioni, con abitudini totalmente superate post-lockdown, e fenomeni e distorsioni momentanee. In linea di massima, c’è stata una forte accelerazione dei trend in atto nel retail. Due, fra tutti: 1) moltiplicazione dei canali di consegna al cliente, allargando il ruolo dei negozi per esempio anche a luogo di partenza delle consegne e del ritiro dparte dei consumatori; 2) necessità di portare online r il negozio fisico, rendendo la sua vetrina sempre più interattiva sugli schermi dei consumatori che vivono nelle vicinanze”.
Ci può dare alcuni dati?
“Durante il lockdown, c’è stato un aumento delle ricerche su offerte, prodotti e orari dei negozi sulle nostre piattaforme, che ha raggiunto una percentuale del 70%. Nello stesso periodo, i negozi locali hanno velocizzato lo switch-off della comunicazione verso il digitale. In termini di consumi, gli utenti hanno sperimentato punti vendita nuovi e diversi, privilegiando punti vendita di prossimità, trovando prodotti nuovi – per esempio nel cibo quelli non pronti. Non dimentichiamo anche che, durante il lockdown, molti hanno fatto la prima esperienza di consegna a domicilio. Alcuni di questi trend sono rientrati al termine del lockdown. Altri, come il fenomeno del south working – che ha svuotato le città del Nord prediligendo i luoghi d’origine – rende più difficile valutare il contesto: la percezione reale si avrà soltanto con il ritorno a scuola, il primo periodo ‘normale’ dopo mesi anomali per tutti”.
Quali sono i settori che hanno più giovato di questo cambio di strategia?
“Le più interessanti sono state casistiche del retail nel mondo dell’elettronica, che con ShopFully hanno operato uno switch-off nel settore delle promozioni e marketing come il passaggio dal volantino cartaceo al catalogo online. La seconda esperienza interessante è che, quando ci si apre al digitale, si abilita un secondo livello di relazione: la possibilità per il cliente di chiamare o videochiamare i negozianti: in questo modo, le fasi di vendita e di pre-vendita sono state gestite da remoto. È un esempio molto interessante di come, di fatto, con la tecnologia scopriamo che l’esperienza di acquisto, finora percepita come un blocco unico, possa essere scomposta in diversi momenti e questi portati su touchpoint fisici e digitali integrati”.