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Si scrive FOIA, si legge diritto di sapere (e di contare)

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Quali sono le principali cause di decesso nel Comune in cui viviamo da quando è stato aperto uno stabilimento industriale? Quali sono le spese per cui i nostri parlamentari hanno chiesto il rimborso? Quali sono stati i ristoranti che hanno avuto ispezioni per violazioni igieniche nelle cucine?

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Si tratta di domande la cui risposta è contenuta in archivi e documenti che sono a disposizione della Pubblica Amministrazione ma che, purtroppo, non abbiamo il diritto di conoscere.

Nel nostro Paese, infatti, le informazioni della pubblica amministrazione non sono conoscibili da tutti i cittadini

Ciascuno può avere accesso soltanto ai documenti per i quali nutra un interesse “diretto, concreto e attuale” nell’ambito di uno specifico procedimento amministrativo che lo riguardi (ad esempio, i miei compiti in caso di partecipazione ad un pubblico concorso).

Ma la cosa ancora più grave è che la legge che disciplina la “trasparenza” (la “vecchia” Legge n. 241/1990) prevede espressamente che non sono ammissibili le richieste di accesso agli atti amministrativi “preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.

Si tratta di una norma superata, figlia di una filosofia amministrativa (e di governo) ormai anacronistica. L’Italia, infatti, è uno dei pochi paesi in cui non è ancora vigente un Freedom of Information Act (in sigla, “FOIA”): si tratta di una legge che garantisce a tutti i cittadini l’accesso agli atti e ai documenti della Pubblica Amministrazione. Con il FOIA il meccanismo è rovesciato: non è più il cittadino a dover dimostrare il proprio interesse a conoscere un determinato dato o documento (“need to know”), ma è l’amministrazione – se intende negare l’accesso all’informazione – a dover provare l’esistenza di ragioni (previste per legge) che impediscano di soddisfare la richiesta del cittadino (“right to know”).

La firma del FOIA negli Stati Uniti. Fonte: Lsdi.it

Le prime leggi di questo tipo sono state approvate in Svezia oltre due secoli fa, mentre negli USA il FOIA è stato adottato 1966. Questo esempio negli ultimi anni è stato seguito anche da numerosi altri Paesi che hanno adeguato le proprie legislazioni, sancendo che tutti hanno diritto di sapere quello che fanno governi e amministrazioni, affermando il principio per cui le informazioni detenute dalla Pubblica Amministrazione (in quanto acquisite e formate con soldi pubblici) appartengono ai cittadini; sono ormai circa ottanta i Paesi che hanno un FOIA: dall’Inghilterra alla Nigeria, dal Giappone all’India.

La trasparenza, infatti, serve a stimolare un controllo diffuso sull’operato della pubblica amministrazione e determina un miglioramento di efficienza delle scelte di governo

Inoltre la trasparenza è prerequisito indispensabile per poter consentire la partecipazione delle persone al processo decisionale (conoscere per deliberare, diceva il Presidente Einaudi).

Inutile dire che, nel resto del mondo, l’esistenza di un FOIA è ritenuta tassello fondamentale per le politiche di Open Government (oltre che per la competitività di un Paese) in quanto dimostra l’affidabilità e il livello di democrazia di un Paese.

Non ha senso, infatti, parlare di trasparenza e di collaborazione con i cittadini se questi ultimi non hanno il diritto di accedere a dati e documenti delle pubbliche amministrazioni e se non si risolve il problema dell’asimmetria informativa che attualmente esiste tra governanti e governati. Le classifiche internazionali ci dimostrano, infatti, che le leggi degli ultimi anni (che avrebbero dovuto riempire i siti web delle amministrazioni di informazioni e documenti) non hanno funzionato e che l’Italia è sempre più indietro come corruzione percepita.

Una vignetta americana sul FOIA. Fonte: Dirittodisapere.it

Certo, iniziative come OpenExpo e SoldiPubblici rappresentano un’importante inversione di tendenza, consentendo a giornalisti, cittadini e civic hackers di accedere ad una mole rilevante di dati sull’utilizzo delle risorse pubbliche. Ma non basta. Ci sono molte ragioni perché l’Italia approvi un suo FOIA:

  • L’effettiva trasparenza è uno strumento vitale per una democrazia;
  • Il FOIA è una delle armi più efficaci contro la corruzione;
  • Il diritto di accesso all’informazione della pubblica amministrazione è ormai universalmente ritenuto un diritto umano fondamentale;
  • E’ ormai assodato che – grazie alla trasparenza – amministrazioni e governi possono conquistare (e mantenere) la fiducia di cittadini e mercati e, quindi, attrarre gli investimenti.

Per questo motivo, da anni, la società civile italiana auspica l’introduzione di una legge di questo tipo anche nel nostro Paese e – nell’ambito dell’iniziativa #FOIA4Italy – ha addirittura scritto una proposta di legge, sottoponendola all’attenzione di Governo e Parlamento.

L’introduzione di un FOIA in Italia dovrà essere accompagnata da sanzioni importanti e certe, poiché è facile prevedere che una norma di questo tipo incontrerebbe molte resistenze

Sicuramente, poi, ci saranno i soliti benpensanti che diranno che una norma di questo tipo rappresenterebbe un costo difficilmente sostenibile per la PA. Tuttavia, si tratta di un problema sovrastimato, soprattutto se paragonato con i benefici arrecati dal FOIA. Facciamo un esempio: negli USA, dove la legge sul diritto all’informazione è ormai rodata e molto utilizzata, il costo annuale per l’applicazione della legge è di circa $ 416 milioni, cioè meno di $ 1,4 per ogni cittadino.

Al contrario, basti pensare che in Italia, secondo alcune stime, il costo della corruzione è di oltre 60 miliardi di euro, vale a dire circa 1.000 euro per ogni cittadino. Ecco allora che l’adozione di un FOIA in Italia, nel 2015, più che un costo potrebbe rappresentare un sicuro investimento.

ERNESTO BELISARIO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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